venerdì 23 agosto 2019
Spiagge a prezzo di saldo, il prezzo del trionfo delle lobby sullo Stato
Questo articolo è stato pubblicato su Econopoly de IlSole24ore venerdì 17 agosto 2019.
Agosto, milioni di italiani sono in vacanza, alla ricerca del mare pulito, della spiaggia disponibile, del lettino e dell’ombrellone in prima fila, della facile abbronzatura. Senza pensieri, o quasi. Sono i numeri che danno pensieri … eccone alcuni in rapida sequenza (per riferimento, si veda anche il Rapporto Spiagge 2019 di Legambiente).
In Italia ci sono 7.412,4 km di coste, tutti rigorosamente facente parte del Demanio, patrimonio indisponibile dello Stato, che può concederle in uso tramite l’istituto della concessione: oggi le concessioni demaniali marittime sono 52.619, di cui 11.104 per stabilimenti balneari e 1.231 per circoli, campeggi, resort ed alberghi; il giro d’affari stimato degli stabilimenti balneari che occupano e gestiscono le spiagge italiane è di 15 miliardi di euro annui; a fronte di questi numeri, lo Stato incassa (dato 2016) 103 milioni dalle concessioni, meno dello 0,7% del fatturato degli stabilimenti balneari.
La prima considerazione è ovvia: lo Stato è un pessimo amministratore delle sue proprietà (questo già lo sapevamo, valendo per quasi tutte le iniziative che riportano il bollino “amministrato dallo Stato”); … anche i bagnanti distratti e sudaticci amabilmente sdraiati sui lettini lungo l’arenile si chiederanno: … e che cosa fa lo Stato per migliorare questa situazione? La risposta è disarmante: fa di tutto per peggiorare la sua situazione (quindi, la nostra, essendo noi i contribuenti che manteniamo in vita questo baraccone).
Ed ecco perché e come.
Lo Stato italiano da un lato non è in grado di applicare canoni corretti e “di mercato” (da cui rifugge come la peste, essendo lo Stato italiano, per definizione, onnivoro, “socialisteggiante” nonché fortemente, visceralmente pervaso di un animo corporativo), dall’altro è incapace di dare applicazione ad una direttiva europea, la “direttiva Bolkestein”, che contiene le regole che garantiscono la parità tra imprese e professionisti europei nel mercato comunitario. La direttiva Bolkestein stabilisce che i servizi e le concessioni pubbliche vengano lasciati alla libera concorrenza tra privati tramite gare con regole e criteri d’assegnazione trasparenti, che diano la possibilità a tutti gli operatori, a prescindere dal Paese europeo nel quale abbiano sede, di partecipare. E potenzialmente di aggiudicarsi la gara offrendo servizi e canoni più competitivi. Applicare la direttiva al settore del turismo balneare italiano vorrebbe dire rimettere in discussione il business sul quale si regge l’intero comparto degli stabilimenti e dall’altro mettere in chiaro la dabbenaggine dello Stato come amministratore.
(Qualcuno si chiederà: “sì, l’Italia … ma che cosa avviene in Francia, Spagna, Portogallo, Grecia?”; nello spazio ristretto concesso a questo articolo possiamo solo fare riferimento allo studio comparativo fatto sulla materia dal nostro Parlamento ; i volenterosi scopriranno che i governi stranieri sono molto più efficienti avendo ottenuto deroghe pluridecennali, cosa che gli incompetenti governanti italiani, da anni, nemmeno sono in grado di comprendere, figurarsi copiare).
Riassumendo:
– nel 2006 la direttiva Bolkenstein ha decretato l’apertura del mercato e messo a rischio-asta le concessioni demaniali marittime sino allora, ed ancora oggi, ottenute in via diretta;
– nel 2012 il governo italiano, con un atto ben definibile come “d’imperio”, ha prorogato, senza discussione ed in modo automatico, le concessioni in essere sino al 2034, così contravvenendo a quanto disposto dalla direttiva in oggetto; ovviamente, è stata aperta una procedura di infrazione contro l’Italia e fra pochi mesi è attesa la sentenza della Corte di Giustizia europea che, con tutta probabilità, boccerà la proroga delle concessioni fatta dal Governo nel 2012 con l’assunzione dell’impegno a riordinare la materia: riordino che ovviamente non c’è mai stato;
– se non bastasse, con la legge di bilancio approvata lo scorso inverno, il Governo in carica (pro-tempore…) ha aperto la strada a una proroga di ulteriori 15 anni a beneficio degli attuali stabilimenti balneari, titolari di concessioni delle aree demaniali. Un provvedimento preso nonostante una sentenza della Corte di Giustizia dell’Ue di luglio 2016 avesse criticato la negligenza italiana nell’applicazione delle regole europee e chiesto di aprire le concessioni alla concorrenza internazionale tramite gare pubbliche.
