giovedì 2 luglio 2015

Anche in Italia c’è un fondo sovrano.




Un estratto di questo articolo è stato pubblicato nella rubrica #IlGraffio su AdviseOnlyBlog in data 2.7.2015.



Forse poca cosa rispetto al fondo sovrano della Norvegia -- che ha attività finanziarie di 860 miliardi di dollari ed un portafoglio di 500 miliardi di dollari investito in Europa ed è il più importante investitore del Vecchio Continente – il Fondo Strategico Italiano (FSI) è anch’esso un fondo sovrano, con un capitale sottoscritto di 4,5 miliardi di euro, per il 77,702% da CDP, il 2,298% da Fintecna (a sua volta, posseduta al 72,5% da CDP), al 20% da Banca d’Italia. Ad oggi, gli investimenti in essere sono 1,4 miliardi di euro e la liquidità disponibile è 3,6 miliardi.

FSI (e suo tramite, la partecipata al 77,1% FSI Investimenti) investe, con quote di minoranza, in “imprese di rilevante interesse nazionale”, che si trovino in uno “stabile equilibrio economico, finanziario e patrimoniale”, e che abbiano “adeguate prospettive di redditività e significative prospettive di sviluppo”: insomma, i “campioni nazionali”.

I 14 settori ritenuti meritevoli di interesse, e quindi di investimento, sono quelli della difesa, della sicurezza, delle infrastrutture, dei trasporti, delle comunicazioni, dell’energia, delle assicurazioni e dell’intermediazione finanziaria, della ricerca e dell’ innovazione ad alto contenuto tecnologico, e dei pubblici servizi, turistico-alberghiero, dell’ agroalimentare e della distribuzione, della gestione dei beni culturali e artistici.



Banca d’Italia è divenuta azionista di FSI quando dovette cedere il 4,48% di Generali poiché divenuta organo di vigilanza sul settore assicurativo (assorbendo le precedenti competenze dell’ISVAP), partecipazione che è stata conferita in FSI al valore di 883,4 milioni di euro (partecipazione nel frattempo ridottasi al 2,569% al 31.12.2014).



FSI ha infine costituito FSI Investimenti, in cui sono oggi concentrate le partecipazioni, aprendone il capitale al fondo sovrano Kuwait Investment Authority (KIA) che oggi detiene il 22,9% di FSI Investimenti (FSII); ed inoltre ha costituito QI Made in Italy, al 50% con il fondo sovrano Qatar Holding, che è entrata in Inalca (gruppo Cremonini, attivo nel settore della macellazione della carne) con il 28,4%.



Gli interventi di FSI hanno seguito alcune linee-guida, che comprendono lo “stabilizzare l’azionariato per consentire la continuità azionaria dell’imprenditore fondatore e proseguire la crescita” come la “crescita organica tramite acquisizioni”, “dotare l’azienda di nuove risorse per finanziare il proprio piano di sviluppo”, “favorire la creazione di un polo del turismo italiano” (seppure perseguito tramite un investimento con un operatore non italiano, come il gruppo Rocco Forte Hotels).



