La civiltà Maya si estinse improvvisamente nell'arco di pochi decenni; due le concause: l'inaridimento della capacità produttiva agricola (l'"industria di quei tempi") e l'eccesso di casta sacerdotale (la "burocrazia di allora") che fecero implodere la struttura sociale "a piramide rovesciata". Tempus fugit.
“Paper”
PROPOSTA PER IL SEMESTRE ITALIANO ALLA GUIDA DELL’EUROPA
LE REGOLE PER LE BONIFICHE DEI TERRENI
Documento
presentato al Governo italiano il 29 ottobre in Roma
presso il
Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti
Senza industria non ci saranno né crescita né nuova
occupazione.
La re-industrializzazione dell’Europa
è al centro dell’attenzione del Consiglio europeo: far crescere la quota
dell’attività industriale dal 15% sul PIL attuale al 20% in 6 anni.
Il peso dell’industria industriale nei
paesi UE è costantemente diminuito dal 2000, quando pesava per il 26% sul PIL
europeo; tale evoluzione è stata variegata fra i principali paesi: la Germania
è rimasta stabile (22,5% nel 2000, 23%
nel 2013), mentre per Italia (20% nel 2000, 15,5% nel 2013), Francia (15% nel
2010, 10% nel 2013), Spagna (18% nel 2000, 13% nel 2013) e UK (16% nel 2000,
10% nel 2013) il peso dell’industria sul PIL è diminuito in modo significativo.
A livello mondiale, il quadro è
chiaro: l’Europa aveva una quota dell’attività manifatturiera mondiale del 31%
nel 2000 ed è scesa al 22% nel 2013; gli USA, nello stesso periodo, sono
passati dal 27% al 17% e la Cina è cresciuta dal 10,5% al 22%.
La più recente “Relazione sulla competitività 2013: senza l’industria non ci saranno né
crescita né nuova occupazione” della UE individua le ragioni per mantenere
una "dimensione critica" delle attività manifatturiere nelle economie
europee, i vantaggi comparativi dell'UE che devono essere mantenuti e
migliorati, le debolezze strutturali a lungo termine che devono essere
affrontate nel settore manifatturiero:
1. Il settore
manifatturiero è considerato sempre più fondamentale, sebbene il peso
dell'attività manifatturiera nell'economia dell'UE stia diminuendo in favore
dei servizi. Occorre
dunque una massa critica, rappresentata da una base di produzione minima, dato
che:
·
Un
calo della quota del settore manifatturiero implica anche una
perdita della base tecnologica e di conoscenze essenziale per
raggiungere un livello di sviluppo sostenibile.
·
L'industria
manifatturiera produce forti ricadute positive sul resto
dell'economia ed in particolare sulla produttività nel suo complesso. Ogni euro
di domanda finale nel settore manifatturiero genera circa il 50% della domanda
finale supplementare in altri settori dell’economia.
1. L’Europa gode di
vantaggi comparativi in circa i due terzi dei settori industriali, che rappresentano circa il 75% della
produzione manifatturiera dell'UE. Tali vantaggi comparativi si concentrano nei
settori dei prodotti complessi e di elevata qualità. Aumentando gradualmente la
complessità dei propri prodotti, le industrie manifatturiere dell'UE sono
riuscite a mantenere la propria posizione competitiva durante la crisi.
È
importante rendere le imprese dell'UE più competitive sul
mercato globale. Le conclusioni della relazione indicano che:
·
La
politica industriale dell'UE deve orientare il cambiamento strutturale
verso una maggiore produttività
nel settore manifatturiero e perseguire un miglior posizionamento delle imprese
dell'UE nella catena globale del valore. La UE dovrebbe far leva sui propri punti di forza in campo manifatturiero: fabbricazione di prodotti, prestazione di servizi ad elevata intensità di
tecnologia e di conoscenze.
