Da “” Il “Gioco
degli Imperi”. La Guerra d’Etiopia e le origini del secondo conflitto mondiale “”,
Eugenio di Rienzo, NRS, 2016
“” “L’intera
trattativa Hoare-Laval sull’Etiopia e sull’accordo aereo franco-inglese aveva
avuto un obiettivo essenziale: la Germania. Vanisttart (British Foreign Office,
ndr) e io avevamo dato questo significato al progetto lungamente e
laboriosamente negoziato. Disincagliare l’Italia dall’Africa al più presto,
prima che la Germania potesse profittare, con un gesto definitivo e inconsulto,
della situazione di tensione e di attrito determinatasi tra le Potenze
ex-alleate già convocate a Stresa (https://it.wikipedia.org/wiki/Fronte_di_Stresa
), insinuandosi tra l’Italia e queste Potenze, profittando del turbamento e del
disordine di Ginevra, cristallizzando la posizione dell’Italia fuori della
Società delle Nazioni e considerata come colpevole e Stato aggressore. Il motivo
che mi aveva spinto ad accettare le trattative con Vansittart era stato
duplice, lo stesso era stato per lui. Si trattava di regolare la questione
etiopica e ritornare, al più presto, a Stresa, ma senza indebolire l’Italia, in
modo che essa potesse tornare alla sua funzione anti-tedesca in Europa. Da parte
sua, Laval aveva un doppio quesito da risolvere: cercare di non compromettere i
vantaggi dell’accordo sottoscritto con Mussolini, il 7 gennaio e profittare
della tensione tra Roma e Londra per portare l’Inghilterra all’accordo militare
anglo-francese, che essa aveva sempre respinto. Il rifiuto delle proposte
Hoare-Laval si risolse in un altro successo indiretto della Germania. Si sclerotizzò
il dissidio tra Italia e Ginevra, tra Italia e Londra e si spinse Hitler a
osare.” (Dino Grandi, Il mio Paese. Ricordi autobiografici).
(…) .. tramontata la possibilità di un accordo
amichevole, la risoluzione della questione etiopica poteva essere risolta solo
da un confronto militare con l’Italia nel Mediterraneo. Poiché, però, né nessuna
delle Nazioni associate alla Lega, né la Russia né gli Stati Uniti, né la
Francia né i Dominions erano disposti
ad un’escalation militare, la sola
Gran Bretagna avrebbe dovuto intraprendere quest’azione al prezzo di rischi
altissimi per la sicurezza dell’Impero, qualora Giappone e Germania avessero
approfittato della situazione per sovvertire l’equilibrio di potenza in Asia e
in Europa.
“Strang (Foreign
Office, ndr) mi ha confidato che, se era facile per l’opinione pubblica
criticare il paino Hoare-Laval, pochi però sembravano rendersi conto che,
venuta meno questa possibilità, l’intera procedura contro l’Italia sarebbe
dipesa unicamente dall’intervento della marina britannica. Tutte le
informazioni in possesso dell’Ammiragliato concordavano nel ritenere che l’Italia
fosse pronta e ben preparata per affrontare uno scontro nel Mediterraneo. Al contrario,
la Gran Bretagna non lo era in nessun modo. La Royal
Navy era, infatti, più adatta a manovrare nei grandi spazi oceanici che in
quelli più ristretti del Mediterraneo. Alla mia richiesta di chiarimenti sulla
posizione della Francia, Strang rispose che su di essa non si poteva fare affidamento.
