mercoledì 10 dicembre 2014

Una proposta per il semestre europeo, consegnata al governo italiano.


La civiltà Maya si estinse improvvisamente nell'arco di pochi decenni; due le concause: l'inaridimento della capacità produttiva agricola (l'"industria di quei tempi") e l'eccesso di casta sacerdotale (la "burocrazia di allora") che fecero implodere la struttura sociale "a piramide rovesciata". Tempus fugit.



 “Paper”
PROPOSTA PER IL SEMESTRE ITALIANO ALLA GUIDA DELL’EUROPA
LE REGOLE PER LE BONIFICHE DEI TERRENI


Documento presentato al Governo italiano il 29 ottobre in Roma
presso il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti




Senza industria non ci saranno né crescita né nuova occupazione.

La re-industrializzazione dell’Europa è al centro dell’attenzione del Consiglio europeo: far crescere la quota dell’attività industriale dal 15% sul PIL attuale al 20% in 6 anni.
Il peso dell’industria industriale nei paesi UE è costantemente diminuito dal 2000, quando pesava per il 26% sul PIL europeo; tale evoluzione è stata variegata fra i principali paesi: la Germania è rimasta stabile  (22,5% nel 2000, 23% nel 2013), mentre per Italia (20% nel 2000, 15,5% nel 2013), Francia (15% nel 2010, 10% nel 2013), Spagna (18% nel 2000, 13% nel 2013) e UK (16% nel 2000, 10% nel 2013) il peso dell’industria sul PIL è diminuito in modo significativo.
A livello mondiale, il quadro è chiaro: l’Europa aveva una quota dell’attività manifatturiera mondiale del 31% nel 2000 ed è scesa al 22% nel 2013; gli USA, nello stesso periodo, sono passati dal 27% al 17% e la Cina è cresciuta dal 10,5% al 22%.
La più recente “Relazione sulla competitività 2013: senza l’industria non ci saranno né crescita né nuova occupazione” della UE individua le ragioni per mantenere una "dimensione critica" delle attività manifatturiere nelle economie europee, i vantaggi comparativi dell'UE che devono essere mantenuti e migliorati, le debolezze strutturali a lungo termine che devono essere affrontate nel settore manifatturiero:
1.      Il settore manifatturiero è considerato sempre più fondamentale, sebbene il peso dell'attività manifatturiera nell'economia dell'UE stia diminuendo in favore dei servizi. Occorre dunque una massa critica, rappresentata da una base di produzione minima, dato che:
·         Un calo della quota del settore manifatturiero implica anche una perdita della base tecnologica e di conoscenze essenziale per raggiungere un livello di sviluppo sostenibile.
·         L'industria manifatturiera produce forti ricadute positive sul resto dell'economia ed in particolare sulla produttività nel suo complesso. Ogni euro di domanda finale nel settore manifatturiero genera circa il 50% della domanda finale supplementare in altri settori dell’economia.
1.      L’Europa gode di vantaggi comparativi in circa i due terzi dei settori industriali, che rappresentano circa il 75% della produzione manifatturiera dell'UE. Tali vantaggi comparativi si concentrano nei settori dei prodotti complessi e di elevata qualità. Aumentando gradualmente la complessità dei propri prodotti, le industrie manifatturiere dell'UE sono riuscite a mantenere la propria posizione competitiva durante la crisi.
È importante rendere le imprese dell'UE più competitive sul mercato globale. Le conclusioni della relazione indicano che:
·         La politica industriale dell'UE deve orientare il cambiamento strutturale verso una maggiore produttività nel settore manifatturiero e perseguire un miglior posizionamento delle imprese dell'UE nella catena globale del valore. La UE dovrebbe far leva sui propri punti di forza in campo manifatturiero:  fabbricazione di prodotti,  prestazione di servizi ad elevata intensità di tecnologia e di conoscenze.
·         La UE è in ritardo nel migliorare la propria produttività rispetto alle potenze industriali emergenti e ad alcuni dei suoi concorrenti principali, quali gli Stati Uniti ed il Giappone.Il divario di produttività tra UE e Stati Uniti ha ripreso ad ampliarsi dopo essersi ridotto per diversi anni. Questo risultato è parzialmente attribuibile ad un divario di efficienza provocato dalle regolamentazioni o da livelli insufficienti di investimenti in tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC) e in beni immateriali. Un'altra causa dell'allargamento di tale divario è da ricercarsi nel più lento assorbimento, da parte del mercato, dei risultati della ricerca (cosiddetto divario nella commercializzazione dei risultati della ricerca).
·         Un cambiamento strutturale risulta lento, inefficiente e condizionato dal passato se non prende spunto dai punti di forza esistenti. Esso può essere potenziato sviluppando un quadro istituzionale adeguato che comprenda l'istruzione, la ricerca, le tecnologie e le politiche in materia di innovazione, oltre alla qualità della “governance.




La parola d’ordine della UE: “riqualificare”.