·
La
UE è in ritardo nel
migliorare la propria produttività
rispetto alle potenze industriali emergenti e ad alcuni dei suoi concorrenti
principali, quali gli Stati Uniti ed il Giappone.Il divario di produttività tra UE e Stati
Uniti ha ripreso ad ampliarsi
dopo essersi ridotto per diversi anni. Questo risultato è parzialmente
attribuibile ad un divario di efficienza provocato dalle regolamentazioni o da
livelli insufficienti di investimenti in tecnologie dell'informazione e della
comunicazione (TIC) e in beni immateriali. Un'altra causa dell'allargamento di
tale divario è da ricercarsi nel più lento assorbimento, da parte del mercato,
dei risultati della ricerca (cosiddetto divario nella commercializzazione dei
risultati della ricerca).
·
Un
cambiamento strutturale risulta lento, inefficiente e condizionato dal passato se non prende
spunto dai punti di forza esistenti. Esso può essere potenziato sviluppando un quadro istituzionale
adeguato che
comprenda l'istruzione, la ricerca, le tecnologie e le politiche in materia di
innovazione, oltre alla qualità della “governance”.
La parola d’ordine della UE: “riqualificare”.
Re-industrializzazione significa
ri-costruire nuova impresa; per consentirla, un tema importante è il recupero
di migliaia di terreni prevalentemente industriali non più utilizzati per
l’attività manifatturiera.
Nella UE sono stimate oltre 20.000 aree industriali
dismesse che presentano criticità per il livello di contaminazione ambientale;
L’Agenzia Europea per l’Ambiente ( EEA) stima che in Europa vi siano
complessivamente 250.000 siti contaminati e 3.000.000 di siti potenzialmente
contaminati, per il 70% a causa di utilizzi a fini militari ed industriali
(prevalentemente, acciaierie, lavorazione di metalli ed impianti chimici).
La “parola d’ordine” della UE è:
“riqualificare”.
Programmi “sponsorizzati” dalla UE
(FESR, TIMBRE, ..) sono stati avviati per sostener azioni innovative per lo
sviluppo urbano sostenibile, con risorse finanziarie limitate, se rapportate
alla complessità e vastità del fenomeno. La proposta formulata dalla
Commissione UE in sede di presentazione del Quadro Finanziario 2014-2020
indicava lo stanziamento di 336 miliardi a favore delle regioni europee,
destinatarie del programma FESR. Dalle proposte alle azioni gli stanziamenti
spesso scompaiono e comunque vengono ridimensionati.
Molto resta da fare; in assenza di
dati puntuali (causa l’assenza di appropriati “database”), si possono fare
delle stime assai grossolane; limitatamente alla valutazione dei soli costi
derivanti da inquinamento atmosferico (una frazione dell’inquinamento
complessivo), l’EEA stima un valore compreso fra 102 e 169 miliardi di euro;
gli interventi sul suolo, prevedibilmente, potrebbero essere un multiplo di
tale valore.
L’interesse dei cittadini europei.
Il risultato è un progressivo
inevitabile degrado del territorio europeo, con un “patrimonio” destinato ad
accumulare “deficit ambientale”, abbandonato, senza immediate prospettive di
utilizzo, che richiede costi (talora elevati) per la sua mera “custodia”.
È interesse dei cittadini europei:
·
che il territorio europeo
migliori progressivamente la qualità “ecologica”, e quindi migliori la qualità
della vita dei cittadini
·
che sia facilitato lo
sviluppo, ad alto profilo qualitativo, delle attività imprenditoriali.
La situazione attuale.
La UE ha indicato un principio ispiratore dell’intero
politica ambientale, e quindi del sistema di bonifica: “chi inquina paga”. Colui che inquina è responsabile del danno causato, in solido con il proprietario ed
eventuali affittuari, i quali sono obbligati a prevenire il danno al suolo di
propria proprietà/in proprio possesso. Pertanto, le sovvenzioni pubbliche
dovrebbero cofinanziare il costo della bonifica del terreno soltanto quando
siano stati utilizzati tutti gli strumenti giuridici per far rispettare il
principio «chi inquina paga», in modo che i fondi pubblici vengano impiegati
solo in ultima istanza. Tale principio ha sinora trovato parziale, minima
applicazione.
