Il sistema
pensionistico italiano, a nostro avviso, è un sistema irrazionale,
inconsistente, insostenibile, finanziariamente inefficiente, temerariamente
ottimista.
Cercheremo di
accompagnarvi nella scoperta di questo sistema, rispondendo a domande quali: come
vengono gestite (o non gestite..) le somme versate dai dipendenti, chi è
demandato alla gestione e quali professionalità "mette in campo", su
quali basi attuariali sono basate le previsioni di pagamento futuro delle
pensioni, se esistono fondi adeguati per adempiere all’ “obbligo previdenziale”
da parte dell’INPS, per quanto tempo ci saranno fondi sufficienti per erogare
le pensioni, quanta parte dei versamenti previdenziali è "riversata"
verso attività c.d. assistenziali che nulla hanno che fare con la previdenza
... tutte cosucce di poco conto e su cui "il silenzio istituzionale è
doverosamente d'oro".
Il calcolo della pensione
Partiamo dalle
regole di calcolo della pensione (come modificata dalla Legge 335/1995 e
successive integrazioni), ripartite fra metodo retributivo (pensione
calcolata sulla base della retribuzione degli ultimi anni lavorativi,
indipendentemente dal totale dei contributi effettivamente versati: c.d. “pay-as-you-go unfunded defined benefit”) e metodo contributivo (pensione
calcolata sulla base dei contributi effettivamente versati, adeguati e
ri-valutati annualmente, applicando un "coefficiente di rivalutazione", secondo regole predefinite: c.d. “defined contribution”, che nella versione italiana è “unfunded”, cioè senza un patrimonio di
previdenza specifico, ed a “capitalizzazione simulata sulla crescita” ).
Anticipiamo che
il “coefficiente di rivalutazione” adottato non ha alcun riferimento
all’effettivo rendimento dei contributi investiti anno per anno dall’ente pensionistico
INPS, nel caso della pensione pubblica o “primo pilastro”, come ci si dovrebbe
attendere per un investimento di natura finanziaria a capitalizzazione: “”tanto verso, tanto viene investito, tanto
rende, a fine anno tiro la riga e vedo di quanto il capitale iniziale si è
incrementato.”” Il coefficiente di rivalutazione è diverso da tutto ciò: il
coefficiente di rivalutazione viene calcolato annualmente dall’ISTAT sulla base
della variazione del PIL. I più attenti hanno forse già compreso “dove andiamo
a parare”: per tutti, aspettate e stupite.
Un po' di storia...
Per arrivare a chiarire chi rientrasse in una delle 2 categorie, nel 1995 il legislatore fece una prima distinzione fra chi avesse una anzianità contributiva al 31.12.1995 e chi non la avesse, fissando la regola che il criterio di calcolo della pensione variasse a seconda dell'anzianità contributiva maturata dal lavoratore al 31 dicembre 1995: pensione calcolata con il sistema di calcolo contributivo per i lavoratori privi di anzianità al 31/12/1995 (e per coloro che nel frattempo avessero esercitato la facoltà di opzione al sistema di calcolo contributivo).; sistemi retributivo e misto continuano a convivere per i soggetti iscritti al 31/12/1995. Con effetto dal 1° gennaio 2012, anche ai lavoratori in possesso di un'anzianità contributiva di almeno 18 anni al 31/12/1995 si è infine applicato il sistema di calcolo contributivo sulla quota di pensione corrispondente alle anzianità contributive maturate a decorrere dal 1° gennaio 2012.
Quindi,
coesistono diversi sistemi di calcolo, e quindi erogazione, delle pensioni:
alcuni futuri pensionati andranno in pensione col sistema retributivo (quanti
avessero maturato 18 anni di contribuzione al 31.12.1995); altri con un sistema
misto (nel caso avessero maturato meno di 18 anni di contribuzione al
31.12.1995, periodo per cui varrà il metodo retributivo, mentre per il periodo
successivo al 31.12.1995 varrà il sistema contributivo); altri ancora, e questo
vale per tutti quanti non avessero contributi al 31.12.1995, col sistema
contributivo.
Quando il
sistema andrà a regime? Oltre 30 anni dopo la riforma entrata in vigore dal
31.12.1995. Ad multos annos!
Vediamo ora in
dettaglio i sistemi, partendo dal sistema contributivo.
