Un estratto di questo articolo è stato pubblicato nella rubrica #IlGraffio su AdviseOnlyBlog in data 15.4.2016.
Si avvicina la stagione delle assemblee e del rinnovo di molti consigli di
amministrazione: ma che cosa fanno, come sono composti, da chi sono eletti i
CdA? E vista la crescente pressione mediatica sulle banche, i CdA degli
istituti bancari hanno svolto bene il loro compito?
Partiamo dalla analisi dei dati (fonti: Sodali, Assonime, Financial Times);
i CdA delle società quotate europee sono composti in media da 11 membri, quelli
delle società italiane da 14, come in Germania, contro i 10 delle società UK,
svedesi e danesi ed i 9 di quelle svizzere. I consiglieri indipendenti (i
membri che non hanno rapporti privilegiati o d’affari con gli azionisti) in
Europa sono il 34% dei membri (e.g., Germania), in Italia sono il 42%, in Svizzera
il 58%, in UK il 62%. L’età media dei
CdA italiani è di 58,9 anni contro i 57,5 in UK ed un minimo di 55,3 in
Norvegia; per contro l’esperienza internazionale dei consiglieri italiani è
modesta (7,7%) se confrontata con la Norvegia (29,6%) e gli UK (32,1%). In prima approssimazione, la composizione dei
CdA, quella che ormai si definisce “corporate governance”, delle società
quotate italiane non è molto diversa da quella della media europea; quando
andiamo ad esaminare la composizione dei CdA delle banche abbiamo alcune
differenze (non sorprendenti, invero, tenuto conto dei variegati interessi che
sono rappresentati da azionisti come le fondazioni, espressione di poteri
locali più o meno pervasivi): i CdA di banche e società finanziarie hanno
infatti una composizione media di 14 membri, 4 in più di quelle non finanziarie
(che hanno una media leggermente inferiore alle 10 unità).
Le medie sono come il famoso “mezzo pollo di Trilussa”: fra le banche
principali, il Banco Popolare ha 24 membri, Biper 18, IntesaSanPaolo 28
(sistema duale), UBI 32 (duale).
Molti, e molto ben pagati: secondo un studio del 2015 di Governance
Consulting, il compenso medio dei consiglieri delle banche quotate (incluso il
capo azienda, CEO o AD) è di 850.000 euro annui.
Una cifra “esorbitante” laddove si consideri che la gestione aziendale
(delle banche, come di tutte le società quotate) è affidata all’amministratore
delegato/CEO ed al comitato esecutivo, che comprende solo alcuni dei
consiglieri di amministrazione, e che quindi i compiti degli altri consiglieri,
seppure ampi, hanno un ben minore grado di responsabilità e non coinvolgono
attività di gestione, loro preclusa. (In breve sintesi, ricordiamo che la legge
societaria italiana richiede alla società quotate la creazione di una pluralità
di comitati all’interno del CdA quali i comitati nomine, remunerazione,
controllo e rischi, operazioni con parti correlate -- che sono gli azionisti --,
supervisione della sostenibilità, cui partecipano i consiglieri con una
prevalenza di quelli indipendenti).
Come noto, le banche italiane sono quelle che hanno avuto i risultati
peggiori nel “assessment test” del 2014, che ha portato alla richiesta di
interventi sul capitale di alcune di esse (fra cui MPS e Carige), evidenziando
che i crediti deteriorati ed in sofferenza erano complessivamente pari a 360
miliardi di euro, quasi il 20% de crediti bancari dell’intero sistema italiano,
ed 1/5 del PIL nazionale. Una “Caporetto” epocale.
Tale situazione di sostanziale “difficoltà strutturale” è anche il
risultato di una “corporate governance” che se in alcuni casi ha purtroppo favorito
alcuni soggetti a discapito dei buoni “prenditori”, ha comunque generalmente privilegiato
la distribuzione a pioggia di posti di prestigio a notabili di varia fatta e
peso, in una perpetuazione nel tempo delle cariche, sganciate da una effettiva
conoscenza e professionalità nel campo del credito, della valutazione dei
rischi, della comprensione delle dinamiche economiche e finanziarie. “Volemose
bene e dividiamo la bella fetta di compensi”, il tutto declinato in dialetti
variegati dal veneto al ligure al milanese all’aretino.
La crescente presenza di azionisti istituzionali ed internazionali (come
nel caso di IntesaSanPaolo dove gli azionisti esteri sono oggi al 65% contro il
40% di 2 anni fa) dovrebbe infrangere la “foresta incantata” dei CdA bancari,
chiedendo ed apportando una crescente presenza di competenze professionali ed
internazionali: ma i tempi non saranno brevi. Accingiamoci ad assistere ad uno
spettacolo con colpi di scena di gran effetto.
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