Linee-guida che possiamo trovare realizzate con gli investimenti (talora fatti con aumenti di capitale e prestiti obbligazionari, quindi immettendo risorse fresche in azienda; talora con mere operazioni di acquisto di azioni detenute da terzi o dagli stessi imprenditori, quindi mere operazioni di “portage” o di “riassetto azionario”) nel 25,1% di Kedrion (plasma derivati) per 150 milioni di euro (aumento capitale e prestito); nel 46,2% di Metroweb (infrastrutture telefoniche e fibra ottica; peraltro il restante 53,8% è posseduto direttamente da CDP, risultando in un controllo totalitario) per 200 milioni (aumento capitale);  nell’84,55% di Ansaldo Energia (energia), con una operazione di acquisto delle partecipazioni detenute da First Reserve (45%) e Finmeccanica (39,55%) per 657 milioni, in una (tipica) operazione di “riassetto azionario” a vantaggio dei soci venditori (con l’impegno di FSI-FSII a rilevare il rimanente 15% in mano a Finmeccanica valutato 147 milioni); nel 49,5% (in caso di conversione del POC in azioni) di Valvitalia (valvole per Oil&Gas) per 151,2 milioni (di cui 150,2 milioni come POC in azioni); nel 42,255% di Sia (sistemi elettronici per banche e finanziari) per 281 milioni ( di cui 77 milioni come prestito); nel 16,852% di Trevi (macchinari per l’esplorazione petrolifera), in parte come FSI ed in parte come FSII, per 100,6 milioni; nel 28,4% (tramite QI Made in Italy) di Inalca (macellazione e lavorazione di carne bovina) per 165 milioni (di cui 50 milioni con l’acquisto di azioni dall’azionista Cremonini); nel 23% (in parte come FSI ed in parte come FSII) di Rocco Forte Holding (settore turistico, società inglese) per 80 milioni.





A differenza dei fondi sovrani dei paesi produttori di petrolio (come Norvegia, Qatar, Kuwait, Oman) che hanno accumulato negli anni i rilevanti incassi derivanti dalla vendita di petrolio e quindi hanno un “tesoro” da investire come ulteriore “rendita finanziaria”, CDP (e quindi FSI) non ha una tale “ricchezza accumulata”, ma utilizza prevalentemente le risorse finanziarie derivanti dai depositi postali che non possono essere quindi considerate “tesoro” ma più correttamente “prestiti fatti dai depositanti”.

Motivo forse sufficiente per esaminare, e valutare, con particolare attenzione il “risk reward ratio” degli investimenti effettuati.



In Francia (con la BPI, Banca Pubblica di Investimento, dotata di un capitale iniziale di 40 miliardi, che investe nei 9 settori definiti strategici: energia, reti, telecomunicazioni, finanza, difesa, tecnologia, trasporti, gestione dell’acqua e sanità) ed in Germania (con la KFW, nata nel 1948, ed oggi dotata di un patrimonio di 500 miliardi) i rispettivi governi investono nei rispettivi “campioni nazionali” in settori definiti strategici, cosicché le imprese francesi e tedesche hanno una “spalla” finanziaria pubblica al loro fianco per crescere, investire, produrre reddito ed occupazione.



Ma quali sono i pro ed i contro di un fondo strategico e sovrano come FSI?





I pro



Similmente a quanto fatto in Francia e Germania, un fondo strategico è utile per sostenere imprese nazionali con buone, preferibilmente forti, competenze industriali, con adeguati progetti di investimento sia nazionali che internazionali, così da essere e migliorare la propria posizione competitiva.

Un “sostegno” di tale natura va inquadrato in settori e mercati ove la competizione, e quindi il libero mercato, è tale da richiedere piani di sviluppo di crescita e miglioramento continuo.

E’ essenziale che il “braccio pubblico” (come nel caso di CDP/FSI e dei tedesco KFW e francese BPI) abbia ben definito quali sono i settori “strategici”, quali i “campioni”, come intervenire a loro sostegno.



I contro



Interventi “strategici” possono coprire soluzioni “di sistema” a protezione di particolari situazioni non diversamente ed utilmente affrontabili con strumenti di mercato; questi sembrano i casi di Ansaldo Energia, Generali, che appaiono come operazioni “dettate dalla ragion politica” e non da quella industriale. In un caso (Rocco Forte) le ragioni “strategiche” dell’investimento sembrano assai deboli.

La “scelta” di quali “campioni” sostenere è probabilmente opinabile, dal punto di vista dei “non prescelti”: ragione per la quale una adeguata “due diligence” su potenzialità, redditività presente ed attesa, scenari industriali e tecnologici futuri è di assoluta priorità ed importanza, come la “scelta” di quali sono i settori su cui investire; e 14 ci sembrano tanti.




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