Nella relazione (n.23/2012) della
Corte dei Conti Europea vengono indicati i risultati di una ampia indagine
sulla applicazione delle misure strutturali previste in ambito UE; essa
evidenzia come oggi la situazione vede:
(a) in tutti gli stati membri, una
politica in materia di siti dismessi attuata principalmente attraverso
strumenti di pianificazione locali, ciascuno diverso per obiettivi, procedure,
strutture, disponibilità complessive (anche finanziarie), tipologia di
autorizzazioni, modalità di acquisizione dei siti (e.g., esproprio);
(b) la assenza od incompleta presenza
di archivi e registri (“database”) che complica la definizione delle priorità
ed il controllo dei programmi e delle azioni;
(c)
i regolamenti dei Fondi Strutturali europei (FESR, TIMBRE, altri) non
richiedono un piano di sviluppo integrato ed una precisa indicazione della
destinazione d’uso post-intervento;
(d) la assenza, od incompletezza,
della valutazione delle entrate previste dai piani di dismissione finale dei
siti sottoposti a bonifica;
(e) la copertura del costo di bonifica
a carico dei fondi nazionali e della UE, dato che il principio “chi inquina
paga” non è applicato, con l’aggravante che i progetti di riqualificazione non
offrono sufficiente possibilità di recuperare quanto speso dal sostegno
pubblico, nel caso i progetti generino più reddito del previsto;
(f) la assenza di una solida analisi
di mercato che giustifichi il recupero dei siti, o la sua non applicazione in
sede di intervento;
(g) il parziale raggiungimento degli
obiettivi inizialmente perseguiti; in particolare, molti interventi non sono
stati destinati all’uso previsto;
(h) la assenza di principi uniformi, o
“standard”, essendo lasciata ai singoli stati membri la individuazione dei siti
contaminati, la definizione degli obiettivi degli interventi, il controllo
della bonifica in corso d’opera, la determinazione dei livelli di “rischiosità”
dei siti, i livelli di bonifica (maggiore o minore “profondità” degli
interventi);
(i) la assenza di procedure per
accertare la corretta attuazione delle opere di bonifica.
La Corte dei Conti Europea ha
consigliato una serie di migliori pratiche (“best practices”) per migliorare la
gestione dei progetti di bonifica:
(l) certificazione dei lavori di
decontaminazione, a cura di ente/organo competente ed accreditato;
(m) rispetto della normativa che
disciplina la pianificazione del territorio interessato;
(n) preparazione di un piano di
sviluppo integrato per specifici settori industriali (PMI, in primis).
Ad avviso della Corte, il successo
della riqualificazione di siti industriali e militari dipende dalla attuazione
di una pianificazione corretta, da una buona conoscenza dei problemi e delle
minacce ambientali economiche e sociali della comunità locale.
La Corte ha cercato di dare
riposte alla domanda se le misure strutturali dell’UE hanno sostenuto con
successo la riqualificazione dei siti industriali e militari dismessi.
La riqualificazione dei siti
dismessi ha il potenziale per offrire opportunità profittevoli e può pertanto
essere svolta da investitori privati.
Il principio ispiratore della UE
è che laddove i progetti siano soltanto marginalmente profittevoli, sarà
necessario condividere rischi e costi tra il settore pubblico e quello privato,
e il solo investimento pubblico può essere necessario in presenza di gravi
ostacoli (forte contaminazione, infelice posizione geografica, mercato
immobiliare stagnante). All’atto di decidere il livello di finanziamento
pubblico da assegnare ai progetti di riqualificazione, è importante limitare il
finanziamento pubblico a ciò che è necessario per attuare il progetto: il
contributo pubblico non dovrebbe eccedere il deficit di finanziamento tra il
costo dell’investimento e gli introiti che ci si attende esso generi.
Al fine di verificare se i progetti
di riqualificazione esaminati avessero potuto essere attuati al costo minore
possibile per il bilancio dell’UE, la Corte ha controllato:
(i)
se la sovvenzione pubblica,
inclusiva del contributo dell’UE, sia stata fissata ad un livello appropriato,
usando il metodo del deficit di finanziamento;
(ii)
se questo deficit di
finanziamento sia stato stimato in modo soddisfacente;
(iii)
se il valore del sito ( incluso
tra i costi del progetto nella valutazione del deficit di finanziamento)
rispetti il principio «chi inquina paga», in base al quale chi inquina dovrebbe
sostenere i costi della bonifica dei siti che ha danneggiato;
(iv)
se la normativa applicabile in
materia di aiuti di Stato, volta a prevenire una distorsione della concorrenza,
sia stata rispettata, e se la decisione di sovvenzione includa un meccanismo di
rimborso da applicare nel caso in cui il progetto generi più entrate di quanto
previsto alla data di approvazione della sovvenzione.