IL
SISTEMA CONTRIBUTIVO
La pensione è
calcolata esclusivamente con il sistema di calcolo contributivo per i
lavoratori privi di anzianità contributiva al 1° gennaio 1996 e per i
lavoratori che esercitano la facoltà di opzione al sistema di calcolo
contributivo. Ai fini del calcolo occorre:
- individuare la retribuzione annua dei lavoratori dipendenti o i redditi conseguiti dai lavoratori autonomi o parasubordinati;
- calcolare i contributi di ogni anno sulla base dell'aliquota di computo (33% per i dipendenti; 20% per gli autonomi; vigente anno per anno per gli iscritti alla gestione separata);
- determinare il montante individuale che si ottiene sommando i contributi di ciascun anno opportunamente rivalutati sulla base del tasso annuo di capitalizzazione derivante dalla variazione media quinquennale del PIL (prodotto interno lordo) determinata dall'Istat;
- applicare al montante contributivo il coefficiente di trasformazione, che varia in funzione dell'età del lavoratore, al momento della pensione, così come riportato nella tabella:
Coefficienti
di trasformazione applicati dal 1° gennaio 2010
Età
|
Divisori
|
Coefficienti
|
57
|
22,627
|
4,419%
|
58
|
22,035
|
4,538%
|
59
|
21,441
|
4,664%
|
60
|
20,843
|
4,798%
|
61
|
20,241
|
4,940%
|
62
|
19,635
|
5,093%
|
63
|
19,024
|
5,257%
|
64
|
18,409
|
5,432%
|
65
|
17,792
|
5,620%
|
tasso di
sconto = 1,5%
|
Coefficienti di
trasformazione in vigore dal 1° gennaio 2013
I divisori e i coefficienti di trasformazione, soggetti a revisione triennale, sono stati rideterminati a maggio 2012 nella misura riportata in tabella
I divisori e i coefficienti di trasformazione, soggetti a revisione triennale, sono stati rideterminati a maggio 2012 nella misura riportata in tabella
Età
|
Divisori
|
Coefficienti
|
57
|
23,236
|
4,304%
|
58
|
22,647
|
4,416%
|
59
|
22,053
|
4,535%
|
60
|
21,457
|
4,661%
|
61
|
20,852
|
4,796%
|
62
|
20,242
|
4,940%
|
63
|
19,629
|
5,094%
|
64
|
19,014
|
5,259%
|
65
|
18,398
|
5,435%
|
66
|
17,782
|
5,624%
|
67
|
17,163
|
5,826%
|
68
|
16,541
|
6,046%
|
69
|
15,917
|
6,283%
|
70
|
15,288
|
6,541%
|
tasso di
sconto = 1,5%
|
Il coefficiente di trasformazione in rendita o pensione determina l' importo annuo della pensione di vecchiaia contributiva, in percentuale, del montante contributivo individuale o riserva matematica determinata dai contributi versati; il coefficiente di trasformazione in rendita è determinato su base statistica e varia -- come indicato nella tabella -- in base all’età anagrafica al momento del pensionamento e tiene conto della speranza di vita media, incorporando il tasso di crescita del Pil di lungo periodo stimato nell’1,5%. La generosità gratuita e futura spesso costa assai e troppo.
Il montante
individuale rappresenta il capitale che il lavoratore ha accumulato nel corso
degli anni "lavorativi".
Per determinare il montante individuale dei contributi occorre:
Per determinare il montante individuale dei contributi occorre:
- individuare la base imponibile annua (cioè la retribuzione annua, per gli iscritti alle gestioni pensionistiche dei lavoratori dipendenti; il reddito annuo, per gli iscritti alle gestioni previdenziali dei lavoratori autonomi) corrispondente ai periodi di contribuzione (obbligatoria, volontaria, figurativa, da riscatto, da ricongiunzione) fatti valere dall'assicurato in ciascun anno;
- calcolare l'ammontare dei contributi di ciascun anno moltiplicando la base imponibile annua per l'aliquota di computo del 33 per cento, per i periodi di contribuzione da lavoratore dipendente, ovvero per l'aliquota di computo del 20 per cento, per i periodi di contribuzione da lavoratore autonomo; per i parasubordinati l’aliquota varia dal 17% al 27%.
- determinare il montante individuale dei contributi sommando l'ammontare dei contributi di ciascun anno, rivalutato annualmente sulla base del tasso annuo di capitalizzazione risultante dalla variazione media quinquennale del prodotto interno lordo nominale (PIL), appositamente calcolata dall'ISTAT con riferimento al quinquennio precedente l'anno da rivalutare.