L’opinione pubblica di quella Nazione era contraria a un’azione di forza e,
come risultava da informazioni dettagliate in possesso del governo inglese, le
sue difese costiere non erano in grado di reggere l’urto di un attacco
italiano. Dovendo agire da sola, la marina britannica era destinata a subire
perdite pesanti, specie all’inizio delle ostilità. Quello che poi preoccupava
Strang era la minaccia nipponica in Estremo Oriente e il comportamento delle
altre Potenze. Nessuno poteva prevedere la reazione della Russia. La Germania,
postasi fuori della Lega, costituiva un’altra e più inquietante incognita. Gli Stati
Uniti si sarebbero mantenuti in uno stato di neutralità benevola ma nulla di
più ci si poteva attendere da essi. Anche i Dominions,
era presumibile, avrebbero evitato di soccorrere con le armi la madrepatria. Se,
dunque, le sanzioni militari contro l’Italia restavano affidate alla sola
azione delle forze navali inglesi, Londra non poteva assumersi la
responsabilità d’iniziare un conflitto, senza prima aver esperito un tentativo
di conciliazione. Inoltre anche se le proposte Hoare-Laval fossero state
rigettate da Mussolini, lo scarsissimo entusiasmo di Parigi per una soluzione
militare non sarebbe aumentato anche dopo l’adesione del Regno Unito a una
soluzione di compromesso. Se pure questa soluzione fosse stata respinta, Laval
avrebbe potuto sostenere che la Gran Bretagna non era disposta a prendere su di
sé gli oneri di un conflitto e che anzi era pronta a spingersi più lontano
della Francia nelle concessioni a Mussolini, pur di conservare la pace”. (Documents
on Irish Foreign Policy, IV. 10 March 1932-31 December 1936)
(…) Anche
Cadogan (sotto-segretario Foreign Office, ndr), il 12 gennaio, interveniva nel
dibattito con una lunga e articolata missiva indirizzata a Eden (Foreign
Secretary, ndr), dove gli si faceva osservare che un nuovo indugio nell’apertura
delle trattative avrebbe ingigantito i sospetti che Mussolini nutriva sulle
intenzioni inglesi con il risultato di aggravare lo stato di tensione a ridosso
di Suez e di consolidare l’intesa politico-militare tra Roma, Berlino e Tokio.
“ Molto probabilmente
l’unico risultato del nostro rifiuto sarà di spingere il Governo di Roma ad
accentuare le varie forme di ostilità nei nostri confronti (propaganda
radiofonica, campagna di stampa, attività sovversive in Egitto e più in
generale nel mondo arabo). In questo modo la situazione di un’Italia, a noi
pregiudizialmente avversa, legata da vincoli di amicizia al Giappone e ormai
ben installata a cavallo delle nostre vitali linee di comunicazione tra
Mediterraneo e Oceano Indiano, non potrà che danneggiare gravemente la nostra
libertà di azione in Estremo Oriente. Inutile poi aggiungere che il mancato
riconoscimento dell’impresa abissina, da parte nostra, spingerà Mussolini a
consolidare l’asse Roma-Berlino (addirittura fino all’alleanza militare tra
Italia e Germania), accrescendo le manifestazioni di forza militare del regime
nazista e la sua capacità di ricattarci impunemente. Credo che voi conveniate
con me sul fatto che Hitler ci chiederebbe di acquistare la sua amicizia a un
prezzo più alto, se noi avessimo al nostro fianco un’Italia decisamente ostile e
non semplicemente neutrale.” (The Diaries of Sir Alexander Cadogan).
(…) Il 31
ottobre 1938, prima che il brodo di cultura dello sciovinismo fascista avesse
raggiunto questo punto di ebollizione, Chamberlain e Halifax (Prime Minister e
Foreign Secretary, ndr) tentarono di salvare il salvabile, chiedendo di
incontrare Mussolini. Una decisione, questa, assunta nella convinzione che il
perdurare della tensione tra Parigi e Roma avrebbe distrutto persino il
simulacro del già pericolante Patto di Pasqua (con cui Londra aveva accettato,
di fatto, l’annessione dell’Etiopia, ndr) e affrettato la marcia di
avvicinamento dell’Italia verso la Germania., “se non si fosse concessa la capo
del governo italiano una libertà di movimento superiore a quella di cui gode ora
per aiutarlo a sfuggire ai maneggi di Hitler”. Con un tale obiettivo il premier britannico e il Foreign Secretary si recarono a Roma,
dove si trattennero dall’11 al 13 gennaio 1939 per una serie di colloqui. Queste
consultazioni, secondo la testimonianza del Capo gabinetto di Ciano, Filippo
Anfuso, finirono, però, per spinger il Duce a “regolare la questione dell’alleanza
con il Reich” in un senso esattamente
contrario ai desideri dei suoi interlocutori. Mussolini, infatti, vide “negli
accenni del premier britannico e in
quelli di Halifax il tentativo di staccarlo dalla Germania, non perché importasse
a Londra e a Parigi di assicurarsi il concorso italiano”, ma soltanto “per
evitare un accrescimento della potenza tedesca ritenuta preoccupante”. E se “l’ultima
considerazione lo colpì”, facendogli valutare ancor più positivamente la
possibilità di una più stretta intesa politico-militare con Berlino, “la prima
lo offese profondamente”, come una prova della scarsa considerazione in cui
Londra e Parigi tenevano ancora la nuova Italia fascista. “”
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