La questione armena. Da “La Grande Guerra nel Medio Oriente.
La caduta degli Ottomani 1914/1920” di Eugene Rogan, pagg. 590-593:
“In quel mese di novembre (1918) nel parlamento ottomano,
così come sulla stampa, si svolse un aperto dibattito sui massacri degli armeni
(durante il periodo bellico 1914-1918 ed anni precedenti, ndr). Allora, come
oggi, non era possibile fare un calcolo certo sul numero degli armeni uccisi. Nelle
loro deliberazioni, i membri del parlamento ottomano parlavano di cifre
oscillanti fra 800.000 e un milione e mezzo di armeni civili. Si propenda per
la stima alta o per quella bassa, resta il fatto che il genocidio avrebbe
gettato una lunga ombra sui negoziati di pace con le potenze vincitrici. L’Intesa
pubblicamente condannava il governo ottomano per i massacri degli armeni. Stati
Uniti e Gran Bretagna furono particolarmente espliciti nell’invocare un’azione
di giustizia punitiva per crimini contro l’umanità. Allo scopo di evitare una
risoluzione di pace di tipo draconiano, il nuovo governo ottomano decise di
costituire dei tribunali militari per processare coloro che avevano delle
responsabilità nell’eccidio degli armeni. Con ciò si sperava di indirizzare la
condanna internazionale verso la leadership dei Giovani turchi, lasciando fuori il popolo
turco.
Fra gennaio e marzo del 1919, le autorità ottomane procedettero all’arresto
di trecento funzionari turchi. Fra di loro c’erano alcuni governatori delle
province e anche alcuni membri unionisti del parlamento, oltre a funzionari
locali di livello inferiore. Benché la polizia avesse agito senza preavviso, effettuando
gli arresti nel mezzo della notte, molti – come i membri del triumvirato e i
loro consiglieri, che erano già in esilio – furono processati in contumacia. Il
principale tribunale militare era quello insediato a Istanbul. I processi erano
aperti al pubblico. Le testimonianze a carico degli accusati e le sentenze
della corte venivano pubblicate sulla gazzetta ufficiale, la Takvim-i Vekàyi.
Le incriminazioni
pubblicate assegnarono la totale responsabilità dell’omicidio di massa alla
leadership dei Giovani turchi. I pubblici ministeri dichiararono: “I massacri
sono stati condotti per espressi ordini e alla conoscenza di Talat, Enver e
Cemal.” Citavano le parole di un funzionario di Aleppo che affermava di aver “ricevuto
l’ordine di sterminio” da “Talat stesso” e di essere stato convinto che “il
benessere del paese” dipendesse dalla eliminazione della popolazione armena. In
un telegramma presentato come prova, il dottor Bahaeddin Sakir, presunto
architetto del genocidio, chiedeva al governatore di Mamuretulaziz di mandargli
uno “schietto rapporto” circa la “liquidazione” degli armeni della sua
provincia: “I sobillatori di cui lei mi aveva riferito sono stati dunque
respinti e banditi, cioè eliminati, oppure sono stati semplicemente scacciati
via?”. (fonte: Dadrian e Akcam, Judgment at Istanbul, pp. 250-280).
Le deposizioni
rivelarono come era stato organizzato l’omicidio di massa: il funzionario
metteva nero su bianco l’ordine che chiedeva la deportazione, e a ciò seguivano
delle istruzioni orali per il massacro dei deportati. Furono presentate
testimonianze di condannati per omicidio che erano stati rilasciati dalle
prigioni per formare delle squadre di “macellai di uomini”. I pubblici
ministeri raccolsero una convincente documentazione attraverso la quale si
vedeva il legame tra il servizio segreto di Enver, il Teskiliat-i Mahsusa, e la
formazione delle squadre della morte. E misero insieme una notevole quantità di
prove di uccisioni di massa, testimonianze di individui che si prendevano la
responsabilità di migliaia di morti, documenti che riportavano deportazioni
nell’ordine della centinaia di migliaia.
Dopo mesi di considerazioni, i
tribunali sentenziarono la pena di morte per diciotto imputati, per il loro
ruolo nei massacri degli arimeni. Talat, Enver e Cemal ebbero la pena capitale,
insieme ad alcuni membri importanti del CUP, come il dottor Bahaeddin Sakir e
il dottor Mehmed Nazum, che erano andati con loro in esilio. Poiché quindici
delle condanne erano state pronunciate in
absentia degli imputati, solo tre funzionari di basso profilo furono
effettivamente mandati al patibolo. Mehmed Kemal, luogotenente governatore di
Yozgat, al quale Grigoris Balakian attribuiva la responsabilità del massacro di
42.000 armeni, fu impiccato il 10 aprile 1919. Il comandante della gendarmeria di
Erzincan, Hafiz Abdullah Avni, fu giustiziato il 22 luglio 1920, quando andò
alla forca anche il capo distretto di Bayburt, Behramzade Nusnet. Nell’agosto
1920, fu chiaro che il tribunale militare non sarebbe stato in grado di
assicurare alla giustizia i principali colpevoli del massacro degli armeni. Divenne
ugualmente chiaro che quei processi non avrebbero risparmiato l’Impero ottomano
da una risoluzione di pace draconiana. Non essendo più di alcuna utilità, i
tribunali militari scivolarono nell’inattività. Ma i verbali di questi processi
forniscono la più ampia testimonianza mai compilata dalle autorità turche sulla
organizzazione e l’attuazione dei massacri armeni. Questi verbali, pubblicati
in turco ottomano, sono di pubblico dominio dal 1919, e si fanno beffa di ogni
tentativo di negare il ruolo avuto dal governo dei Giovani turchi nell’ordinare
e organizzare lo sterminio della comunità armena ottomana.””
Nessun commento:
Posta un commento