mercoledì 8 luglio 2015

Se la banca “salta”, meglio il “bail-out” od il “bail-in”?




Un estratto di questo articolo è stato pubblicato nella rubrica #IlGraffio di AdviseOnlyBlog in data  8.7.2015.


Dal 1.1.2016 cambiano le regole europee per i salvataggi bancari, che passano dal “bail-out” (quelli fatti dallo stato, con i soldi dei contribuenti) al “bail-in” (a carico di azionisti, obbligazionisti, alcune tipologie di depositanti). 

Vediamo di approfondire di che si tratta, quali banche copre, con quali procedure, ricordando che poiché entrerà progressivamente in vigore dal prossimo anno, difficilmente potrà coprire le banche greche in caso di “Grexit”.


Sino al caso-Cipro (crisi delle banche cipriote, estate 2012), per le autorità di vigilanza bancaria europee valeva il principio che la crisi di una banca era un evento da affrontare attraverso un intervento della “mano pubblica” per la ragione che la stabilità finanziaria del sistema, e quindi delle singole banche, deve essere assicurata “whatever it takes”: e quindi, interventi dello stato nell’azionariato (emblematici i casi come Citigroup negli USA che hanno immesso 563 miliardi US$ come capitale ed assicurato 1.800 miliardi US$ come ulteriore garanzia per le banche salvate; Lloyd’s e RBS in UK che sono state nazionalizzate e ricapitalizzate per 115 miliardi di Sterline; i 47 miliardi di euro che la Germania ha speso per salvare banche tedesche; i casi spagnoli ed irlandesi; in molti casi, gli investimenti sono stati restituiti, con profitto per i singoli stati), “cordone sanitario” (“moral suasion” della banca centrale che chiama una banca “amica” a rilevare la banca “fallita"), il tutto finanziato da fondi pubblici, quindi dai soldi dei contribuenti

Questo si chiama “bail-out”.


Nel “dopo-Cipro”, le autorità europee hanno modificato il loro approccio, prevedendo (c.d. secondo pilastro dell’Unione Bancaria europea) la creazione di un Meccanismo Unico di Risoluzione delle Crisi (SRM) che riguarderà le banche aderenti al Meccanismo di Vigilanza Unica (SSM, gestito dalla BCE), che sono quelle definite “significative”, in totale 200 gruppi bancari (13 italiani), che rappresentano l’85% degli attivi del sistema (anche se sono il 3% del numero delle 3.700 banche europee, che per la restante parte continuano ad essere vigilate dalle autorità nazionali: la Banca d’Italia per il nostro paese). 


Saranno gli azionisti delle banche, seguiti nell’ordine dagli obbligazionisti (quanti hanno investito in “bond” bancari) e dai depositanti (oltre i 100.000 euro di deposito) a “pagare il conto” dei fallimenti bancari, il tutto entro il limite dell’8% del valore delle passività delle banche (l’8% è, fra l’altro, la percentuale di capitale richiesto alle banche dalle “regole di Basilea”). Quindi, azionisti e privati copriranno eventuali perdite sino all’8%.

Per interventi sopra l’8%, è previsto l’intervento dello “strumento” (che è il terzo pilastro dell’Unione Bancaria europea) del Fondo Unico di Risoluzione (SRF) che sarà unico per tutta la UE (alimentato dai singoli fondi nazionali, ove esistenti) e che i singoli stati costituiranno con prelievi sulle banche a livello nazionale, con la previsione di una dotazione iniziale di 55 miliardi di euro, da raccogliere nei primi 10 anni (entro il 2025). Si prevede che l’intervento del SRF sia nell’intorno del 5% degli “asset” della banca in difficoltà.

Nel caso questa “rete di protezione” non fosse sufficiente, potrebbe essere richiesto un intervento dell’ESM (il ben noto “fondo salva-stati”).


Siamo quindi entrati nell’era del “bail-in”: da oggi, chi è azionista, o sottoscrive azioni, obbligazioni di una banca, o ne è un depositante importante (definibile come chi abbia oltre 100.000 euro di deposito e/o certificati di deposito bancari) sa che in caso di fallimento, il conto lo paga lui (o lei), senza poter chiedere l’intervento dello stato, o delle sue autorità, invocando la “stabilità del sistema”.


Condividiamo il “nuovo corso” (nella sua filosofia: i prossimi “default” diranno se il sistema sarà ben adottato); sarà sufficiente per “istruire” azionisti ed investitori sull’effettivo rischio dell’investimento, togliendo loro la protezione dell’ “azionista di ultima istanza”, che sono tutti i cittadini contribuenti?


Altrettanto rilevante: i manager bancari saranno più attenti nel concedere credito e nell’evitare l’ “azzardo morale”?


Infine, non dobbiamo dimenticare che nel nostro paese sopravvive la vecchia pratica delle banche italiane nello “sponsorizzare” l’investimento in  “obbligazioni bancarie”, che d’ora in avanti saranno chiamate a coprire i fabbisogni di capitale in caso di insolvenza. Per tutti gli investitori: “massima attenzione”.


Le rivoluzione, come si sa, sono spesso a metà: se il conto verrà pagato prima da azionisti ed obbligazionisti privati (e depositanti importanti), i singoli stati saranno comunque chiamati a dare la loro parte, coi fondi di salvataggio e liquidazione, e poi indirettamente tramite il “fondo salva-stati” ESM.


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