giovedì 6 ottobre 2016

La prosperità ha un prezzo. Elevato.



Oggi negli Stati Uniti ci sono più campi da golf che ristoranti McDonald’s. E non perché gli americani preferiscano i prati ben curati all’hamburger: il fatto è che 40 milioni di baby boomers cercano un posto dove poter camminare e fare esercizio fisico.

In epoca moderna (post-industrializzazione), se una nazione registra un tasso medio di crescita annua del pil superiore al 2,5% per due quarti di secolo consecutivi (due generazioni), il tasso di fecondità scende a un livello appena superiore al tasso di sostituzione, ovvero a 2,5 figli per donna. Se il pil continua ad aumentare per la terza generazione consecutiva, il tasso di fecondità tenderà a scendere al di sotto del 2,1 e la popolazione avrà bisogno dell’immigrazione per mantenersi stabile. Perché il fatto che la classe media mette al mondo meno figli è così importante? Per mantenere un tenore di vita elevato, i cittadini devono avvalersi dei servizi di nuovi lavoratori – che si tratti di operatori ospedalieri o di semplici idraulici. Di qui il bisogno di immigrati. Questi ultimi, tuttavia, possono destabilizzare la cultura dominante. Per i paesi in questione si prospettano dunque due scenari: un crollo della ricchezza relativa o uno sfilacciamento del tessuto culturale. Insomma: prosperità uguale meno figli, uguale più immigrati, uguale nuovi attriti.


Il tramonto dell’etica del lavoro.

Quando una nazione ricca comincia a di­sgregarsi, la gente non soffre la fame. Semplicemente, smette di alzarsi pre­sto la mattina per preparare la colazione. Tutti i suoi abitanti hanno un co­modo letto su cui dormire, ma scarseggiano quelli che hanno un valido mo­tivo per alzarsi. Se la fiducia viene meno e il debito sale, l’etica del lavoro ne risente.
Il dipartimento del Lavoro statunitense rileva ogni mese il tasso di partecipazione al mercato del lavoro, cioè la percentuale di adulti che vogliono lavorare. Ebbene, negli ultimi 17 anni, quel tasso è sceso al 63% circa; al momento, è inferiore al livello di fine anni Settanta. Nello stato di West Virginia oggi lavora meno di un adulto su due: sostanzialmente la stes­sa proporzione di quarant’anni fa.
La probabilità che un giovane statunitense tra i 18 e i 24 anni si trasferisca in un altro stato è crollata del 40% rispetto agli anni Ottanta. Questa men­talità stanziale affligge non solo gli americani laureati, ma anche quelli che non hanno conseguito un diploma di istruzione superiore. È un altro para­dosso del nostro tempo: gli autoctoni si ritrovano circondati da stranieri, ma sono meno propensi a esplorare il loro stesso paese e il resto del mondo. In altre parole, stanno diventando dei pantofolai. La percentuale di giovani che vivono a casa con i genitori è quasi raddoppiata tra il 1980 e il 2008, prima della Grande Recessione. È questo il vero movimento Occupy di cui do­vremmo seriamente preoccuparci.
La Generazione Y si sta trasformando in una Generazione A come Apatici?
Dal 1980 a oggi la percentuale di adolescenti che svolgono lavoretti estivi o part-time dopo la scuola è precipitata. Nel 1994 due terzi dei teenager lavo­ravano d’estate. Già nel 2007 lo faceva meno della metà. Questo drastico mutamento non è circoscritto a un gruppo di adolescenti in particolare (bianchi, ricchi, neri, piccoli, grandi, dropout o studenti universitari). Tutti hanno sostanzialmente incrociato le braccia. Il decadimento dell’etica del lavoro è contagioso. Chi non lavora non paga le tasse sul reddito. E chi le paga cova risentimento. La frammentazione sociale porta gli individui a comportarsi in modo disonesto e a puntare a facili ricchezze o comode scappatoie.


Il declino del patriottismo.

Per sopravvivere alle sferzate di un’economia in rapido cambiamento, un paese dovrebbe trasmettere ai suoi figli e agli im­migrati il senso della sua identità nazionale e i riti e le tradizioni che possono tenerlo unito. Le società che non lo fanno sono destinate a morire.
Gli intellettuali sono soliti disdegnare il patriottismo e invitare i concittadini a non credere che il loro paese sia superiore agli altri. Ecco il pericolo che vedo profilarsi quando la naturale aspirazione di una nazione a sentirsi migliore viene soffocata: gli individui introiettano le ambizioni di superiorità e diventano più narcisisti. Negli Stati Uniti il patriottismo scende mentre il narcisismo sale. Un tempo nelle scuole pubbliche la giornata cominciava non solo con il “giuramento di fedeltà” ma anche cantando inni come America the Beautiful. In molti istituti, questa e altre canzoni sono state soppiantate da slogan mirati a rafforzare l’autostima affissi sui muri, del tipo: “ognuno è una star!”.
Eroi tradizionali come Cristoforo Colombo, i padri pellegrini e GeorgeWashington sono stati degradati a predoni, anziché apprezzati come simboli di intraprendenza, libertà religiosa e coraggio. Oggi la Magna Charta – quasi un testo sacro della libertà – è sconosciuta a pressoché la metà della popolazione britannica. Secondo quanto riferito da un professore dell’Università di Cardiff, solo il 20% circa degli studenti universitari del Regno Unito è in grado di citare un primo ministro del XIX secolo. Alla maggior parte di essi, nomi come Disraeli e Gladstone non dicono nulla. E negli Stati Uniti meno di uno studente universitario su quattro è in grado di stabilire un nesso tra James Madison e la Costituzione americana.
Una memoria condivisa e la celebrazione di festività comuni sono tra gli strumenti più efficaci per contrastare l’entropia delle nazioni. Un paese che non ha consapevolezza della propria storia diventa una massa di persone, anziché una nazione. E tenere insieme una nazione multiculturale è ancora più difficile.
Il reaganiano “morning in America” funzionò così bene perché evocava un senso della storia. Reagan celebrò una serie di ricorrenze storiche che univano gli americani al di là delle differenze. Nel giugno del 1984, in un discorso per il quarantesimo anniversario dello sbarco in Normandia, si lasciò anche scappare una lacrima. Aveva radunato sulle scogliere di Pointe du Hoc una folla di anziani, molti dei quali erano arrivati fin lì appoggiati a un bastone o su una sedia a rotelle. Erano i rangers superstiti dell’esercito – i “ragazzi di Pointe du Hoc” – che da giovani o giovanissimi si erano arrampicati su per quelle aspre e ripide scogliere sotto la pioggia mortale di proiettili delle mitragliatrici tedesche. Quei ragazzi non avrebbero rischiato la vita se avessero pensato che la Storia era una sciocchezza e che le pagine di eroismo della loro nazione erano semplice propaganda. Le storie che avevano appreso da scolari avevano infuso in loro il coraggio di arrampicarsi e la forza di avanzare attraverso il sangue dei loro compagni. Le nazioni moderne non arriveranno alla fine di questo secolo se non avranno il coraggio di abbracciare il loro passato e condividerlo con i propri figli.


(cit. Todd G. Bucholz, "The price of prosperity: why rich nations fail and how to renew them")


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