A nostro avviso, esiste un legame stretto fra i 2 corni del problema, l’applicazione della direttiva Bolkestein e l’incapacità dello Stato di mettere a reddito il suo patrimonio balneare; infatti, se si aprisse alla Bolkestein ci sarebbe un prevedibile, forte aumento delle offerte per il rilascio delle concessioni, sino ad un valore reputato conveniente dall’offerente; di conseguenza, lo Stato avrebbe un aumento (riteniamo considerevole, sino a 10 volte il livello attuale) delle entrate da concessioni balneari; ed anche il problema della tutela degli attuali concessionari potrebbe essere agevolmente superato dando loro l’opzione di “pareggiare” la migliore offerta, con un adeguato “sconto” (ad esempio, pari al 10% in meno della migliore offerta).
Se una soluzione non è stata ancora trovata, dopo oltre un decennio dalla entrata in vigore della direttiva Bolkestein, forse è perché non la si vuole trovare, schiavi e prigionieri di lobby ben riconoscibili e dei relativi voti che ne derivano, al fine di perpetuare il sistema-paese in voga; sistema-paese che, a ben guardarlo, è il viatico verso il disastro annunciato.
Ma è agosto, il mare chiama e la spiaggia si fa rovente: un bel tutto e passa tutto. O forse no.
mercoledì 14 agosto 2019
Piccoli: ma cresceranno? Equity e lending crowdfunding italiani.
Questo articolo è stato pubblicato su Econopoly de IlSole24ore mercoledì 14.8.2019
Dal 2014, data di nascita
ufficiale, il crowdfunding ha raggiunto i 517 milioni di euro di
raccolta complessiva, di cui 82 milioni come equity.
Il 4° Report italiano sul CrowdInvesting (dell’Osservatorio Crowdinvesting della School of Management del
Politecnico di Milano) fotografa l’evoluzione della “raccolta alternativa”,
principalmente indirizzata alle start-up innovative (che hanno
rappresentato oltre il 70% della raccolta), raddoppiata nel giro di un anno: la
raccolta nell’ultimo anno (dal 30 giugno 2018 al 30 giugno 2019) è stata di 49
milioni per l’equity crowdfunding (170 campagne censite) e di
207 milioni per il lending. Le campagne di raccolta sono state finora 401,
organizzate da 369 imprese diverse, 170 negli ultimi 12 mesi (quasi una
ogni 2 giorni). Il tasso di successo continua a mantenersi elevato: 75% nei
primi 6 mesi del 2019 (media dal 2014: 71,7%). L’obiettivo medio di
raccolta per i progetti non immobiliari è salito a 191.956 euro, ed è pari a
664.231 quello degli immobiliari. “L’aumento delle detrazioni e deduzioni
fiscali per startup e PMI innovative potrebbe aver portato a un aumento
dell’investimento medio”, nel commento al Report.
Mediamente viene offerto in cambio il 10,4% del
capitale; si consolida la prassi di offrire titoli senza diritto di voto
sotto una certa soglia di investimento (e votanti sopra tale soglia). In media
ogni campagna riceve il sostegno di 85,6 investitori.
Per quanto riguarda l’equity crowdfunding,
sulla base dell’attuale tasso di crescita del mercato,
l’Osservatorio prevede una raccolta di 60 milioni di euro nel 2019
e di 80 milioni nel 2020, dopo quella di 36 milioni del 2018.
Al 30 giugno 2019 risultavano autorizzati in Italia 35
portali, ma un buon numero di questi non si era ancora attivato.
Solo il 10% delle imprese ha mantenuto le promesse
fatte in sede di business plan dopo una campagna di equity crowdfunding: “Questi
numeri sono in linea col fatto che le emittenti sono soprattutto startup
innovative, che per loro natura hanno un basso tasso di successo”.
Dei 233 emittenti che hanno chiuso una prima
campagna con successo, 5 sono andati in liquidazione e 7 hanno annunciato
eventi successivi di vario tipo (tra exit ed eventi particolari come
acquisizioni o rimborsi). Per contro, delle 101 società che non hanno avuto
successo nella loro prima campagna di equity crowdfunding, soltanto 1 ci ha
riprovato e ha avuto successo, mentre 13 sono state liquidate, restandone 87
ancora attive.
L’equity crowdfunding per ora ha compiuto la prima
fase del suo ciclo, con le prime exit, dismissioni e write-off.
