Un estratto di questo articolo è stato pubblicato nella rubrica #IlGraffio su AdviseOnlyBlog in data 27.5.2016.
Nelle analisi
sui titoli azionari (i c.d. “equity report”), gli analisti delle case di
investimento indicano il “target price”: il prezzo-obiettivo che il titolo
potrà raggiungere sulla base dei piani industriali preparati dalla società e
dello scenario macro-economico e settoriale, in un prossimo futuro.
La domanda: “si può credere ai target price?” non è
peregrina; vediamo perché, analizzando brevemente una specifica situazione,
oggetto di operazioni societarie lanciate in queste settimane: RCS. A fronte di
una OPS (offerta di scambio azionario fra Cairo Communications ed RCS) è stata
annunciata una contro-OPA da un pool di investitori (InvestIndustrial di
Bonomi, Mediobanca, Della Valle, UnipolSai); il CdA di RCS ha dichiarato non
adeguata l’OPS perché non allineata con il “target price” del titolo RCS, che
il “consensus” degli analisti indica in 0,81 euro/azione. La quotazione del
titolo RCS ante-OPS era di 0,408 euro (7.4.2016). (Ci asteniamo da ogni
valutazione o considerazione sui meriti, o demeriti, di OPS e contro-OPA, non
avendone titolo e merito.)
Un po’ di
storia non fa male, a saperla recuperare: partiamo dall’andamento del titolo
che nei 5 anni trascorsi ha avuto un massimo a 7,367 euro il 6.9.2012, un
minimo a 0,4713 il 31.3.2014; nei 12 mesi passati, il massimo è stato 1,243 il
21.3.2014.
Gli analisti di
Equita (report 17.3.2014) hanno valutato il titolo RCS come “Buy” con un
“target price” di 2,1 euro, rilevando l’impatto del “cost cutting” di 220
milioni, previsto dal management. Kepler (2.8.2013) ha classificato “Hold”
l’azione, con un “target price” di 1,38 euro nella convinzione di un “faster
than expected cost cutting” da parte di RCS. Ancor prima, Deutsche Bank ha
emesso un “Buy” con un “target price” di 1,30 euro, sempre nella convinzione di
un “new cost cutting” da parte della società.
Nei 5 anni trascorsi, la società ha effettuato
alcuni aumenti di capitale, ma nonostante l’afflusso di mezzi freschi ha
complessivamente “bruciato” circa 1.300 milioni di euro: il “cost cutting”
atteso non si è sostanziato, nonostante la vendita della divisione Libri (i cui
effetti sul conto economico di RCS si dispiegheranno solo nel 2016) e dello
stabile storico di via Solferino a Milano; le perdite sono continuate: nel 2015
a fronte di ricavi per 1.065 milioni l’EBITDA è stato di 16,4 milioni ed il
risultato netto è stato una perdita di 175,7 milioni; il debito a fine 2015 era
di 436,7 milioni, contro un Patrimonio Netto di 105,2 milioni (tutti dati
tratti dal sito di Borsa Italiana).
In sintesi: una
società che non ha rispettato, nemmeno lontanamente, gli obiettivi dichiarati e
reiterati; piani industriali presentati alla comunità finanziaria che sempre
indicavano “sorti migliori e progressive”; analisti che sempre hanno
“assecondato e comprato” tali piani presentati dal management; investitori
privati (che complessivamente possiedono circa il 38% delle azioni RCS, mentre
il restante è stato sinora in “mani solide ed amiche”) che hanno sottoscritto
azioni sulla base delle previsioni (rivelatesi assai e troppo ottimistiche,
dopo pochissimo tempo); il tutto, in uno scenario di mercato che, pur essendo
difficile, non è stato “dirompente” e tale da essere considerato
“straordinario” o non prevedibile.
Astrarre dal
particolare al generale è sempre fuorviante; ma l’esperienza di RCS degli
ultimi anni fa sembrare facile la risposta alla domanda iniziale (“si può
credere ai target price?”): un sonoro “no”.
E laddove si
ricordi che gli analisti hanno accesso a dati ed informazioni pubbliche, ai
“road show” organizzati dalle singole società, alle “conference call” tenute
dal management delle singole società che dispensano “slides” multicolori con
numeri sempre belli e brillanti, ad incontri “one-to-one”, tutte belle cose che
al singolo investitore privato sono negate; ebbene, allora sembra emergere una
situazione ove forse gli analisti bene farebbero a tornare sui banchi di scuola
(secondaria) e studiare i “basics” della materia, il management a conoscere le
società che guidano, i consigli di amministrazione a valutare con tempestività
le azioni del management, gli azionisti “pesanti” a smetterla di considerare le
società possedute come “terreno esclusivo di caccia al piccione”; e gli
azionisti privati a ben considerare se, ancora in volta, vogliono, o no, essere
i soliti “piccioni”.
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