La Corte ha rilevato come le
stime dei deficit di finanziamento presentassero rilevanti carenze, non
rispettando il principio secondo cui le
sovvenzioni pubbliche dovrebbero finanziare il costo della bonifica del terreno
solo quanto siano stati adottati tutti gli strumenti giuridici per far
rispettare il principio “chi inquina paga”, cosicché i fondi pubblici sono
impiegati solo in ultima istanza.
La necessità di un “vaste programme”.
Tenuto conto della complessità del
fenomeno descritto, riteniamo che la soluzione debba essere a livello europeo,
attraverso la creazione di una “Special Agency” assai snella, con ampi poteri
di intervento, sotto l’impulso della UE e dei singoli paesi, che operi secondo
logiche privatistiche (quindi, con un obiettivo anche di produrre profitto, al
termine della vasta opera di “ricostruzione del tessuto industriale”).
Gli interventi dovranno prevedere il
coinvolgimento finanziario delle imprese ancora proprietarie dei siti
industriali (laddove ancora esistenti/operanti), richiedendo loro un adeguato
sostegno alla bonifica, quale
“contributo finale alla chiusura” dei siti. Occorre coinvolgere i “proprietari
del problema”.
L’obiettivo di un tale programma è il
recupero funzionale del maggior numero di siti a fini industriali, in specifico
destinati a produzioni “pulite”, sviluppate da imprese private, “incubatori”
privati e pubblici, “start-up” a vocazione industriale.
Perché l’impresa manifatturiera è viva
e crea lavoro.
E’ indispensabile una normativa
semplice, uniforme in tutta Europa, che preveda una struttura snella, a livello
europeo, che:
a)
coordina gli interventi di bonifica sul
territorio europeo, identificando:
a.
i siti suscettibili di
ri-utilizzo funzionale, in una ottica di priorità (economiche, dimensionali,
logistiche,…) a livello europeo, e non solo nazionale;
b.
il singolo progetto di
intervento che dovrà prevedere tempi, azioni, fasi, valorizzazione del progetto
nelle sue singole parti, destinazione d’uso, impatti economici del progetto;
c.
i possibili soggetti, o
categorie di soggetti, interessabili ai siti post-bonifica;
d.
il risultato finale
post-bonifica dei singoli siti;
b)
si assume il compito di
rilevare i siti da bonificare;
c)
provvede alle operazioni
di bonifica attraverso strumenti trasparenti (gare), secondo standard omogenei
in tutta Europa;
d)
a bonifica ultimata,
rimette sul mercato i siti bonificati con la loro vendita;
e)
si assume l’onere di parte
dell’intervento finanziario in una ottica di “pool” sovra-nazionale (Agenzia
UE, con raccolta finanziaria fuori-parametri di bilancio nazionale, con rating
UE).
Tenuto conto delle specifiche realtà
nazionali, riteniamo preferibile che l’ “Agency” operi in regime speciale
rispetto alle normative nazionali, ma nel contempo ne utilizzi, laddove
ritenuto congruo, le strutture previste, anche in una ottica di “competizione
virtuosa” fra Stati, Regioni, Comuni, Imprenditori, come strumento di
miglioramento delle condizioni del territorio.
L’esperienza sinora fatta ha
dimostrato come gli interventi di bonifica richiedono tempi lunghi, attenzione
spasmodica al rispetto di “budget” e tempi, chiarezza di obiettivi e controllo
dei risultati.
E’ difficile quantificare il “quantum”
finanziario richiesto per mettere “a norma e riutilizzo” il panorama dei siti
dismessi che necessitano di interventi di bonifica. Come indicato, l’ EEA ha
stimato impegni finanziari fra 102 e 169 miliardi di euro per i soli interventi relativi all’inquinamento
atmosferico; 169 miliardi rappresentano l’1% del PIL dell’UE; la bonifica dei
suoli richiederà impegni multipli, siano essi sostenuti dal settore privato
(proprietari dei siti contaminati, chiamati a contribuire alla bonifica) come
dalla mano pubblica.