Riguardo il lending crowdfunding, al 30
giugno 2019 risultano attive in Italia 6 piattaforme destinate a finanziare
persone fisiche (consumer) e 7 (più 3 in partenza) per le imprese (business),
di cui 3 specializzate nel real estate. In ambito business aumentano le
piattaforme che offrono il modello di investimento ‘diretto’, dando possibilità
di scelta immediata al finanziatore su come allocare i prestiti, mentre in
quello consumer prevale il modello ‘diffuso’, con il denaro suddiviso su tanti
crediti diversificati.
Il mercato del crowdinvesting è oggi trainato dai
progetti real estate, con 6 piattaforme attive che in totale hanno
raccolto 15,6 milioni di euro: 8,8 milioni di euro spalmati su 8
progetti con l’equity crowdfunding e altri 6,8
milioni per 30 progetti in ambito lending.
Possiamo vedere un bicchiere mezzo pieno e quindi gioire
della crescita di queste forme di finanziamento, o mezzo vuoto, rilevandone le
criticità, e tutto dipende dal nostro grado di tolleranza all’alcool; oggi i
numeri ci dicono che:
-
il
crowdfunding è al momento trainato dal real estate e non da iniziative
industriali (più o meno innovative), come era negli auspici iniziali;
-
La quota azionaria della componente equity è
limitata al 10% del capitale, una quota irrilevante alla
partecipazione attiva alle decisioni aziendali;
-
L’ammontare medio della raccolta di equity
nelle imprese non real estate è inferiore a 200.000 euro,
probabilmente insufficiente per sostenere effettivi programmi di sviluppo
aziendale, se non in una primissima (spesso calcolata in mesi …) fase iniziale
di start-up;
-
Solo il 10% delle imprese ha mantenuto le
promesse contenute nei business plan presentati in sede di raccolta;
un segnale da valutare per il futuro, se si vuole dare dignità allo strumento
ed agli operatori;
-
Per l’equity crowdfunding, 35 operatori (seppure
solo in parte effettivamente attivi) si sono divisi 49 milioni di raccolta
negli ultimi 12 mesi, con i primi 3 portali che complessivamente hanno raccolto
29 milioni, il 60% della raccolta totale; accanto ad operatori che hanno
raccolto 8 milioni di equity per le imprese sostenute, con ricavi da
commissioni (in larga misura rappresentate da una percentuale sulle somme
raccolte, con retainer fees contenute) che probabilmente ne hanno
assicurato il punto di pareggio, ad una prima valutazione gli altri sembrano
quindi ancora lontani dal raggiungere una situazione economica sostenibile; la
domanda che ci poniamo è forse banale: “esiste un problema di offerta con troppi
operatori per un mercato con una domanda ancora limitata? Quanti di essi
saranno ancora attivi fra 12 mesi? La domanda (nuove richieste di equity
crowdfunding) crescerà in modo così sostenuto da assicurare la remunerazione
per tutti gli operatori?”
La domanda di equity e lending crowdfunding per iniziative
industriali (start-up innovative e non innovative) esiste nel nostro paese (spesso
fatto di piccole iniziative che raramente superano le fasi iniziali) e va
“coltivata” con ancora maggiori assiduità e costanza; il sostegno da parte del
legislatore c’è; l’esperienza dei primi anni sembra positiva; i prossimi passi,
confidando in rapidi successi, saranno quindi cruciali per raggiungere una
dignità di mercato e di reputazione.
venerdì 2 agosto 2019
Aziende in crisi in amministrazione straordinaria, ovvero il Bengodi dei commissari.
Questo articolo è stato pubblicato su Econopoly de IlSole24ore venerdì 2 agosto 2019.
Non ci sono solo le procedure concorsuali previste dalla
Legge Fallimentare (piani di risanamento e ristrutturazione, fallimento,
liquidazione) per le imprese in crisi: non facendosi mancare nulla, la
normativa italiana ha previsto nel 1999 con la legge Prodi-bis la procedura
di amministrazione straordinaria per le imprese con almeno 200
dipendenti, amministrazione straordinaria modificata ed allargata alle imprese
con almeno 500 dipendenti nel 2003 (in occasione del dissesto Parmalat) con la legge
Marzano.
Una rete di protezione ad ampio raggio, avente
l’encomiabile obiettivo di salvare imprese e posti di lavoro, ripagare i debiti
verso i fornitori, insomma rimettere insieme i cocci rotti.
