domenica 17 luglio 2016

Gli italiani ottenevano tutto quello che avevano richiesto.



Da “Le guerre del Barbarossa. I comuni contro l’imperatore”, Paolo Grillo, pgg. 219-221:


“Il rappresentante della Lega rimarcava dunque che le città non avevano intenzione di sbarazzarsi dell’Impero, né desideravano una indipendenza totale, ma che, d’altro canto, non avrebbero accettato alcuna diminuzione delle loro prerogative di governo e delle loro autonomie (l’”onore” e la “libertà”). I sei anni di tregua concordati tra Federico e le città della Lega non portarono ad alcun cambiamento significativo. (…) Il testo stesso della tregua poneva chiari limiti alla possibilità di azione dell’Impero in Italia:

“ Per tutti i sei anni della tregua, l’imperatore non potrà imporre a nessun chierico o laico della predetta Lega Lombarda di giurargli fedeltà, né pronuncerà sentenza, né si farà dare alcuna multa, nell’ambito della predetta Lega, per punire una fedeltà non mantenuta o dei servizi non eseguiti per tutto il tempo della tregua e non porterà in giudizio alcuna località o persona della suddetta Lega”.

Allo scadere dei sei anni, dunque, i comuni della Lega erano ancora in una posizione di forza. Ma, nel corso della tregua, ci fu davvero il pericolo di una ripresa del conflitto. Le trattative aperte a Piacenza nel marzo del 1183 non potevano che prendere atto di tale situazione: l’imperatore poteva cercare di ottenere soddisfazioni parziali o di mascherare la portata della sconfitta, ma non negare nella sostanza quanto chiedevano le città, sue nemiche o sue alleate che fossero. (…) 
Il 23 giugno 1183, a Costanza, nella Svevia meridionale, la pace fra i comuni e l’imperatore venne conclusa. Formalmente, la cosiddetta Pace di Costanza non era un trattato bilaterale ma un privilegio, concesso da Federico alle città. In tal modo, l’imperatore salvava le apparenze, facendo sembrare una benevola concessione ciò che in realtà gli era stato strappato con le armi. 
Gli italiani ottenevano però tutto quello che avevano richiesto, in particolare l’esercizio dei diritti pubblici, le famose regalie individuate e minuziosamente elencate a Roncaglia, che vennero attribuite ai comuni quali “antiche consuetudini”. I cittadini potevano eleggere liberamente i propri governanti, anche se costoro avrebbero dovuto giurare fedeltà all’imperatore (ma quest’uso venne abbandonato nel giro di pochi anni). Alle norme vigenti nei centri urbani veniva di fatto riconosciuta l’autorità di leggi. Le città potevano liberamente costruire palazzi pubblici e fortificazioni, anche nel contado. Infine la Lega veniva riconosciuta come alleanza legale e, anzi, riceveva il compito di tutelare la tranquillità e la concordia dei suoi aderenti. 
L’imperatore veniva ridotto a un ruolo poco più che simbolico. (…). 
Insomma, l’Impero non veniva espulso dall’Italia, ma ridotto, almeno teoricamente, alla sfera di competenze che per le città era più congeniale. Un arbitro super partes, dotato di limitati poteri di intervento che, comunque, doveva convivere con la Lega Lombarda, ora ufficialmente riconosciuta come parte della compagine istituzionale del Regno. “”

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