L’importo così
ottenuto costituisce la quota di montante individuale dei contributi per i
periodi maturati successivamente al 31 dicembre 1995. La rivalutazione del
montante contributivo su base composta deve essere operata al 31 dicembre di
ciascun anno con esclusione della contribuzione dello stesso anno e ha effetto
per le pensioni aventi decorrenza dal 1° gennaio dell'anno immediatamente
successivo.
Prima di passare ai successivi sistemi,
il lettore avrà già compreso che elemento non secondario per il calcolo
dell’agognata pensione pubblica è il “tasso annuo di rivalutazione” calcolato
dall’ISTAT, da cui siamo partiti in questo viaggio non agevole nel mondo della
pensione.
Il tasso di rivalutazione per l’anno 2014 è stato indicato in questi giorni
di inizio novembre: è – 0,1927 %, calcolato sulla base della serie storica del PIL
degli ultimi 5 anni. Il PIL italiano non cresce, anzi decresce, e quindi si
abbassa anche il montante su cui viene calcolata, ed erogata, la pensione.
Se nel 1996 il coefficiente era un generoso 6,2054%, esso è sceso
regolarmente da quel “picco”, scendendo sotto il 4% a partire dal 2004
(3,9272%), e sotto il 2% dal 2010: 1,7935% nel 2010, 1,6165% nel 2011, 1,1344%
nel 2012, 0,1643% nel 2013 ed infine -0,1927% nel 2014.
L’ISTAT è stato chiaro: “Si
sottolinea che per la prima volta dall’entrata in vigore della legge sopra
citata (la 335/1995, ndr) il coefficiente di rivalutazione risulta inferiore
all’unità, a causa della dinamica negativa del PIL nominale nel periodo
considerato”.
Aggiungiamo che “nominale” è diverso da “reale”, inferiore al nominale per
effetto dell’erosione dell’inflazione nel frattempo intervenuta negli anni.
Rincariamo la dose ricordando che il legislatore ha appena aumentato
l’aliquota fiscale sui frutti della previdenza complementare (secondo e terzo
pilastro), i cui rendimenti peraltro non sono legati alla dinamica del PIL ma a
quelli dei rendimenti effettivi degli attivi finanziari (azioni, obbligazioni,
liquidità, immobili) inseriti nei portafogli di investimento dei fondi
pensionistici ed assicurativo-pensionistico.
In concreto, se l’applicazione di un indice negativo ad un singolo
anno, pur non irrilevante, non incide in
modo consistente e duraturo sulla pensione, si deve ricordare che ciò potrebbe
ripetersi in futuro. Un rischio non preventivato nei decenni passati, ma ben
compreso nei “magri tempi” attuali.
IL SISTEMA
RETRIBUTIVO
Si
applica alle anzianità contributive maturate fino al 31/12/2011
dai lavoratori con almeno 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995.
Secondo tale sistema, la pensione è rapportata alla media delle retribuzioni (o redditi per i lavoratori autonomi) degli ultimi anni lavorativi.
Secondo tale sistema, la pensione è rapportata alla media delle retribuzioni (o redditi per i lavoratori autonomi) degli ultimi anni lavorativi.
Si basa su tre
elementi:
- l'anzianità contributiva, è data dal totale dei contributi fino ad un massimo di 40 anni che il lavoratore può far valere al momento del pensionamento e che risultano accreditati sul suo conto assicurativo, siano essi obbligatori, volontari, figurativi, riscattati o ricongiunti;
- la retribuzione/reddito pensionabile, è data dalla media delle retribuzioni o redditi percepiti negli ultimi anni di attività lavorativa, opportunamente rivalutate sulla base degli indici Istat fissati ogni anno;
- l'aliquota di rendimento, è pari al 2% annuo della retribuzione/reddito percepiti entro il limite (per le pensioni con decorrenza nel 2012 di 44.161 euro annui) per poi decrescere per fasce di importo superiore. Ciò vuol dire che se la retribuzione pensionabile non supera tale limite, con 35 anni di anzianità contributiva la pensione è pari al 70% della retribuzione, con 40 anni è pari all'80%.
L'importo della
pensione con il sistema retributivo si compone di due quote: Quota A
determinata sulla base dell'anzianità contributiva maturata al 31 dicembre 1992
e sulla media delle retribuzioni degli ultimi 5 anni, o meglio, delle 260
settimane di contribuzione immediatamente precedenti la data di pensionamento
per i lavoratori dipendenti, e dei 10 anni (520 settimane di contribuzione)
immediatamente precedenti la data di pensionamento per i lavoratori autonomi; Quota
B determinata sulla base dell'anzianità contributiva maturata dal 1°
gennaio 1993 alla data di decorrenza della pensione e sulla media delle
retribuzioni/redditi degli ultimi 10 anni per i lavoratori dipendenti e degli
ultimi 15 anni per gli autonomi.
