Una buona
regola è quella di rispettare le decisioni degli altri, specialmente quando non
ci piacciono.
Il nuovo
governo greco di Tsipras affronta una partita con l’UE per trovare
un’adeguata soluzione alla persistente crisi economica e finanziaria ellenica,
con un fine dichiarato, esplicito: il rifiuto della supervisione europea,
ossia dei sacrifici imposti al Paese dalla Troika (BCE, Commissione
europea, Fondo Monetario Internazionale).
Il nodo
Grecia sarà sciolto piuttosto in fretta, probabilmente prima del 28 febbraio
2015. Al pettine viene quanto accaduto dopo l’haircut “volontario”
del 53% di tutti i bond sovrani in mano ai privati deciso dalla cancelliera
tedesco Merkel e dal presidente francese Sarkozy il 7 dicembre 2011 nel vertice
di Deauville.
Ma quanto è pesante il debito della Grecia?
E quali
opzioni ha il neoeletto premier Tsipras per rinegoziare il debito greco?
Quanto pesa il debito della Grecia all’Europa e
all’Italia?
Ricordiamo
che il debito pubblico greco è pari al 175% del PIL (Irlanda 123%,
Italia 128%, Portogallo 128%, Spagna 92%: non proprio degli allievi-modello),
il PIL ha perso oltre il 25% dal periodo pre-crisi, la disoccupazione
colpisce 4 greci su 10, decine di migliaia di dipendenti pubblici
sono stati licenziati in questi brevi anni, le pensioni non hanno
copertura, gli stipendi medi di insegnanti e impiegati sono inferiori
a 500 euro mensili.
Sugli
iniziali 322 miliardi di euro di debito greco, oggi soggetti vari
dell’area euro vantano crediti per circa 195 miliardi. Gran parte
del debito greco, dopo la ristrutturazione, ha una scadenza sino a 25 anni e il
tasso di interesse medio pagato è dell’1,5% (al di sotto del
tasso sui BTP Italiani). Nel peggiore degli scenari possibili, a pagare il
conto più salato sarebbero la Germania (60 miliardi) e la Francia
(46 miliardi). Se si calcola invece l’incidenza del credito sul Pil nominale,
l’Italia scenderebbe al settimo posto e la Germania al nono,
mentre ai primi posti si piazzerebbero Portogallo, Cipro e Slovenia.
Il
finanziamento italiano alla Grecia è avvenuto principalmente attraverso l’EFSF
(European Financial Stability Facility), il fondo europeo per la stabilità
finanziaria, che non ha fondi propri, ma gode delle garanzie offerte dai Paesi
membri che hanno facoltà di emettere titoli. Questi titoli sono garantiti
pro-rata dagli Stati stessi, con lo scopo di prestare il ricavato ai Paesi in
difficoltà come la Grecia. L’aiuto attraverso il fondo EFSF è terminato per
tutti i Paesi europei nel 2012.
L’unico
Paese per il quale è stato esteso è la Grecia, fino al 28 febbraio 2015,
quando la Grecia avrà di nuovo bisogno di soldi per tirare avanti, visto che
l’ultima iniezione da 7 miliardi che la Troika (BCE, FMI, UE) avrebbe dovuto
girare ad Atene a fine anno è stata congelata in attesa del responso
elettorale.
L’Italia
contribuisce all’EFSF con 139 miliardi di euro, su un totale di 726 (si
tratta di impegni, non di versamenti).
Che fare?
Che cosa farà Tsipras in Grecia? Le 4 alternative
Nella sua
prima settimana in carica, il primo ministro Alexis Tsipras si è
impegnato a rinegoziare i termini del piano di salvataggio della Grecia
e ha nominato alcuni ministri che hanno annunciato il congelamento delle privatizzazioni di alcuni
società pubbliche. Questa decisione ha scatenato vendite record delle azioni
bancarie, con l’indice bancario della Borsa di Atene che ha perso il 44% in
tre giorni. I capitali che gli investitori internazionali avevano immesso
nelle banche greche, pari a 11,5 miliardi di USD negli ultimi 12 mesi (il
maggior aumento di capitale in almeno un decennio, secondo dati compilati da
Bloomberg), sono stati cancellati in tre giorni dalla caduta delle azioni
bancarie che hanno perso circa 11,4 miliardi dollari (oltre 10 miliardi di
euro) in valore di mercato.
Le
alternative sul tavolo (e forse sotto il tavolo) sono quattro:
- sconto sul debito;
- salvataggio;
- default;
- uscita dall’euro.
Euro, UE,
singoli governi europei ci hanno abituato a incertezza, inazione, continuo
rinvio delle decisioni, assenza di trasparenza; come i nodi aggrovigliatisi nel
tempo e lungamente rinviati, il “bubbone” – alimentato da tassi di interesse
molto bassi, pari all’1,5%, tipici per prenditori “investment grade” – va ora
affrontato.
La Grecia è
un “first time ever” e la soluzione adottata “farà scuola” per
gli altri PIIGS (Portogallo, Irlanda, Spagna, Italia) che – in caso di
sconto sul debito o salvataggio – saranno tentati di ripercorrere la stessa
strada: un’alternativa che sancirebbe la fine prematura, ed
ingloriosa, dell’euro e dell’Europa come si è sognata nel secondo
dopoguerra. Comprensibile la ritrosia degli altri paesi UE a muoversi in tal
senso.
La “Grexit”
(uscita unilaterale o concordata dall’euro) non sarebbe fatale per l’UE, ma
sarebbe assai gravosa, nel breve e specialmente nel lungo termine, per la
Grecia e i suoi cittadini:
- corsa (ancor più frettolosa) agli sportelli per ritirare euro prima della adozione di una valuta nazionale;
- blocco dei finanziamenti bancari alle imprese;
- prevedibile esplosione dell’inflazione;
- caduta verticale della produzione;
- perdita significativa del potere di acquisto dei cittadini e del valore della moneta nazionale.
Soluzioni
“di sistema” non
dovrebbero considerare sconto sul debito e salvataggio; soluzioni “di
mercato” potrebbero considerare uno scenario in cui le quotazioni del
debito pubblico greco scendono ulteriormente (come normalmente avviene in casi
di sostanziale “default”) e solo quando esse vengono correttamente valutate,
allora nuovi investitori “dalle tasche profonde” acquistano in previsione di
utili futuri.
Qualunque
decisione sarà presa, essa farà vittime, confidando che non siano “eccellenti”.
Se la UE
vuole sopravvivere, occorrerà una iniezione di mercato e di coraggio: roba da
draghi.
Pubblicato il 3.2.2015 su AdviseOnlyBlog, #IlGraffio
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