domenica 12 luglio 2015

God save the Queen! Quando basse tasse ed alti salari si dan la mano.

Nella eterna, quindi inconcludente, discussione sul “modello di sviluppo” che l’Italia deve assumere, irrompe la eterodossa esperienza inglese, che al grido di “alti salari, basse tasse, welfare ridotto” vede il governo inglese proseguire la tappa di avvicinamento a livelli di tassazione assai bassi: oggi la “corporate tax”, l’imposta sugli utili societari, è stata portata al 20%, ma nelle intenzioni dello Scacchiere di Londra potrebbe scendere al 15% entro il 2020 (avvicinandosi a quel 12,5% che la vicina Irlanda impone alle imprese che hanno sede nella repubblica irlandese). Livelli da sogno per le imprese italiane, che con simili aliquote confidiamo possano “fare miracoli”.
Questo “modello” sociale ha consentito evoluzioni importanti: PIL inglese in crescita del 2,4% nel 2014 e nel 2015 (previsione), disavanzo in calo al 3,7%, occupazione in trend positivo, tutti segni che il risanamento dei conti inglesi sembra avviato verso il successo.
Alcune soluzioni sembrano difficilmente trasferibili nel contesto italiano: tagli al “welfare”, con riduzioni su assegni familiari, assegni per l’abitazione, sussidi per gli studenti.
Invece, le modifiche apportate al mercato del lavoro sono significative e col segno “+”: il governo conservatore ha fissato il salario orario minimo, “living wage” in lingua locale (ma tutti lo comprendono), dei lavoratori di almeno 25 anni di età a 7,20 sterline orarie (era 6,50 sino ad ora), con ulteriore previsione di adeguamento a 9 sterline orarie entro il 2020: nelle intenzioni governative, la ridotta tassazione sugli utili aziendali dovrebbe consentire alle imprese di trasferirne parte dei benefici ai dipendenti sotto forma di aumento dei salari, accompagnato da una esenzione totale di imposta sui redditi sino a 11.000 sterline annue.
Mettere in diretta relazione, nelle intenzioni e quel che più conta nella pratica, la bassa tassazione sul reddito di impresa con la aspettativa “razionale” di un trasferimento di una quota di “rendita” dal “capitale” al “lavoro” ci sembra una ottima proposizione: in attesa di vedere la sua concreta applicazione, ne facciamo l’elogio, confidando che abbia successo, un grande successo, in Gran Bretagna: e che da questo successo nasca anche un “effetto imitazione” per il nostro legislatore.

God save the Queen!

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