IL SISTEMA
MISTO
Si applica ai
lavoratori con meno di 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995 e a decorrere
dal 1° gennaio 2012 anche ai lavoratori con un'anzianità contributiva
pari o superiore a 18 anni al 31 dicembre 1995. Per i lavoratori con
un'anzianità contributiva inferiore a 18 anni al 31/12/1995 la pensione
viene calcolata in parte secondo il sistema retributivo, per l'anzianità
maturata fino al 31 dicembre 1995, in parte con il sistema contributivo, per
l'anzianità maturata dal 1° gennaio 1996. Per i lavoratori con un'anzianità
contributiva pari o superiore a 18 anni al 31/12/1995 la pensione viene
calcolata in parte secondo il sistema retributivo, per l'anzianità maturata
fino al 31 dicembre 2011 secondo le modalità descritte nel paragrafo
relativo al sistema retributivo, e in parte con il sistema contributivo, per
l'anzianità contributiva maturata dal 1° gennaio 2012.
Che cosa dice l’INPS…
Il legislatore (legge 335 del 1995) ha previsto che la pensione sia
calcolata esclusivamente con il sistema di calcolo contributivo per i
lavoratori privi di anzianità contributiva al 1° gennaio 1996 e per i
lavoratori che esercitano la facoltà di opzione al sistema di calcolo
contributivo: siete proprio sicuri? A pagina 111 del Rapporto Annuale INPS
trovate la risposta: “”Sul piano delle modalità di finanziamento,
il modello pensionistico obbligatorio nel nostro paese si configura come un
sistema a ripartizione, in cui l’onere pensionistico è ripartito sui lavoratori
correnti: i contributi dei lavoratori attivi vengono immediatamente utilizzati
per pagare le pensioni ai lavoratori in quiescenza. In quanto tale, il metodo a
ripartizione subisce le oscillazioni del dato occupazionale, del livello
retributivo degli assicurati e dell’andamento demografico.””
Quindi, delle due l’una: o l’INPS non sa che cosa ha deciso il legislatore,
dopo quasi 20 anni dalla approvazione della legge sul riordino pensionistico,
oppure siamo tutti presi per il naso ed il sistema pensionistico resta e
resterà il retributivo. Siamo e continueremo ad essere presi per il naso.
L’INPS dichiara esplicitamente che le somme dei contributi vengono
immediatamente utilizzate per pagare le pensioni ai pensionati: nessuna
politica di gestione finanziaria, nessuna allocazione dei contributi ad un
“conto individuale”; l’INPS non ha né competenze né ruoli e funzioni di gestione
finanziaria; “tanto entra, tanto esce …”.
Inutile pensare a stime attuariali, stime finanziarie sui rendimenti delle
attività finanziarie (che stanno in cassa per pochi giorni, giusto per arrivare
a fine mese e pagare le pensioni …), profili di rischio e di investimento sulla
base dell’età del lavoratore in servizio e della personale propensione al
rischio, modelli di investimento a lungo termine e quanto faccia parte della
normale dotazione di strumenti del gestore di patrimoni.
La storia del sistema pensionistico obbligatorio a gestione pubblica
italiano non può sorvolare sul fatto che sino al 31.12.1995 i trattamenti
pensionistici dei dipendenti dello stato (CTS) e degli enti locali (CPDEL)
erano a carico dello stato, non esistendo una cassa previdenziale; solo dall’
1.1.1996 si provvedeva ad istituire presso l’INPDAP la gestione separata del
trattamento pensionistico dei dipendenti dello stato (Cassa Trattamenti
Pensioni Statali, CTPS), prevedendo che la Pubblica Amministrazione versasse
l’intera contribuzione all’INPDAP; ma non era previsto alcun trasferimento del
capitale contributivo virtualmente (i.e., puramente figurativo, poiché nessuna
somma era mai stato accantonata) accantonato negli esercizi precedenti nel
bilancio statale; si stabilì un apporto dello stato a favore della gestione
relativa, finalizzato a garantire il pagamento dei trattamenti pensionistici
statali ponendo a carico dello stato i trattamenti relativi, sino al 2007. Dal
2008 (legge finanziaria 2008) è stato eliminato tale apporto finanziario alla
CTPS, causando un disavanzo finanziario in costante crescita: 5.627 milioni nel
2009, 6.221 milioni nel 2010, 8.456 nel 2011. L’INPDAP venne abolito il
31.12.2011, con trasferimento degli obblighi all’INPS. Il debito cumulato
dall’INPDAP per le anticipazioni erogate era di 25 miliardi a fine 2011. Con la
legge di stabilità 2012 sono stati ripristinati meccanismi di finanziamento
statale a sostegno delle gestioni ex-INPDAP ed è stata costituita presso l’INPS
la Gestione degli interventi assistenziali e di sostegno della gestione
previdenziali (GIAS), con oneri a carico dello stato.
