Un estratto di questo articolo è stato pubblicato nella rubrica #IlGraffio su AdviseOnlyBlog in data 22.3.2016.
Il 23 giugno i
cittadini del Regno Unito (Inghilterra, Scozia, Galles, Irlanda del Nord)
voteranno il referendum per l’uscita dalla UE, il c.d. Brexit.
Fiumi, ormai
ingrossati, di parole scorrono sulle conseguenze di un possibile Brexit.
Londra, la capitale, centro finanziario mondiale, potrebbe perdere “appeal” e
vedere l’esodo di banche e società finanziarie (e loro dipendenti) verso altre
piazze, con impatti oggi difficilmente quantificabili su tasse incassate, posti
di lavoro, prezzi delle case.
Noi ci
limitiamo a mettere in fila una serie di dati ed informazioni che “rendono il
contesto” di un evento che, ove accadesse, aprirebbe scenari complessi per
l’UE.
Il Regno Unito
è il secondo paese UE per PIL (2.950 miliardi su totali 15.577 miliardi) dopo
la Germania, ed il terzo per popolazione (64,9 milioni, su totali 443,6
milioni) dopo Germania e Francia; è il secondo “contribuente
netto” del bilancio UE (8.461 milioni annui) dopo la Germania (13.824 milioni)
e prima della Francia: in caso di Brexit, il contributo mancante verrebbe
quindi distribuito sugli altri paesi (nell’ordine, Germania + 2.503 milioni,
Francia +1.871 milioni, Italia +1.384 milioni, Spagna + 906 milioni, Olanda,
Svezia, Belgio, Danimarca, Austria); oggi, la somma di esportazioni ed
importazioni a/da altri paesi esteri pesa per il 60% del PIL britannico: una
conseguenza del “Brexit” sarebbe un peggioramento (seppure di difficile
quantificazione) di tale rapporto; su 64,9 milioni di abitanti, gli stranieri
provenienti da paesi UE sono oggi 3 milioni, di cui 790.000 polacchi, 380.000
irlandesi, 520.000 da paesi dell’Est, 300.000 tedeschi, 150.000 italiani:
potrebbe esserci un “giro di vite” su questi flussi, con un peggioramento delle
condizioni di accoglimento.
Secondo un
studio di Global Counsel UE, i paesi che sarebbero maggiormente colpiti dalla
“Brexit” sarebbero, nell’ordine, Olanda, Irlanda, Cipro, Portogallo, Grecia;
l’Italia sarebbe fra i paesi meno colpiti.
Oggi, la Gran
Bretagna è il secondo paese UE (dopo l’Olanda) per libertà e liberalizzazione
dei mercati e degli scambi; da decenni, ha un governo che persegue una decisa
politica “pro-mercato” e questa impostazione è stata ed è importante quando la
UE affronta temi di libero mercato, concorrenza, liberalizzazioni. Il Regno
Unito fa parte dei paesi UE con un approccio più liberale all’economia --
insieme a Olanda, Repubblica Ceca, Svezia, Danimarca, Finlandia, Slovacchia,
Irlanda, Lituania, Lettonia ed Estonia – e “pesa” per il 12,7% nelle votazioni,
contribuendo in modo decisivo alla (eventuale) minoranza di blocco (che deve
essere del 35% per avere efficacia) nelle votazioni su argomenti che toccano un
eccesso di regolamentazione: una “Brexit” avrebbe quindi un impatto decisivo sul
fronte “gruppo liberale”. Se la Gran Bretagna uscisse dalla UE, il peso nelle
votazioni vedrebbe la Germania salire dal 16.9% al 18%, la Francia dal 13% al
15%, l’Italia dal 12,1% al 14%; tutti paesi con una vocazione da
“protezionistica degli interessi nazionali” all’ ”agnostico per default”.
“Brexit”
aprirebbe uno scenario che renderebbe più fragili e deboli quanti credono, o
cercano ancora di credere, nel libero mercato e nella concorrenza.
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