Un “vaste programme” non potrà che
coinvolgere l’UE come “un corpo solo, una mano sola” in uno sforzo pluriennale;
partire da un obiettivo di destinare l’1% del PIL UE annuo a progetti di
bonifica di siti industriali, e nel contempo prevedere e richiedere analogo
contributo dalla “mano privata”, appare sostenibile e giustificato dalla “posta
in gioco”.
(PIL UE 2013: 16.714 miliardi di euro;
Germania 3.255 miliardi, UK 2.405 miliardi, Francia 2.350 miliardi, Italia
1.560 miliardi, Spagna 1.481 miliardi).
Come finanziare il Progetto.
L’obiettivo della UE di destinare l’1%
del PIL europeo per un periodo di tempo adeguato a “far partire la macchina a motore
ibrido: bonifica e recupero funzionale; utilizzo industriale” deve coniugarsi con una pluralità di
caratteristiche, necessità, problematiche:
1.
è prioritario ed
essenziale che “la mano privata” (proprietaria originale dei siti in oggetto)
contribuisca in modo equivalente, se possibile paritetico, allo sforzo della
“mano pubblica”. E’ interesse comune rendere possibile e concreto il recupero
di siti industriali oggi abbandonati, spesso al centro della critica della
società civile per il loro degrado;
2.
i fondi necessari per la
quota-parte della “mano pubblica” arriveranno da un maggiore indebitamento
della UE, ripartito pro-quota ai singoli paesi in proporzione del loro peso sul
PIL europeo; è essenziale che il maggior indebitamento non venga calcolato ai
fini dei parametri di solidità finanziaria dei singoli paesi, per una pluralità
di obiettivi e ragioni:
§
la natura strutturale
dell’intervento;
§
la natura pro-ciclica
dell’intervento ed il suo impatto sulla crescita del PIL, pari (almeno) alla
misura dell’intervento stesso (1% della “mano pubblica”; sino all’1% della
“mano privata”);
§
la destinazione dei fondi
così raccolti ad una “Agenzia Speciale”, o “Agency”, che sarà meglio prevedere
partecipata dalla UE stessa (e non dai singoli paesi);
3.
l’ “Agency” dovrà dotarsi
di un consiglio di amministrazione “leggero” ed utilizzare le strutture
nazionali per le attività sul territorio (previste ed operanti nei singoli
paesi: ad esempio, MinAmbiente in Italia);
4.
l’ “Agency” dovrà operare
con una logica privatistica, indirizzata a:
§
“mettere in fila” i
progetti di bonifica, secondo una “griglia” che ne rappresenti ed evidenzi
l’economicità dei singoli interventi; quindi, i singoli progetti dovranno
essere corredati da piano di intervento (comprensivo di piano industriale
riferito alle attività industriali previste), budget dei costi, costi totali
previsti, contributo rispettivo di “mano pubblica” e “mano privata”, destinazione
del sito post-intervento, valore di vendita del sito bonificato a terzi e
relativo incasso da parte dell’ “Agency”;
§
L’ “Agency” dovrà operare
sulla base di inviti e gare pubbliche (con espressa esclusione di affidamenti
in forma privata), aperti/e alla generalità degli operatori industriali, siano
essi UE e non-UE.
E’ prevedibile che singoli paesi
sollevino resistenze ed obiezioni: “perché noi dobbiamo finanziare progetti di
bonifica in altri paesi, demandando ad una Agency dei compiti che sono nazionali?
Perché dare soldi anche a paesi che sinora hanno dato misera prova di essere
attenti a come usano i soldi pubblici’”. Queste, ed altre obiezioni, per quanto
corrette, non dovranno rallentare, o deragliare, dalla direzione di un impegno
chiaro e prioritario. Come rispondere?
Una prima possibilità è quella di
destinare una “quota di riserva” dei fondi destinati all’ “Agency” al singolo
paese: ad esempio, i 2/3 del totale che ciascun paese sarà chiamato a
raccogliere (quindi, i 2/3 del PIL del singolo paese) potranno essere
destinati, in via prioritaria, ad interventi nel singolo paese.
Quali e quanti progetti avviare in via prioritaria.
