mercoledì 12 giugno 2019

Competizione e selezione: chi le ha viste, recentemente?


Questo articolo è stato pubblicato su Econopoly de IlSole24ore mercoledì 12.6.2019




La lingua italiana ha virtualmente cancellato 2 parole essenziali, ma ormai considerate desuete: Competizione e Selezione. La loro scomparsa, maturata rapidamente nei decenni appena trascorsi per giungere infine al definitivo traguardo odierno, è facilmente osservabile nella vita di tutti i giorni della nostra società, così nel settore privato (quello delle imprese e delle professioni) come nel settore pubblico, ed anche, quindi, nel settore che più dovrebbe, invece, stimolare sostenere promuovere Competizione e Selezione: il mondo della scuola.


Siamo seri: competizione e selezione sono le linee-guida essenziali per sopravvivere nel mondo animale, e lo sono da sempre (creazionisti ed evoluzionisti dovrebbero concordare almeno su questo punto); è attraverso la competizione quotidiana che gli esseri viventi si selezionano, lasciando ai più “adatti” il tramandare dei propri geni alle generazioni seguenti. L’homo sapiens non ha fatto eccezione, salvo l’homo (in)sapiens italicus che ha voluto trasgredire a questa regola vitale, ed i risultati sono evidenti. 
La nostra società ha abdicato, in misura e tempi peraltro diversi, all’andazzo corrivo e corrosivo della mediocrità elevata a sistema valoriale; punte di eccellenza restano, ma sono rare e sempre più “preziose: chiamiamoli i “valorosi resistenti” della scuola, della sanità, della amministrazione, una valorosa stirpe che si sta esaurendo ed a cui va dato imperituro merito di “resistere”.


Limitandosi, in questo articolo, al settore dell’istruzione primaria e secondaria, possiamo osservare come la scuola italiana abbia abdicato da decenni alla sua funzione di “fucina” delle generazioni future; ha appiattito progressivamente i percorsi di studio, via via  riducendo, sino a considerarli peccato, gli stimoli alla competizione fra gli studenti, a quella tensione verso l’eccellenza che chi studia dovrebbe sempre avere come traguardo immediato e mediato; immediato perché la ricerca di un “bel voto” che sancisca la padronanza della materia dovrebbe essere elemento sufficiente per impegnarsi quotidianamente sui libri; mediato perché è attraverso la Conoscenza individuale -- e laddove condivisa da tanti bravi allievi, collettiva -- che il mondo progredisce in modo virtuoso.

Operando “al ribasso”, considerando obsoleta e controproducente la competizione, è venuta meno la selezione dei migliori, dei più meritevoli, dei più “adatti”; il risultato è che il livello degli “output” (i diplomati ed i laureati) è sceso prima sensibilmente e poi precipitosamente nei decenni; ma non è così in tutti i paesi: basti osservare come gli studenti asiatici (giapponesi e cinesi in primis) siano impegnati sin dai primi anni scolastici in una competizione “forsennata” per accedere ai posti disponibili nelle scuole ed università più prestigiose; ed i risultati si vedono nella diversa qualità dei processi produttivi, nello sviluppo delle rispettive tecnologie, nel numero di brevetti sfornati annualmente nelle rispettive economie, nel rapporto di efficienza e produttività dei rispettivi sistemi.


A nostro avviso, tutto questo è un “disastro” nazionale che ha portato il paese al declino, temiamo inarrestabile ed irreversibile.

Ma il “disastro” ha sempre padri e madri benevoli, consenzienti, più o meno consapevoli.


Perché se gli studenti che escono dalle nostre scuole ed università sono, in media ed in generale, meno preparati ed adatti ad affrontare le sfide del mondo odierno, ebbene, dobbiamo sottolineare e dire con chiarezza che il corpo docente nei decenni ha perso anch’esso la concezione e l’adesione a competizione e selezione; d’altronde, i docenti di oggi sono gli studenti di ieri, e se ieri l’”output” era modesto, molti di quegli studenti e laureati modesti oggi siedono alle cattedre e non fanno che perpetuare il “mantra” a cui sono stati abituati: niente competizione, nessuna selezione fra il corpo docente; e non venite a dirci, per cortesia, che i concorsi sono una cosa seria.

