Quando arrivano, anche gli scandali possono essere benvenuti.
Quanto è emerso dallo scandalo-toghe porta alla
ribalta un tema: se una istituzione in cui i cittadini “devono” credere –
perché se si perde fiducia nella giustizia allora si torna all’ “homo homini
lupus” – è allo sbando lacerata da un sistema malatissimo … allora è giunto il
momento di discutere l’intero ruolo dello stato.
La domanda essenziale è quindi: lo stesso deve essere
minimo? È possibile ed auspicabile restituire alla mano privata quanto più
possibile possa essere gestito in modo efficiente efficace e competitivo?
Il quadro in cui inserire il tema ci sembra contrassegnato da
due elementi portanti:
-
- il primo è che l’Italia, come gli altri paesi
dell’Europa occidentale, è uno stato sociale, per cui alcune funzioni
essenziali sono oggi garantite e fornite dallo stato: istruzione, sanità ed
assistenza, difesa, giustizia; ad esse si è aggiunta la previdenza sociale e
pensionistica (per una lettura critica su questo argomento, segnaliamo il
nostro articolo “Belpaese e pensioni: l’incrocio pericoloso è
fra demografia, istruzione e coperture” apparso su Econopoly: https://www.econopoly.ilsole24ore.com/2018/07/29/pensioni-demografia-istruzione/,
a cui rinviamo per approfondimenti); l’evoluzione, e quindi l’allargamento
delle azioni dello stato, è stata costante ed accelerata nel secondo dopoguerra
anche a seguito di quanto indicato e previsto nella Costituzione repubblicana,
di stampo programmatorio e sociale;
-
- il secondo è che non esistono i soldi dello
stato, ma solo i soldi dei contribuenti (come mirabilmente sintetizzato da
un primo ministro, ovviamente straniero, decenni orsono), per cui ogni
qualvolta lo stato decide di spendere, od investire, utilizza soldi che gli
arrivano direttamente dalle tasche dei contribuenti sotto forma di imposte e
tasse, od indirettamente attraverso la sottoscrizione di titoli di stato da
parte dei suoi cittadini (unitamente ad istituzioni, come banche e fondi di
investimento, italiani e stranieri).
Navigando fra Scilla (stato sociale) e Cariddi (soldi dei
contribuenti) il governo, quindi la mano pubblica, dovrebbe tenere una rotta
coerente e costante: a nostro avviso, fornire servizi solo a fronte di
disponibilità certe, perseguendo efficacia ed efficienza degli interventi;
ed ancora più importante ci sembra necessario che sia assicurata la trasparenza
degli obiettivi, delle azioni, dei comportamenti, dei risultati. Obiettivi,
azioni, comportamenti, risultati…: l’evidenza e la realtà (costantemente negata
da chi la dovrebbe invece ben conoscere) vanno in direzione opposta; i governi,
centrale e locale, e tutti i governi passati e presente, fanno dell’opacità la
cifra dei loro interventi; e come cittadini dobbiamo reagire ed agire per
rompere questo cordone di omertà, connivenza, troppo spesso malaffare.
Ci sembrano attuali e perfette le parole di un economista
italiano di inizio ‘900: “Qualunque imbecille può inventare e imporre tasse.
L'abilità consiste nel ridurre le spese, dando nondimeno servizi efficienti,
corrispondenti all'importo delle tasse.” A questa massima dovrebbe tendere un
amministratore per essere considerato un buon amministratore. E’ forse casuale che da decenni non ci siano
buoni amministratori?
Ci preme sfatare un mito: che nella sua azione di stato sociale
lo stato debba necessariamente gestire le funzioni definite o definibili come
“stato sociale”; un conto è assicurare (con i fondi raccolti dai
contribuenti tramite imposte e tasse) la disponibilità di un servizio ed un
altro conto è gestire quel servizio; per essere chiari valga questo esempio:
se l’assistenza sanitaria è gratuita ed universale in Italia, non c’è scritto
nella pietra che la gestione, quindi l’erogazione effettiva, debba essere
sempre fornita dalla mano pubblica; deve intervenire un processo di
comparazione e valutazione della efficienza della erogazione del servizio
(quindi, il minor costo) con l’efficacia della erogazione stessa; crediamo che
in molti casi questa valutazione porti ad una semplice conclusione: la mano privata
è più efficiente (per miglior allocazione delle risorse scarse, per miglior
competenza degli operatori legata all’effetto “competizione e selezione”, per
una più attenta gestione delle risorse economiche) di quella pubblica.
Noi auspichiamo uno “stato minimo” che assicuri poche ed
essenziali funzioni sociali: istruzione, sanità ed assistenza, difesa,
giustizia; a queste funzioni aggiungiamo la gestione di poche
infrastrutture già esistenti: le strade nazionali e locali (diverse
dalle autostrade soggette a pedaggio ed ad un processo di concessione); le
linee ferroviarie, per tali intendendosi “i binari”, lasciando alla
concorrenza la gestione delle linee ad alta velocità (che auspichiamo possano
crescere in chilometraggio, e rapidamente). Le altre infrastrutture, comprese
la gestione dell’acqua (la cui proprietà, come noto ma spesso dimenticato, è
pubblica, checché ne concionino i “soliti” protestanti), vanno lasciate allo
sviluppo della mano privata in regime di concorrenza (porti, aeroporti, linee telefoniche,
…).
Per la previdenza, riteniamo che il sistema attuale debba essere
profondamente ristrutturato, prevedendo un affiancamento della previdenza
integrativa privata che possa godere del c.d. regime “EET” (esenzione nella
fase dei versamenti: c.d. accumulazione, esenzione sui frutti degli
investimenti nel corso della fase di accumulazione, tassazione nella fase di
erogazione della rendita pensionistica; vedi, sul tema, https://ilblogdisodocaustico.blogspot.com/2014/11/paper-laraba-fenice-ovvero-le-pensioni.html,
seppure “datato” novembre 2014).
Noi vorremmo uno stato altamente efficiente, efficace,
trasparente e lontano da mere logiche di spartizione del potere, come l’esempio
della giustizia fatto in premessa purtroppo conferma amplificando il problema:
sono necessari degli interventi chirurgici immediati e profondi. Ma questo è
tema ultraneo a questo modesto scritto.
Auspichiamo uno stato che si dedichi alla regolamentazione ed
al controllo, attraverso quel sistema di controlli pubblici oggi assicurati
dalle tante (troppe?) authority esistenti; infatti, come può uno stato
essere al tempo soggetto regolatore e soggetto regolato?
Sappiamo che questo disegno è oggi ancora irrealistici; ma si
deve sempre puntare in alto per arrivare almeno al passo successivo.
Per chi fosse interessato al tema della presenza dello stato
nell’economia, segnaliamo un nostro recente articolo apparso su Econopoly: “Neo-liberismo:
chi l’ha visto?” (https://www.econopoly.ilsole24ore.com/2018/08/12/neoliberismo-italia-chi-l-ha-visto/
)
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