giovedì 13 settembre 2018

Il mondo è complesso: meglio farlo controllare da una “authority”.


Questo articolo è stato pubblicato su Econopoly de Il Sole 24 ore il 13 settembre 2018.   


Il mondo è complesso, e per renderlo un poco più complesso che cosa c’è di meglio che farlo controllare da una, anzi: tante e crescenti, “authority”?

Che cosa sono, che cosa fanno (e/o non fanno), quanto costano e quante sono? E soprattutto, si coordinano fra loro nell’encomiabile compito di controllare come funzionano concorrenza, rispetto delle regole, servizi di utilità pubblica, difesa dei consumatori e delle parti deboli della nostra società?

Partiamo dall’inizio, con la loro definizione: sulla enciclopedia Treccani le “authority” sono descritte come “Organismi, in posizione di autonomia rispetto al potere politico ed economico, con compiti di garanzia e di vigilanza per la tutela di interessi collettivi o diffusi, in settori nei quali più intense sono le esigenze d’imparzialità e di trasparenza. L’indipendenza delle “authority” è assicurata sia attraverso le modalità di nomina, sia attraverso l’attribuzione di autonomia funzionale, contabile e finanziaria.”

Ricordando che Banca d’Italia ha anche funzioni di “authority” su banche ed istituzioni finanziarie (accanto ai compiti tipici assegnati), la prima a nascere fu la Consob nel 1974 (che regola la Borsa ed i mercati finanziari), seguita nel 1982 dall’Isvap, ora Ivass, che vigila le assicurazioni; via via cresciute nel tempo, sulla scorta delle crescenti necessità, e doglianze, di mettere mano ai controlli su settori di interesse generale (si pensi a comunicazioni e TV, mercati e concorrenza, dati sensibili), oggi sono 15 (da ultimo controllo da noi fatto, escludendo Banca d’Italia dal conto) e sicuramente cresceranno (una previsione auto-avverantesi, ne siamo quasi certi).

In tutto, i dipendenti sono circa 3.000 ed il loro costo di funzionamento annuo è stimato in oltre 1 miliardo di euro; sono valori non banali, ma complessivamente sopportabili dai contribuenti, beninteso se i risultati sono in linea con le attese; ad eccezione della Consob, i cui costi sono coperti dai contributi obbligatori versati annualmente dai soggetti vigilati (banche, intermediari, consulenti finanziari), tutte le altre “authority” fanno affidamento sui contributi annui dello stato, che assegna loro “autonomia funzionale, contabile e finanziaria”: lo stato paga a piè di lista e le “authority” dispongono come credono dei contributi.

Le nomine ai vertici delle “authority” sono fatte dall’esecutivo (i governi in carica), secondo criteri formalmente ineccepibili, ma troppo spesso scegliendo di fiore in fiore fra amici e “supporter” del governo in carica, molto più raramente invece designando ai vertici dei “servitori dello stato” con percorsi di carriera internazionali di assoluto valore; purtroppo, ritornando a far nuovamente capolino come in tristi casi del passato, è storia di oggi che il governo ha operato pressioni fino a provocare le dimissioni di un funzionario che nel breve periodo di carica nella più prestigiosa ed importante “authority” (Consob) ha mostrato indipendenza e comprensione dell’importanza della trasparenza del mercato del capitale.

Nel lungo elenco delle “authority” (definite dal legislatore “agenzie”) troviamo, oltre alle già citate Consob ed Ivass, le agenzie per le organizzazione senza scopo di lucro (le “onlus”); per l’ Italia digitale (istituita nel 1993: e da allora encomiabilmente tenutasi sotto coperta sino a tempi recenti); per la concorrenza ed il mercato (AGCM), la nota Antitrust, sempre presente, qualche volta a tempo scaduto, nella valutazione di operazioni di acquisto fusione e vendita di imprese nazionali; per l’infanzia e l’adolescenza; per la difesa del contribuente per il fisco e la burocrazia, che nella sua meritoria attività, svolta a livello regionale da 21 garanti assistiti da 42 collaboratori, ha esaminato 4.718 pratiche (ultima relazione per l’anno 2015, presentata in parlamento nel marzo 2017); per le comunicazioni (che si occupa di radio, tv, stampa, telecomunicazioni e telefonia), con l’acronimo AGCOM; per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, oggi attività confluite nell’ ANAC, l’ autorità nazionale anti-corruzione, cui è stata assegnata anche la cura del c.d. “whistleblowing”; per l’energia elettrica e il gas, che concorre a determinare l’aggiornamento delle tariffe; per la garanzia dell’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali; per la vigilanza sui fondi pensione (Covip); per la protezione dei dati personali (“Privacy”); per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche; ed ultima nata, l’ autorità di regolazione dei trasporti.

Le “authority” nazionali devono coordinarsi con quelle a livello UE, ove presenti, cercando di non sovrapporsi nei relativi compiti; i casi più significativi sono quelli che coinvolgono le pratiche relative a mercati e concorrenza, resi vieppiù critici quando le operazioni coinvolgono “campioni nazionali” e quindi la difesa “della bandiera”, seppure talora un poco sgualcita; fra i casi recenti a rilevanza sovra-nazionale si possono ricordare Google, Uber, AirBnb; interessante ricordare come l’ AGCM/Antitrust abbia a suo tempo segnalato come meritevoli di una loro liberalizzazione i settori delle poste, energia (gas ed elettricità), sanità, trasporti ferroviari, servizi pubblici locali, libere professioni e banche: ci sembra una invocazione lasciata largamente inascoltata da una politica attenta a ben altri obiettivi, più recentemente riscontrabili in un “ritorno al passato” fatto di posizioni quasi-monopolistiche da parte della mano pubblica (munifica verso gli amici, manesca verso i nemici del giorno); ci sembra interessante, vista l’attualità del tema, osservare anche come nella presentazione delle attività svolte dall’AGCM/Antitrust, fatta nel novembre 2016, venisse segnalato, per i settori autostrade, aeroportuali e marittimi, come opportuno “in generale: ottimizzare la durata delle concessioni”.

Ci siamo chiesti, in premessa, se le “authority” si coordinino (bene) fra loro, e la nostra risposta è che almeno in casi importanti sia mancata una effettiva cooperazione fra le “authority”. Cooperazione che sarebbe essenziale per un paese dove le commistioni fra economia, finanza e politica fanno troppo spesso “il bello ed il cattivo tempo”, a tutto discapito di consumatori, risparmiatori, investitori. Detta tutta: a nostro avviso il paese ha bisogno come il pane di funzionari bravi, preparati, con esperienza consolidata (anche all’estero), impermeabili alle lusinghe del potere; è quindi un peccato mortale allontanarli, quelle poche volte che si riesce a fare una buona scelta.

E per il presente ed il futuro? 

Da inguaribili ottimisti quali restiamo nonostante tutto, ci attendiamo una adeguata cooperazione fra le “authority” deputate a valutare operazioni importanti, già fatte (il pensiero corre a Ferrovie/Anas) o (in)fattibili (Ferrovie/Alitalia): il tempo è (ma temiamo solo qualche volta) galantuomo.

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