martedì 5 luglio 2016

Tutti in Africa! Noi vogliamo terra, lavoro, futuro!



Da “L’ora solenne. Gli italiani e la guerra in Etiopia” di Marco Palmieri, 2015:



“” .. la mobilitazione per la guerra rappresentava anche un meccanismo di assorbimento della manodopera inutilizzata e spingeva molte famiglie ad aggrapparsi con tutte le proprie forze alle grandi promesse della propaganda, terra e lavoro in primis. “Partire per vivere o restare per morire”, aveva emblematicamente esclamato tra le proprie mura domestiche un giovane militare destinato in Africa Orientale, un paio di giorni prima di partire. (…) Indro Montanelli dimostrò di aver ben metabolizzato questo mito dell’eldorado e della terra promessa, come la gran parte della giovane intellighenzia nazionale del tempo, quando in una lettera al padre da Saganèiti in Eritrea, dov’era appena arrivato nell’estate del 1935, scrisse che “chi verrà domani avrà da fare non meno di chi è venuto oggi. Qui c’è spazio e possibilità per quindici o venti milioni d’Italiani che vi troveranno più durezze, ma anche più soddisfazioni che non in via Tornabuoni e stradicciole affini. I Coloniali (e per tali intendo non soltanto i soldati) saranno la nuova aristocrazie del Paese”. (…) 
Questo meccanismo finalizzato a sedare il malcontento e alimentare il consenso verso la guerra d’Africa – e verso il regime più in generale – era ben chiaro alle autorità fasciste, tanto è vero che se ne trova ampio riscontro nelle relazioni periodiche dei federali. Quello di Perugia, ad esempio, già all’inizio dell’anno, in occasione della partenza di un battaglione di camicie nere, aveva sottolineato come “attraverso il graduale riassorbimento della manodopera disoccupata (riassorbimento dovuto principalmente alle partenze per l’Africa Orientale e alla ripresa dei lavori di carattere agricolo ed edilizio) prosegue il generale miglioramento della situazione economica” e che “con le nuove partenze per l’Africa Orientale si prevede una sicura e sensibile diminuzione della mano d’opera disoccupata”. (…) La più chiara interpretazione di questo sentimento diffuso ce la offre il federale di Reggio Emilia in una nota al segretario del partito Starace: “E’ in sostanza la nazione intera che, dopo i sacrifici sopportati con fierezza e disciplina in questi ultimi tempi, vede finalmente, nella sua istintiva intuizione, la possibilità di un’espansione per dare lavoro a vita alla esuberante popolazione”. 
Anche dietro il fenomeno degli arruolamenti volontari spesso esistevano motivazione di natura economica o comunque di opportunità. Basti pensare che il regime aveva varato una serie di incentivi in questo senso, come ad esempio l’esonero dalla tassa sui celibi, l’abbuono degli esami e l’avanzamento all’anno successivo per gli studenti universitari e la possibilità per chi era stato riformato di rientrare nei ranghi dell’Esercito concorrendo alla nomina a sottotenente di complemento. (…) 
La guerra, cioè, serviva anche all’impiego e al riscatto sociale di “disoccupati, affamati, fannulloni e gente che – secondo l’opinione di un commerciante di Brescia che per averla espressa in questi termini incappa in una denuncia – a casa non fa niente, mentre gli impiegati statali e parastatali che vanno in Africa lo fanno al solo scopo di beccarsi un doppio stipendio”. 
Le aspettative di tipo economico e di un miglioramento della propria condizione di vita erano così radicate tra la popolazione che su di essa verrà a poggiarsi perfino un fiorente mercato nero, anche di una certa dimensione, relativo ai posti di lavoro, veri o presunti, disponibili in Africa. In pratica, come rivelano le carte delle prefetture, chi voleva partire o voleva avere qualche garanzia di superare positivamente le selezioni per gli incarichi disponibili oltremare arrivava anche a pagare somme di denaro agli intermediari e ai responsabili dei sindacati e delle federazioni fasciste. (…) 
Le aspettative e il grande entusiasmo connessi alla mobilitazione in patria e alla partenza, ben presto, però, dovettero confrontarsi con una realtà ben diversa, che apparve subito evidente agli occhi di molti combattenti all’arrivo in Eritrea. (…) la stragrande maggioranza dei militari italiani dovette subito fare i conti con il caldo opprimente della costa, il freddo intenso sull’altopiano, le piogge torrenziali per una parte dell’anno, la sete e la fame, gli alloggiamenti precari e la scarsa igiene, tanto più pesanti in quanto associate alla fatica dell’addestramento e dei lavori per la sistemazione logistica propedeutica all’attacco.””

Nessun commento:

Posta un commento