L’ “Agency” identificherà una lista di
progetti rapidamente attivabili, sulla base delle richieste di inviti e gare
pubbliche (con espressa esclusione di affidamenti in forma privata), aperti/e
alla generalità degli operatori industriali, siano essi UE e non-UE. L’
“Agency” “metterà in fila” i progetti di bonifica, secondo una “griglia” che ne
rappresenta ed evidenzia l’economicità dei singoli interventi; i singoli progetti dovranno essere corredati
da piano di intervento (comprensivo di piano industriale riferito alle attività
industriali previste), budget dei costi, costi totali previsti, contributo
rispettivo di “mano pubblica” e “mano privata”, destinazione del sito
post-intervento, valore di vendita del sito bonificato a terzi e relativo
incasso da parte dell’ “Agency”.
L’ “Agency” opererà sulla base “first
in, first served” (salvo la previsione, ove adottata in sede UE, della “quota
di riserva” sopra indicata).
L’obiettivo che ragionevolmente potrà
essere perseguito sarà di un numero inizialmente contenuto di interventi, 2-4
il primo anno, e successivamente un multiplo con un obiettivo di 10-12 l’anno,
per 5 anni. Numeri superiori potrebbero apparire eccessivamente ambiziosi, da
un lato, e difficilmente realizzabili in un contesto europeo che ha visto un
numero di interventi ancora insufficiente.
Riteniamo che il ruolo della “mano
pubblica” sia chiaro: indirizzare, stimolare, ma non intervenire direttamente
nella indicazione dei progetti da finanziare, nelle modalità di intervento,
nella soluzione attesa al termine della bonifica.
Riteniamo che il ruolo della “mano
privata” sia altrettanto chiaro: contribuire alla fase di bonifica;
identificare e proporre iniziative industriali meritevoli di essere destinatari
degli interventi di bonifica, con l’obiettivo di riportare l’industria al
centro della UE e dei suoi paesi.
Il quadro italiano.
La legge italiana definisce la bonifica (art. 2, comma 1,
lett. e) del D.M. 471/99) «l’insieme degli interventi atti ad eliminare le fonti di inquinamento e le
sostanze inquinanti o a ridurre le concentrazioni delle sostanze inquinanti
presenti nel suolo, nel sottosuolo, nelle acque superficiali o nelle acque
sotterranee ad un livello uguale o inferiore ai valori di concentrazione limite
accettabili stabiliti dal presente regolamento».
I siti di importanza nazionale da sottoporre a
interventi di bonifica e la relativa procedura sono indicati nel Programma
Nazionale di Bonifica.
Gli interventi di bonifica e ripristino ambientale di interesse nazionale sono
individuabili in relazione alle caratteristiche del sito inquinato, alle
quantità e pericolosità degli inquinanti presenti nel sito medesimo, al rilievo
dell’impatto sull’ambiente circostante al sito inquinato in termini di rischio
sanitario ed ecologico nonché di pregiudizio per i beni culturali e ambientali
secondo i principi e criteri direttivi individuati dalla legge.(“corpus” noto
come “decreto Ronchi” e successive modifiche).
E’ stato adottato
(L. 9 dicembre 1998, n. 426 «Nuovi interventi in campo
ambientale » ) un Programma
Nazionale di Bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati, con
indicazioni su interventi di interesse nazionale, interventi prioritari, soggetti beneficiari,
criteri di finanziamento dei singoli
interventi e modalità di trasferimento delle relative
risorse. Nel Programma sono definite le risorse finanziarie rese disponibili
per le singole Regioni per la bonifica dei siti di interesse nazionale; i
criteri di finanziamento dei singoli interventi e le modalità di trasferimento
delle relative risorse; le modalità per il monitoraggio e il controllo sulla
realizzazione degli interventi previsti. La procedura prevista si basa sul
pubblico concorso. Con tale procedura si sostanzia il c.d. Accordo di
Programma.
Esiste una procedura
alternativa per gli interventi di bonifica nei siti di importanza nazionale;
essa dispone, per i siti di
importanza nazionale, alternativamente
alla procedura di intervento pubblico,
l’affidamento ad un soggetto terzo cui affidare le attività di bonifica
e di riqualificazione delle aree industriali interessate. Si tratta di una
procedura straordinaria in quanto viene effettuata solo in caso di inerzia, a
seguito di diffida con indicazione dei tempi di attuazione delle operazioni di bonifica,
del proprietario o del gestore delle aree industriali da bonificare.