In sintesi: non ci sono stati accantonamenti pensionistici per i dipendenti
pubblici sino a tutto il 1995: la P.A. è
stata inadempiente per decenni; lo squilibrio conseguente è stato coperto, ed è
ancora coperto, dalla fiscalità generale: le tasse sui redditi che i cittadini
pagano allo stato sono in parte utilizzati per pagare le pensioni di dipendenti
statali, pensioni che non sono state coperte da accantonamenti, sia a carico
dei dipendenti che del datore di lavoro “stato”; situazione destinata a
proseguire negli anni futuri; esamineremo quanto sia questo disavanzo annuale e
quindi quanto sia il “trasferimento dalla tasca delle tasse cittadini alle
tasche dei pensionati pubblici”.
2012
|
in %
|
2013
|
in %
|
||
Entrate contributive
|
208.076
|
54,5%
|
209.995
|
52,9%
|
|
Trasferimenti dallo stato
|
93.801
|
24,6%
|
98.363
|
24,8%
|
|
altri trasferimenti
|
4.386
|
1,1%
|
4.280
|
1,1%
|
|
Entrate correnti
|
306.263
|
80,2%
|
312.638
|
78,8%
|
|
Vendita beni patrimoniali
|
7.804
|
2,0%
|
7.396
|
1,9%
|
|
partite di giro
|
55.648
|
14,6%
|
58.338
|
14,7%
|
|
Entrate finali
|
369.715
|
96,8%
|
378.372
|
95,4%
|
|
Trasferimenti in c/capitale
|
10
|
0,0%
|
10
|
0,0%
|
|
Prestiti
|
12.340
|
3,2%
|
18.439
|
4,6%
|
|
Totale Entrate
|
382.065
|
100,0%
|
396.821
|
100,0%
|
|
dettaglio:
|
2013
|
in %
|
|||
Gestione privata
|
153.331
|
73,0%
|
|||
Gestione dipend. Pubblici
|
55.504
|
26,4%
|
|||
Gestione lavor. Spettacolo
|
1.160
|
0,6%
|
|||
Entrate contributive
|
209.995
|
100,0%
|
Le tabelle indicano la composizione delle entrate dell’INPS: nel 2013, il
52,9% sono contributi previdenziali, e di questi il 73% sono contributi dei
dipendenti privati. Osservazioni che verranno utili nel corso del documento.
Negli ultimi 2 anni, le uscite dell’INPS sono indicate in tabella:
2012
|
in %
|
2013
|
in %
|
|
Funzionamento
|
3.522
|
0,9%
|
2.803
|
0,7%
|
Pensioni
|
261.487
|
66,7%
|
266.887
|
65,8%
|
Prestazioni temporanee
|
34.255
|
8,7%
|
35.325
|
8,7%
|
Altri interventi
|
15.819
|
4,0%
|
15.791
|
3,9%
|
Trattamenti quiescienza,
|
355
|
0,1%
|
362
|
0,1%
|
integrativi e sostitutivi
|
||||
Spese correnti
|
315.438
|
80,5%
|
321.168
|
79,2%
|
Investimenti
|
8.705
|
2,2%
|
7.921
|
2,0%
|
Partire di giro
|
55.648
|
14,2%
|
58.338
|
14,4%
|
Spese finali
|
379.791
|
96,9%
|
387.427
|
95,5%
|
Oneri comuni
|
12.060
|
3,1%
|
18.269
|
4,5%
|
Totale Spese
|
391.851
|
100,0%
|
405.696
|
100,0%
|
Il saldo fra entrate contributive (i contributi versati dai dipendenti
privati e dai dipendenti di lavoro privati, dai dipendenti pubblici) ed uscite
(pensioni pagate) è costantemente negativo:
2012
|
2013
|
|||
Entrate contributive
|
208.076
|
209.995
|
||
Pensioni
|
261.487
|
266.887
|
||
Sbilancio/deficit
|
-53.411
|
-56.892
|
||
In dettaglio, sia le gestioni dei dipendenti privati che le gestioni dei
dipendenti pubblici sono in deficit strutturale:
Pensioni
|
266.887
|
|||
Gestione privata
|
201.410
|
|||
Gestione dipend. Pubblici
|
64.531
|
|||
Gestione ex-ENPALS
|
946
|
|||
Entrate contributive
|
209.995
|
|||
Gestione privata
|
153.331
|
|||
Gestione dipend. Pubblici
|
55.504
|
|||
Gestione ex-ENPALS
|
1.160
|
|||
Deficit Gestione privata
|
-48.079
|
|||
Deficit Gest. Dip, pubblici
|
-9.027
|
|||
Deficit ex-ENPALS
|
214
|
Attesa la dinamica demografica, non vi sono ragionevoli aspettative di
ridurre tali deficit, laddove si consideri che nel 2012, per ogni 100 pensioni,
vi erano 131 contribuenti (lavoratori in servizio) e che nel 2013 tale rapporto
è sceso a 129,2. Tale rapporto era vicino a 700 negli anni 50.
