martedì 22 marzo 2016

Piccoli appunti sul Brexit.




Un estratto di questo articolo è stato pubblicato nella rubrica #IlGraffio su AdviseOnlyBlog in data  22.3.2016.

Il 23 giugno i cittadini del Regno Unito (Inghilterra, Scozia, Galles, Irlanda del Nord) voteranno il referendum per l’uscita dalla UE, il c.d. Brexit.

Fiumi, ormai ingrossati, di parole scorrono sulle conseguenze di un possibile Brexit. Londra, la capitale, centro finanziario mondiale, potrebbe perdere “appeal” e vedere l’esodo di banche e società finanziarie (e loro dipendenti) verso altre piazze, con impatti oggi difficilmente quantificabili su tasse incassate, posti di lavoro, prezzi delle case.

Noi ci limitiamo a mettere in fila una serie di dati ed informazioni che “rendono il contesto” di un evento che, ove accadesse, aprirebbe scenari complessi per l’UE.


Il Regno Unito è il secondo paese UE per PIL (2.950 miliardi su totali 15.577 miliardi) dopo la Germania, ed il terzo per popolazione (64,9 milioni, su totali 443,6 milioni) dopo Germania e Francia; è il secondo “contribuente netto” del bilancio UE (8.461 milioni annui) dopo la Germania (13.824 milioni) e prima della Francia: in caso di Brexit, il contributo mancante verrebbe quindi distribuito sugli altri paesi (nell’ordine, Germania + 2.503 milioni, Francia +1.871 milioni, Italia +1.384 milioni, Spagna + 906 milioni, Olanda, Svezia, Belgio, Danimarca, Austria); oggi, la somma di esportazioni ed importazioni a/da altri paesi esteri pesa per il 60% del PIL britannico: una conseguenza del “Brexit” sarebbe un peggioramento (seppure di difficile quantificazione) di tale rapporto; su 64,9 milioni di abitanti, gli stranieri provenienti da paesi UE sono oggi 3 milioni, di cui 790.000 polacchi, 380.000 irlandesi, 520.000 da paesi dell’Est, 300.000 tedeschi, 150.000 italiani: potrebbe esserci un “giro di vite” su questi flussi, con un peggioramento delle condizioni di accoglimento.


Secondo un studio di Global Counsel UE, i paesi che sarebbero maggiormente colpiti dalla “Brexit” sarebbero, nell’ordine, Olanda, Irlanda, Cipro, Portogallo, Grecia; l’Italia sarebbe fra i paesi meno colpiti.


Oggi, la Gran Bretagna è il secondo paese UE (dopo l’Olanda) per libertà e liberalizzazione dei mercati e degli scambi; da decenni, ha un governo che persegue una decisa politica “pro-mercato” e questa impostazione è stata ed è importante quando la UE affronta temi di libero mercato, concorrenza, liberalizzazioni. Il Regno Unito fa parte dei paesi UE con un approccio più liberale all’economia -- insieme a Olanda, Repubblica Ceca, Svezia, Danimarca, Finlandia, Slovacchia, Irlanda, Lituania, Lettonia ed Estonia – e “pesa” per il 12,7% nelle votazioni, contribuendo in modo decisivo alla (eventuale) minoranza di blocco (che deve essere del 35% per avere efficacia) nelle votazioni su argomenti che toccano un eccesso di regolamentazione: una “Brexit” avrebbe quindi un impatto decisivo sul fronte “gruppo liberale”. Se la Gran Bretagna uscisse dalla UE, il peso nelle votazioni vedrebbe la Germania salire dal 16.9% al 18%, la Francia dal 13% al 15%, l’Italia dal 12,1% al 14%; tutti paesi con una vocazione da “protezionistica degli interessi nazionali” all’ ”agnostico per default”.


“Brexit” aprirebbe uno scenario che renderebbe più fragili e deboli quanti credono, o cercano ancora di credere, nel libero mercato e nella concorrenza.


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