“” Moby Dick contiene un brano straordinario in cui Herman
Melville contrappone l’attendibilità della navigazione astronomica alle
incertezze della navigazione stimata per conferire maggiore drammaticità alla
caduta del capitano Achab verso la follia. Divorato dall’odio per la balena
bianca che gli è costata la gamba, Achab misura l’ultima altezza meridiana
seduto sulla prua di una delle lance con cui spera di darle la caccia.
“”Infine
l’osservazione necessaria fu presa, e portatosi la matita sulla gamba d’avorio
Achab calcolò presto qual era la latitudine in quel preciso istante. Poi,
rimasto per un momento come assorto in una fantasticheria, di nuovo guardò su
al Sole e mormorò fra sé: << Tu
segno del mare, alto e potente pilota, tu mi dici con verità dove sono: ma puoi
darmi il minimo indizio di dove sarò? O puoi dirmi dove qualche altra creatura
si trova in questo momento? Dov’è Moby Dick? >>.””
Quindi studia il quadrante con aria pensosa, muovendo uno
dopo l’altro i suoi “numerosi aggeggi cabalistici” e borbotta:
“” Stupido giocattolo!
Ninnolo bambinesco di ammiragli altezzosi e di commodori e capitani. Il mondo
si vanta di te, della tua astuzia e della tua potenza; ma cosa puoi fare dopo
tutto, se non dire il punto povero e misero dove tu stesso per caso ti trovi su
questo largo pianeta, tu e la mano che ti regge: e nient’altro! Tu non puoi
dire dove una goccia d’acqua o un granello di sabbia si troveranno domani a
mezzogiorno: eppure con la tua incapacità insulti il Sole! O scienza! Maledetta,
tu balocco inutile. (…) Sii maledetto, quadrante!””. “”
David Barre, “Il
viaggio del sestante”, 2014, pg 55.
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