In chiave prospettica, l’andamento demografico (si innalza l’età media
della popolazione, e quindi si estende il periodo di permanenza nella
condizione di pensionato/a) ed occupazionale (si riduce il rapporto fra
lavoratori e pensionati) aggiungono difficoltà e problemi per un sistema
pensionistico, in particolare per un sistema in cronico “deficit” finanziario;
la pratica attuariale e quella statistica indurrebbero il legislatore ed il
gestore pensionistico obbligatorio pubblico a rivedere la struttura di base del
sistema, che oggi non è in grado di auto-sostenersi, dovendo ricorrere al
sostegno dello stato, che attinge alla fiscalità generale; il futuro è ancora
più fosco ed occorre metter mano allo schema prima che esso “salti per aria”.
La situazione di sostanziale “default” dell’INPS è coperta dalla fiscalità
generale, come sopra ricordato, e questo schema è l’unico a disposizione
dell’ente previdenziale: ci sembra votato al rapido suicidio.
Il quadro diviene ancora più difficile laddove si consideri il peso
importante rivestito dalle prestazioni assistenziali sul totale delle uscite
dell’INPS, prestazioni che vengono erogate prelevando le somme relative dal
“monte contributivo” dei dipendenti in servizio: si tratta quindi di spese non
coperte da specifici accantonamenti, che vanno a “sottrarre” risorse
finanziarie al sistema pensionistico.
In termini generali, sarebbe auspicabile una netta separazione fra
prestazioni previdenziali, e relativa spesa, da un lato e prestazioni
assistenziale, e relativa spesa, dall’altro; la prima coperta da contributi, la
seconda coperta da fiscalità generale. Una separazione che aiuterebbe, inoltre,
il cittadino a ben “pesarne” benefici e pesi.
La spesa assistenziale per erogazione di pensioni assistenziali e per
l’invalidità civile è stata così composta nel 2012 e 2013:
2012
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2013
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Invalidi civili
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16.662
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17.428
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Altre prestazioni
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8.119
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7.899
|
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assegni sociali, vitalizi
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||||
Spesa assistenziale totale
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24.781
|
25.327
|
Fra le informazioni che riteniamo utili per una corretta valutazione della
tenuta del sistema, rileviamo che non sono disponibili dati sulla consistenza
delle pensioni di riversibilità, un istituto che assorbe risorse finanziarie
slegate da una previsione attuariale e statistica, e che andrebbe rivista
(inclusa una sua abolizione, per il futuro).
Rinviamo chi fosse interessato alla lettura del Rapporto Annuale INPS (sito
www.inps.it), 364 pagine
ricche di informazioni, purtroppo non sempre quelle essenziali ed utili per
capirne la dinamica finanziaria relativa alla gestione pensionistica. “Molto
c’è da fare”, anche in questo campo.
Il secondo ed il terzo pilastro.
Considerato che la pensione
obbligatoria non assicura, né assicurerà in futuro, un adeguato tenore di vita,
i lavoratori possono (devono …) scegliere di destinare una parte del proprio
risparmio alla costruzione di una rendita aggiuntiva, versando volontariamente
dei contributi alle forme pensionistiche complementari. Le forme
pensionistiche complementari si distinguono fra fondi pensione e piani
pensionistici individuali (PIP), entrambi sottoposti alla vigilanza della
COVIP.