Ad oggi, le procedure aperte con la Prodi-bis sono 101;
quelle ex Marzano 28. Alcune procedure durano pochi anni (come fu per Parmalat,
risanata in 2 anni), altre molti anni, con casi eclatanti: Bongioanni è
“aperta” ed in Prodi-bis dal marzo 2000, Cirio, Giacomelli e Tecnosistemi dal
2003, Minerva airlines, Arquati ed Olcese dal 2004, Parmatour dal 2005. In un
caso (Alitalia) sono ben 2 le imprese finite in Marzano: potenza dello
strumento o potere degli “stakeholders” e degli interessi in gioco?
I soggetti chiamati, di volta in volta, a “risanare” le
imprese in amministrazione straordinaria sono i commissari, nominati
discrezionalmente dal MISE sino al 21016, successivamente selezionati
attraverso un bando pubblico, il vaglio di una commissione ed infine scelti dal
MISE, e dal 2018 scelti per sorteggio. Per la maggior parte, essi sono avvocati,
professori universitari, commercialisti, e raramente managers: particolare
significativo, poiché trattandosi di imprese, questi ultimi dovrebbero essere i
primi ad essere chiamati per “risanare”; ma i quesiti irrisolti sono solo
all’inizio di questa storia.
Sicuramente devono essere bravi e simpatici, almeno agli
occhi del ministero e dei suoi funzionari: devono infatti essere rapidi nel
candidarsi, come è stato nel caso di Mercatone Uno dove il bando datato 12
giugno scadeva nel pomeriggio del 14 giugno, o di Stefanel con bando emesso il
24 giugno e scadenza (sabato e domenica nel mezzo) il 27 giugno. Insomma,
domanda, esame e selezione a tempo di record. E poi si dice che nei ministeri
non si lavora …
Ricordiamo il numero delle imprese in Prodi-bis: 101, ed in
Marzano: 28. Ebbene, i commissari che seguono i casi ex Prodi-bis sono 111, di
cui 41 con più incarichi; e 48 per le 28 imprese ex-Marzano, di cui 10 con più
incarichi. Fra i commissari con più incarichi, 1 ne ha 6, 2 ne hanno 5, 5 ne
hanno 4.
Trattandosi di impegni non banali, la domanda sorge
spontanea: ma quanto tempo i commissari, stimati e premiati professionisti,
possono dedicare alle società in crisi? Come è possibile dividere il
proprio tempo fra attività professionale e 5 o 6 incarichi commissariali?
Lavorano di notte, a Natale e Ferragosto?
Abbiamo visto che le procedure possono durare anni, molti;
nel frattempo, che cosa succede alle imprese, ai suoi dipendenti, ai suoi
fornitori? Accanto a casi in cui le imprese ritrovano la rotta giusta in
breve tempo, ripagando i debiti verso fornitori e mantenendo, almeno in parte,
i livelli occupazionali, si hanno molti casi in cui i debiti non si ripagano,
ma anzi crescono e si accumulano. Strano, poiché l’obiettivo fissato dalle
leggi Prodi-bis e Marzano è chiaro: risanare e restituire al mercato.
Meno strano, ove si osservi come vengono pagati i commissari,
con parcelle spesso milionarie: queste vengono calcolate sul valore del passivo
e dell’attivo aziendale. Grande passivo, grande parcella. In un caso recente
(la prima messa in Marzano di MercatoneUno), il compenso liquidabile ai 3
commissari ammonta a 7,2 milioni di euro.
Alcune domande finali ci sembrano quindi d’obbligo:
- ma le amministrazioni straordinarie sono utili al
mercato o solo ai professionisti beneficiari di laute parcelle?
- Ed inoltre, sarebbe auspicabile mettere un limite
temporale alle procedure e fissare un diverso criterio per remunerare
l’attività dei commissari, limitando inoltre il numero degli incarichi a quanto
effettivamente sostenibile, in termini di impegno e di tempo, dai
professionisti incaricati?
- Ha un senso limitare la scelta dei commissari ad un numero
ristretto (oggi, circa 150) di persone?
- In termini più ampi, ha significato estendere procedure
straordinarie ad imprese sulla base del numero dei dipendenti rispetto alla
eventuale “importanza sistemica” dell’impresa in crisi?
Occorrerebbe riaprire il dibattito e formulare un piano
complessivo, lontano da logiche “di potere” ed “amicali” come quelle sinora
adottate, sotto ogni tipologia e stagione di governo. Ma è agosto, fa caldo, i
politici sono al mare ad abbronzarsi su spiagge riservate, e chissà quanti
altri pensieri avranno per la mente, confidando di arrivare, oltre che alla
fine dell’estate, anche alla fine della legislatura.
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