lunedì 11 luglio 2016

La questione armena.



La questione armena. Da “La Grande Guerra nel Medio Oriente. La caduta degli Ottomani 1914/1920” di Eugene Rogan, pagg. 590-593:

“In quel mese di novembre (1918) nel parlamento ottomano, così come sulla stampa, si svolse un aperto dibattito sui massacri degli armeni (durante il periodo bellico 1914-1918 ed anni precedenti, ndr). Allora, come oggi, non era possibile fare un calcolo certo sul numero degli armeni uccisi. Nelle loro deliberazioni, i membri del parlamento ottomano parlavano di cifre oscillanti fra 800.000 e un milione e mezzo di armeni civili. Si propenda per la stima alta o per quella bassa, resta il fatto che il genocidio avrebbe gettato una lunga ombra sui negoziati di pace con le potenze vincitrici. L’Intesa pubblicamente condannava il governo ottomano per i massacri degli armeni. Stati Uniti e Gran Bretagna furono particolarmente espliciti nell’invocare un’azione di giustizia punitiva per crimini contro l’umanità. Allo scopo di evitare una risoluzione di pace di tipo draconiano, il nuovo governo ottomano decise di costituire dei tribunali militari per processare coloro che avevano delle responsabilità nell’eccidio degli armeni. Con ciò si sperava di indirizzare la condanna internazionale verso la leadership  dei Giovani turchi, lasciando fuori il popolo turco. 
Fra gennaio e marzo del 1919, le autorità ottomane procedettero all’arresto di trecento funzionari turchi. Fra di loro c’erano alcuni governatori delle province e anche alcuni membri unionisti del parlamento, oltre a funzionari locali di livello inferiore. Benché la polizia avesse agito senza preavviso, effettuando gli arresti nel mezzo della notte, molti – come i membri del triumvirato e i loro consiglieri, che erano già in esilio – furono processati in contumacia. Il principale tribunale militare era quello insediato a Istanbul. I processi erano aperti al pubblico. Le testimonianze a carico degli accusati e le sentenze della corte venivano pubblicate sulla gazzetta ufficiale, la Takvim-i Vekàyi
Le incriminazioni pubblicate assegnarono la totale responsabilità dell’omicidio di massa alla leadership dei Giovani turchi. I pubblici ministeri dichiararono: “I massacri sono stati condotti per espressi ordini e alla conoscenza di Talat, Enver e Cemal.” Citavano le parole di un funzionario di Aleppo che affermava di aver “ricevuto l’ordine di sterminio” da “Talat stesso” e di essere stato convinto che “il benessere del paese” dipendesse dalla eliminazione della popolazione armena. In un telegramma presentato come prova, il dottor Bahaeddin Sakir, presunto architetto del genocidio, chiedeva al governatore di Mamuretulaziz di mandargli uno “schietto rapporto” circa la “liquidazione” degli armeni della sua provincia: “I sobillatori di cui lei mi aveva riferito sono stati dunque respinti e banditi, cioè eliminati, oppure sono stati semplicemente scacciati via?”. (fonte: Dadrian e Akcam, Judgment at Istanbul, pp. 250-280). 
Le deposizioni rivelarono come era stato organizzato l’omicidio di massa: il funzionario metteva nero su bianco l’ordine che chiedeva la deportazione, e a ciò seguivano delle istruzioni orali per il massacro dei deportati. Furono presentate testimonianze di condannati per omicidio che erano stati rilasciati dalle prigioni per formare delle squadre di “macellai di uomini”. I pubblici ministeri raccolsero una convincente documentazione attraverso la quale si vedeva il legame tra il servizio segreto di Enver, il Teskiliat-i Mahsusa, e la formazione delle squadre della morte. E misero insieme una notevole quantità di prove di uccisioni di massa, testimonianze di individui che si prendevano la responsabilità di migliaia di morti, documenti che riportavano deportazioni nell’ordine della centinaia di migliaia. 
Dopo mesi di considerazioni, i tribunali sentenziarono la pena di morte per diciotto imputati, per il loro ruolo nei massacri degli arimeni. Talat, Enver e Cemal ebbero la pena capitale, insieme ad alcuni membri importanti del CUP, come il dottor Bahaeddin Sakir e il dottor Mehmed Nazum, che erano andati con loro in esilio. Poiché quindici delle condanne erano state pronunciate in absentia degli imputati, solo tre funzionari di basso profilo furono effettivamente mandati al patibolo. Mehmed Kemal, luogotenente governatore di Yozgat, al quale Grigoris Balakian attribuiva la responsabilità del massacro di 42.000 armeni, fu impiccato il 10 aprile 1919. Il comandante della gendarmeria di Erzincan, Hafiz Abdullah Avni, fu giustiziato il 22 luglio 1920, quando andò alla forca anche il capo distretto di Bayburt, Behramzade Nusnet. Nell’agosto 1920, fu chiaro che il tribunale militare non sarebbe stato in grado di assicurare alla giustizia i principali colpevoli del massacro degli armeni. Divenne ugualmente chiaro che quei processi non avrebbero risparmiato l’Impero ottomano da una risoluzione di pace draconiana. Non essendo più di alcuna utilità, i tribunali militari scivolarono nell’inattività. Ma i verbali di questi processi forniscono la più ampia testimonianza mai compilata dalle autorità turche sulla organizzazione e l’attuazione dei massacri armeni. Questi verbali, pubblicati in turco ottomano, sono di pubblico dominio dal 1919, e si fanno beffa di ogni tentativo di negare il ruolo avuto dal governo dei Giovani turchi nell’ordinare e organizzare lo sterminio della comunità armena ottomana.””

Nessun commento:

Posta un commento