Mater semper certa est, pater numquam  … ma nel nostro caso, il “pater” non è forse il sindacalismo che a partire da inizio anni Settanta ha contagiato la scuola (ma non solo la scuola, beninteso) favorendo prima, ed imponendo poi, l’egualitarismo diffuso, il tutto uguale per tutti, l’emarginazione delle punte di eccellenza quasi fossero un evidente affronto alla uguaglianza sancita per contratto ed arrendevole benedizione dei ministri della pubblica (d)istruzione e dei governi pro-tempore?

Tutto secondo il motto inglese “to kick the can down the road” (tanto ci penserà il prossimo che arriva …).

Detta tutta: i docenti, quelli che allora erano docenti, hanno barattato un piatto di lenticchie (il posto certo, guai a pensare ad una qualsiasi forma di selezione, perché cacciare il docente incapace non si può, non si può proprio) con la primogenitura (l’essere insegnanti “col cappello”, ammirati e riveriti per la loro conoscenza).


I nodi vengono sempre al pettine, e quando lo fanno sono dolori.




domenica 9 giugno 2019

Platone: “così muore la democrazia, prima che nel sangue nel ridicolo”


Platone: “così muore la democrazia, prima che nel sangue nel ridicolo”  

Atene 370 A.C.

Quando la città retta a democrazia si ubriaca di libertà confondendola con la licenza, con l’aiuto di cattivi coppieri costretti a comprarsi l’immunità con dosi sempre massicce d’indulgenza verso ogni sorta di illegalità e di soperchieria;

quando questa città si copre di fango accettando di farsi serva di uomini di fango per potere continuare a vivere e ad ingrassare nel fango; quando il padre si abbassa al livello del figlio e si mette, bamboleggiando, a copiarlo perché ha paura del figlio; quando il figlio si mette alla pari del padre e, lungi da rispettarlo, impara a disprezzarlo per la sua pavidità; 

quando il cittadino accetta che, di dovunque venga, chiunque gli capiti in casa, possa acquistarvi gli stessi diritti di chi l’ha costruita e ci è nato; quando i capi tollerano tutto questo per guadagnare voti e consensi in nome di una libertà che divora e corrompe ogni regola ed ordine; c’è da meravigliarsi che l’arbitrio si estenda a tutto e che dappertutto nasca l’anarchia e penetri nelle dimore private e perfino nelle stalle?

In un ambiente siffatto, in cui il maestro teme ed adula gli scolari e gli scolari non tengono in alcun conto i maestri; in cui tutto si mescola e si confonde; in cui chi comanda finge, per comandare sempre di più, di mettersi al servizio di chi è comandato e ne lusinga, per sfruttarli, tutti i vizi; in cui i rapporti tra gli uni e gli altri sono regolati soltanto dalle reciproche convenienze nelle reciproche tolleranze; in cui la demagogia dell’uguaglianza rende impraticabile qualsiasi selezione, ed anzi costringe tutti a misurare il passo delle gambe su chi le ha più corte; 

in cui l’unico rimedio contro il favoritismo consiste nella molteplicità e moltiplicazione dei favori; in cui tutto è concesso a tutti in modo che tutti ne diventino complici; in un ambiente siffatto, quando raggiunge il culmine dell’anarchia e nessuno è più sicuro di nulla e nessuno è più padrone di qualcosa perché tutti lo sono, anche del suo letto e della sua madia a parità di diritti con lui e i rifiuti si ammonticchiano per le strade perché nessuno può comandare a nessuno di sgombrarli; in un ambiente siffatto, dico, pensi tu che il cittadino accorrerebbe a difendere la libertà, quella libertà, dal pericolo dell’autoritarismo?

Ecco, secondo me, come nascono le dittature.

Esse hanno due madri.
Una è l’oligarchia quando degenera, per le sue lotte interne, in satrapia.
L’altra è la democrazia quando, per sete di libertà e per l’inettitudine dei suoi capi, precipita nella corruzione e nella paralisi.
Allora la gente si separa da coloro cui fa la colpa di averla condotta a tale disastro e si prepara a rinnegarla prima coi sarcasmi, poi con la violenza che della dittatura è pronuba e levatrice.
Così la democrazia muore: per abuso di se stessa.
E prima che nel sangue, nel ridicolo.