I fondi pensione (istituiti da banche, assicurazioni, SGR e SIM) sono il secondo pilastro della previdenza e possono essere aperti o chiusi. Ai fondi aperti può iscriversi chiunque. Ai fondi chiusi possono iscriversi solo i lavoratori che appartengono a una determinata categoria (dipendenti di una particolare azienda, che svolgono un determinato tipo di lavoro o residenti in una particolare Regione); sono detti negoziali i fondi costituiti sulla base di un accordo tra datore di lavoro e sindacati o associazioni di categoria.
I PIP costituiscono il terzo pilastro della previdenza e si realizzano mediante polizze assicurative (contratti di assicurazione sulla vita a scopo previdenziale), a carattere individuale.
I fondi pensione (istituiti da banche, assicurazioni, SGR e SIM) sono il secondo pilastro della previdenza e possono essere aperti o chiusi. Ai fondi aperti può iscriversi chiunque. Ai fondi chiusi possono iscriversi solo i lavoratori che appartengono a una determinata categoria (dipendenti di una particolare azienda, che svolgono un determinato tipo di lavoro o residenti in una particolare Regione); sono detti negoziali i fondi costituiti sulla base di un accordo tra datore di lavoro e sindacati o associazioni di categoria.
I PIP costituiscono il terzo pilastro della previdenza e si realizzano mediante polizze assicurative (contratti di assicurazione sulla vita a scopo previdenziale), a carattere individuale.
Gli elementi da considerare
per scegliere se e come aderire alla previdenza complementare sono:
- il tasso di sostituzione atteso, cioè il prevedibile rapporto tra l’importo della prima pensione obbligatoria che spetterà al momento della cessazione dell’attività lavorativa e l’importo dell’ultima retribuzione
- il trattamento fiscale del risparmio destinato alla previdenza rispetto a quello destinato ad altri tipi di investimento
- i possibili rendimenti finanziari dei contributi versati alla previdenza complementare rispetto a quelli che si possono attendere da altri investimenti e dal Trattamento di Fine Rapporto (TFR)
- le condizioni di utilizzo delle somme accumulate come TFR o presso i fondi
- le spese di gestione
- l’eventuale contributo del datore di lavoro in caso di adesione alla previdenza complementare.
Il
risparmio versato a una forma pensionistica complementare è soggetto a una
tassazione, sinora più favorevole rispetto a tutte le altre forme di
investimento ma in procinto di perdere la sua peculiarità:
- le somme versate ai fondi o ai PIP fino all’importo di 5.164,56 euro all’anno non sono tassate; alle somme versate oltre tale limite si applicano le stesse aliquote con cui è tassata la retribuzione
- i rendimenti finanziari degli investimenti, sinora tassati all’11,5%, saranno soggetti ad una aliquota maggiorata al 20%
- le pensioni saranno tassate ad un’aliquota compresa tra il 9 e il 15%, in funzione di vari parametri, fra cui la permanenza nel fondo.
La maggioranza dei paesi
OCSE adotta il sistema EET, con 3
grandi eccezioni: Danimarca, Svezia ed Italia; la regola EET è semplice:
Esenzione (sui contributi versati), Esenzione (sui rendimenti dei fondi),
Tassazione (sulla pensione integrativa). Il sistema EET aumenta i vantaggi per
il risparmiatore, poiché i rendimenti annualmente realizzati sul “patrimonio
previdenziale” sono totalmente reinvestiti, e non ridotti dalla tassazione.
Sarebbe meglio tassare la prestazione finale (generalmente, con prestazioni
annuali od infra-annuali), nel contesto della tassazione del
pensionato-contribuente. L’Italia ha recepito la direttiva UE 41/2003 con il
d.lgs 28/2007, ma non applica lo schema EET.
Riteniamo particolarmente
penalizzante la tassazione annuale dei rendimenti, tenuto conto della natura
previdenziale dello strumento; una penalizzazione ancor più “antipatica” se si
osserva che i “rendimenti” della forma di previdenza obbligatoria pubblica non
sono soggetti a tassazione, anno per anno. Ma la potenza del legislatore
fiscale è senza limiti: differenze di trattamento alla partenza, durante il
viaggio periglioso della creazione del “montante pensionistico”, all’incasso
della pensione.
