giovedì 14 luglio 2016

Le tasse erano gravose, non destinate a difesa amministrazione e benessere delle città.



“” Più che la distruzione di Milano in sé, dunque, fu lo spietato e avido regime imposto dai rettori imperiali nei cinque anni successivi a segnare definitivamente una svolta nel rapporto fra gli italiani e il Barbarossa. (…) Dopo la grande vittoria su Milano, infatti, Federico diede un ulteriore giro di vite al controllo imperiale sulle città italiane (…). Il governatore imperiale inventò innumerevoli modi per opprimerli e prese ad estorcere pecunia in un’incredibile varietà di maniere (…) estorceva privatamente denaro ai rustici e ai cittadini, si impadroniva dei beni di chi moriva senza figli. Quell’estate (del 1162) prese miglio e vino ai contadini e ai cavalieri secondo il suo arbitrio, e estorse molto denaro ai rustici a San Martino per la macellazione dei maiali; e così in occasione dei tributi e degli agnelli da consegnare per Pasqua al palazzo di Monza, fece esazione di moltissimo denaro. (…) Insomma, i lombardi erano oppressi duramente,(…) dato che essi erano stati abituati a vivere e restare liberi, bene e largamente, senza ricadere sotto la giurisdizione di nessuno, ed erano soliti disporre liberamente secondo la loro volontà dei loro beni, né erano stai nei tempi passati in forma  così stretta sotto il comando e gli ordini di altri. Essi si trovavano dunque in grande disonore e grandissimo obbrobrio e subirono cose peggiori di quante si potessero dire o pensare: dicevano fra loro che era quasi meglio morire che subire tale oltraggio e tale disonore. (…) A peggiorare la situazione, vi era la constatazione che l’amministrazione imperiale operava profonde discriminazioni fra i centri soggetti. (…) Nel complesso, l’apparato di governo imperiale operò in maniera fallimentare, a causa delle malversazioni e della rapacità dei funzionari che generarono pressoché ovunque scontento e rivolte. Si trattava, di fatto, di un governo che oggi definiremmo “coloniale”. I governatori tedeschi rispondevano a Rainaldo di Dassel nella sua veste di plenipotenziario per l’Italia e in seconda istanza a Federico, mentre non paiono aver avuto alcun rapporto con le altre istituzioni cittadine. Il loro dialogo con la società urbana si limitava a una ristretta cerchia di collaboratori che cercavano a loro volta di approfittare quanto più possibile della situazione. Ai cittadini risultava infatti particolarmente gravoso non soltanto il fatto di dover pagare pesante imposte, ma anche che queste non erano destinate alla difesa, all’amministrazione o al benessere delle città stesse, quanto versate a fondo perduto e destinate a finanziare le ambizioni dell’imperatore o, non di rado, ad arricchire personalmente i nobili tedeschi che le rastrellavano.””

(Paolo Grillo, Le guerre del Barbarossa. I comuni contro l’imperatore. Pagg. 108-113)

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