Accordi volontari in campo
ambientale, a cura dei privati, sono attivabili, in applicazione
degli interventi comunitari; ad essi possono ricorrere lo Stato, le Regioni e
gli enti locali, coinvolgendo privati
qualificati.
Le ultime norme sul settore sono del 2012, ed hanno
cercato di semplificare l’iter di bonifica; in particolare, si è intervenuti
nel regolare i progetti di riconversione e riqualificazione delle aree dismesse
(od in crisi industriale) in una “ottica di pubblica utilità”: riutilizzo delle
aree (limitando il “consumo netto di suolo”), recupero ambientale, risparmio
energetico; il “recupero ad uso industriale” non è espressamente previsto.
Inoltre, si sono modificati i criteri per la individuazione dei siti di
interesse nazionale, indicati in 57 di cui 18 successivamente de-classificati
ad interesse regionale.
In Italia, i siti censiti sono 18.336 (fonte:
MinAmbiente, ISPRA, Commissione parlamentare di inchiesta), di cui 6.132
accertati, 4.314 contaminati, 4.879 con interventi avviati, 3.011 bonificati.
57 siti sono stati identificati come di interesse nazionale e rilevante; di
questi, 39 siti sono rimasti di
competenza nazionale (MinAmbiente) e coprono una superficie totale di 122.120
ettari; gli ettari bonificati (o per i
quali i progetti sono approvati) sono 11.007 (il 9%); le singole aree di
maggiore estensione sono Casale Monferrato (64.323 ettari, da bonificare) ed il
Sulcis (25.679 ettari, di cui 946 bonificati). I 18 siti di interesse nazionale
successivamente divenuti di competenza regionale (che coprono anche siti
litoranei e bacini fluviali, contaminati da azione antropica) coprono una
superficie di 314.727 ettari (e sono quasi integralmente da bonificare).
Dei 18.336 siti censiti, 3.970 sono in Lombardia, 2.185
in Piemonte, 2.108 in Toscana, 1.508 in Lazio, 1.414 nelle Marche, ed a seguire
nelle altre regioni. I 2 siti a maggior impatto sono situati in Piemonte (area
ex-Eternit a Casale Monferrato, 64.343 ettari) e Sardegna (area Sulcis, 25.67
ettari).
In 20 anni si sono sovrapposte norme, competenze,
conflittualità, “lacci e laccioli” che hanno impedito spesso l’avvio, e sempre
il completamento, dei progetti di bonifica.
I prossimi passi.
Laddove il Governo Italiano ritenesse
questo progetto parte integrante del programma del “semestre europeo”,
ItaliAperta si rende disponibile per:
1.
“tradurre” il progetto in
un documento bilingue (italiano ed inglese), per il Governo;
2.
con il patrocinio del
Governo e del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, coordinare
l’elaborazione di un crono-programma di dettaglio, coinvolgendo:
a.
Le strutture dedicate a
livello UE
b.
Le strutture dedicate a
livello italiano
c.
Altri “think tank” e soggetti
europei, interessabili al progetto
3.
Preparare (con la
partecipazione dei nostri ministeri coinvolti, europei e/o altri soggetti
identificati) un documento per la
creazione dell’ “Agency” europea
A tal fine, il Governo è invitato ad
identificare un referente cui fare riferimento come “internal tutor” delle
amministrazioni pubbliche.
NOTA: ALLA DATA ODIERNA, IL GOVERNO NON HA ANCORA DATO RISCONTRO ALLA PROPOSTA; COME NOTO, L'ITALIA LASCERA' LA GUIDA DEL "SEMESTRE EUROPEO" ALLA FINE DEL MESE DI DICEMBRE 2014.
NOTA: ALLA DATA ODIERNA, IL GOVERNO NON HA ANCORA DATO RISCONTRO ALLA PROPOSTA; COME NOTO, L'ITALIA LASCERA' LA GUIDA DEL "SEMESTRE EUROPEO" ALLA FINE DEL MESE DI DICEMBRE 2014.
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