“” Più che la distruzione di Milano in sé, dunque, fu lo
spietato e avido regime imposto dai rettori imperiali nei cinque anni
successivi a segnare definitivamente una svolta nel rapporto fra gli italiani e
il Barbarossa. (…) Dopo la grande vittoria su Milano, infatti, Federico diede
un ulteriore giro di vite al controllo imperiale sulle città italiane (…). Il
governatore imperiale inventò innumerevoli modi per opprimerli e prese ad
estorcere pecunia in un’incredibile varietà di maniere (…) estorceva
privatamente denaro ai rustici e ai cittadini, si impadroniva dei beni di chi
moriva senza figli. Quell’estate (del 1162) prese miglio e vino ai contadini e
ai cavalieri secondo il suo arbitrio, e estorse molto denaro ai rustici a San
Martino per la macellazione dei maiali; e così in occasione dei tributi e degli
agnelli da consegnare per Pasqua al palazzo di Monza, fece esazione di moltissimo
denaro. (…) Insomma, i lombardi erano oppressi duramente,(…) dato che essi
erano stati abituati a vivere e restare liberi, bene e largamente, senza
ricadere sotto la giurisdizione di nessuno, ed erano soliti disporre
liberamente secondo la loro volontà dei loro beni, né erano stai nei tempi
passati in forma così stretta sotto il
comando e gli ordini di altri. Essi si trovavano dunque in grande disonore e
grandissimo obbrobrio e subirono cose peggiori di quante si potessero dire o
pensare: dicevano fra loro che era quasi meglio morire che subire tale
oltraggio e tale disonore. (…) A peggiorare la situazione, vi era la
constatazione che l’amministrazione imperiale operava profonde discriminazioni
fra i centri soggetti. (…) Nel complesso, l’apparato di governo imperiale operò
in maniera fallimentare, a causa delle malversazioni e della rapacità dei
funzionari che generarono pressoché ovunque scontento e rivolte. Si trattava,
di fatto, di un governo che oggi definiremmo “coloniale”. I governatori
tedeschi rispondevano a Rainaldo di Dassel nella sua veste di plenipotenziario
per l’Italia e in seconda istanza a Federico, mentre non paiono aver avuto
alcun rapporto con le altre istituzioni cittadine. Il loro dialogo con la
società urbana si limitava a una ristretta cerchia di collaboratori che
cercavano a loro volta di approfittare quanto più possibile della situazione. Ai
cittadini risultava infatti particolarmente gravoso non soltanto il fatto di
dover pagare pesante imposte, ma anche che queste non erano destinate alla
difesa, all’amministrazione o al benessere delle città stesse, quanto versate a
fondo perduto e destinate a finanziare le ambizioni dell’imperatore o, non di
rado, ad arricchire personalmente i nobili tedeschi che le rastrellavano.””
(Paolo Grillo, Le guerre del Barbarossa. I comuni contro l’imperatore.
Pagg. 108-113)
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