Il TFR versato a una forma
complementare (secondo pilastro) ed i versamenti ai PIP (terzo pilastro)
vengono investiti sui mercati finanziari dal gestore: quindi possono aumentare
o diminuire di valore secondo l’andamento degli investimenti e secondo la linea
di investimento (conservativa, bilanciata, aggressiva) prescelta. La legge (DM
703/1996) limita la allocazione degli investimenti: sino al 50% in azioni ed
obbligazioni UE, USA, Canada e Giappone negoziate/i in mercati regolamentati;
sino al 20% in azioni ed obbligazioni negoziate/i in mercati non regolamentati;
sino al 5% in titoli non-OCSE.
Il legislatore italiano,
nel suo accanimento farneticante e malaccorto, ha recentemente previsto la
possibilità che l’accantonamento annuo del TFR possa essere dirottato, in
parte, verso la “busta paga”; questa misura avrà un impatto negativo sull’intero
sistema complementare: ogni anno, 5.187 milioni di euro di accantonamenti da
quote TFR dei dipendenti privati sono diretti a forme di pensione
complementare; una cifra che rappresenta il 43,5% di tutti i flussi verso il
sistema previdenziale integrativo del 2013, che sono stati 11.913 milioni; la
percentuale sale al 63,4% (2.733 milioni su totali 4.308 milioni) per i fondi
pensione negoziali, che da soli hanno assorbito il 36,2% dei flussi dell’anno.
E’ di palmare evidenza che una eventuale misura – come quella sottoposta dal
governo in carica – che indirizzi l’accantonamento annuo del TFR verso la
“busta paga”, anche parzialmente, avrebbe impatti negativi sull’intero sistema
della previdenza complementare: un settore che si vuole, da anni, favorire, ma
che avanza a passi lenti, per cui una misura come quella immaginata dal governo
avrebbe l’effetto di uno “stop” forse definitivo, se solo si osserva che dal
2007 i lavoratori che hanno aderito al conferimento tacito del TFR ai fondi
complementari sono stati 231.000, l’8% dei nuovi iscritti (dipendenti del
settore privato) e solo il 3,7% dei 6.200.000 iscritti totali alle forme
pensionistiche complementari. Come da troppo tempo accade nel paese, la coperta
è corta: tiri da una parte, si scopre dall’altra.
La prestazione tipica di un
fondo pensione è l’erogazione di una rendita (pensione), a partire dal momento
del pensionamento. E’ possibile ottenere una liquidazione in capitale (in una
unica soluzione) sino al 50% del montante finale accumulato. La reversibilità
della prestazione al coniuge sopravvissuto è facoltativa ed opzionale, a fronte
del pagamento di un costo addizionale, annualmente corrisposto. La ragione è
semplice: nella elaborazione attuariale della previsione di trasformazione del
capitale finale in rendita, il gestore deve considerare un rischio di
sopravvivenza doppio e riferito al sottoscrittore ed al coniuge.
La prestazione
pensionistica sotto forma di rendita può prevedere diverse opzioni: rendita
semplice: è la rendita che viene pagata al pensionato finché in vita; rendita certa per un certo numero di anni e
poi vitalizia; rendita
reversibile; rendita con contro assicurazione per la restituzione del montante
residuale; rendita con maggiorazione per perdita di autosufficienza (copertura
Long Term Care, LTC). Come quando si acquista una autovettura nuova, ogni
optional, più o meno essenziale e/o importante, ha un costo addizionale.
Anche e specialmente in
campo previdenziale “two is better than one, especially when one probably means
nothing…”: due sistemi sono meglio di uno.
I fondi pensione hanno
caratteristiche importanti: sono individuali, e quindi personalizzabili; sono
“cash” e rappresentano un capitale, via via crescente, investibile e
fruttifero; sono “incassabili” (sino alla metà del capitale finale) e
“trasformabili” in coperture assicurative (come la LTC, importante in un’era di
innalzamento della aspettativa di vita e di concentrazione delle spese
sanitarie negli ultimi anni di vita). Alcune di queste caratteristiche sono, a
nostro avviso, necessarie anche per la forma di previdenza pubblica; il
“trasferimento” non sarà però indolore o facile, ma diverrà rapidamente materia
di discussione e confronto per allineare il sistema pubblico ai sistemi
previdenziali di paesi “virtuosi” (si pensi all’Olanda).
Auguriamo a tutti di godere un lungo periodo
lavorativo, non essendo così fiduciosi nell’augurare una altrettanto lunga e
serena pensione.
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