Re-industrializzazione significa ri-costruire nuova impresa; per consentirla, un tema importante è il recupero di migliaia di terreni prevalentemente industriali non più utilizzati per l’attività manifatturiera.
Nella UE  sono stimate oltre 20.000 aree industriali dismesse che presentano criticità per il livello di contaminazione ambientale; L’Agenzia Europea per l’Ambiente ( EEA) stima che in Europa vi siano complessivamente 250.000 siti contaminati e 3.000.000 di siti potenzialmente contaminati, per il 70% a causa di utilizzi a fini militari ed industriali (prevalentemente, acciaierie, lavorazione di metalli ed impianti chimici).
La “parola d’ordine” della UE è: “riqualificare”.
Programmi “sponsorizzati” dalla UE (FESR, TIMBRE, ..) sono stati avviati per sostener azioni innovative per lo sviluppo urbano sostenibile, con risorse finanziarie limitate, se rapportate alla complessità e vastità del fenomeno. La proposta formulata dalla Commissione UE in sede di presentazione del Quadro Finanziario 2014-2020 indicava lo stanziamento di 336 miliardi a favore delle regioni europee, destinatarie del programma FESR. Dalle proposte alle azioni gli stanziamenti spesso scompaiono e comunque vengono ridimensionati.
Molto resta da fare; in assenza di dati puntuali (causa l’assenza di appropriati “database”), si possono fare delle stime assai grossolane; limitatamente alla valutazione dei soli costi derivanti da inquinamento atmosferico (una frazione dell’inquinamento complessivo), l’EEA stima un valore compreso fra 102 e 169 miliardi di euro; gli interventi sul suolo, prevedibilmente, potrebbero essere un multiplo di tale valore.


L’interesse dei cittadini europei.
 
Il risultato è un progressivo inevitabile degrado del territorio europeo, con un “patrimonio” destinato ad accumulare “deficit ambientale”, abbandonato, senza immediate prospettive di utilizzo, che richiede costi (talora elevati) per la sua  mera “custodia”.
È interesse dei cittadini europei:
·         che il territorio europeo migliori progressivamente la qualità “ecologica”, e quindi migliori la qualità della vita dei cittadini
·         che sia facilitato lo sviluppo, ad alto profilo qualitativo, delle attività imprenditoriali.

 

La situazione attuale.

La UE ha indicato un principio ispiratore dell’intero politica ambientale, e quindi del sistema di bonifica: “chi inquina paga”.  Colui che inquina è responsabile del danno causato, in solido con il proprietario ed eventuali affittuari, i quali sono obbligati a prevenire il danno al suolo di propria proprietà/in proprio possesso. Pertanto, le sovvenzioni pubbliche dovrebbero cofinanziare il costo della bonifica del terreno soltanto quando siano stati utilizzati tutti gli strumenti giuridici per far rispettare il principio «chi inquina paga», in modo che i fondi pubblici vengano impiegati solo in ultima istanza. Tale principio ha sinora trovato parziale, minima applicazione.

Nella relazione (n.23/2012) della Corte dei Conti Europea vengono indicati i risultati di una ampia indagine sulla applicazione delle misure strutturali previste in ambito UE; essa evidenzia come oggi la situazione vede:
(a) in tutti gli stati membri, una politica in materia di siti dismessi attuata principalmente attraverso strumenti di pianificazione locali, ciascuno diverso per obiettivi, procedure, strutture, disponibilità complessive (anche finanziarie), tipologia di autorizzazioni, modalità di acquisizione dei siti (e.g., esproprio);
(b) la assenza od incompleta presenza di archivi e registri (“database”) che complica la definizione delle priorità ed il controllo dei programmi e delle azioni;
(c)  i regolamenti dei Fondi Strutturali europei (FESR, TIMBRE, altri) non richiedono un piano di sviluppo integrato ed una precisa indicazione della destinazione d’uso post-intervento;
(d) la assenza, od incompletezza, della valutazione delle entrate previste dai piani di dismissione finale dei siti sottoposti a bonifica;
(e) la copertura del costo di bonifica a carico dei fondi nazionali e della UE, dato che il principio “chi inquina paga” non è applicato, con l’aggravante che i progetti di riqualificazione non offrono sufficiente possibilità di recuperare quanto speso dal sostegno pubblico, nel caso i progetti generino più reddito del previsto;
(f) la assenza di una solida analisi di mercato che giustifichi il recupero dei siti, o la sua non applicazione in sede di intervento;
(g) il parziale raggiungimento degli obiettivi inizialmente perseguiti; in particolare, molti interventi non sono stati destinati all’uso previsto;
(h) la assenza di principi uniformi, o “standard”, essendo lasciata ai singoli stati membri la individuazione dei siti contaminati, la definizione degli obiettivi degli interventi, il controllo della bonifica in corso d’opera, la determinazione dei livelli di “rischiosità” dei siti, i livelli di bonifica (maggiore o minore “profondità” degli interventi);
(i) la assenza di procedure per accertare la corretta attuazione delle opere di bonifica.
La Corte dei Conti Europea ha consigliato una serie di migliori pratiche (“best practices”) per migliorare la gestione dei progetti di bonifica:
(l) certificazione dei lavori di decontaminazione, a cura di ente/organo competente ed accreditato;
(m) rispetto della normativa che disciplina la pianificazione del territorio interessato;
(n) preparazione di un piano di sviluppo integrato per specifici settori industriali (PMI, in primis).

Ad avviso della Corte, il successo della riqualificazione di siti industriali e militari dipende dalla attuazione di una pianificazione corretta, da una buona conoscenza dei problemi e delle minacce ambientali economiche e sociali della comunità locale.

La Corte ha cercato di dare riposte alla domanda se le misure strutturali dell’UE hanno sostenuto con successo la riqualificazione dei siti industriali e militari dismessi.
La riqualificazione dei siti dismessi ha il potenziale per offrire opportunità profittevoli e può pertanto essere svolta da investitori privati.
Il principio ispiratore della UE è che laddove i progetti siano soltanto marginalmente profittevoli, sarà necessario condividere rischi e costi tra il settore pubblico e quello privato, e il solo investimento pubblico può essere necessario in presenza di gravi ostacoli (forte contaminazione, infelice posizione geografica, mercato immobiliare stagnante). All’atto di decidere il livello di finanziamento pubblico da assegnare ai progetti di riqualificazione, è importante limitare il finanziamento pubblico a ciò che è necessario per attuare il progetto: il contributo pubblico non dovrebbe eccedere il deficit di finanziamento tra il costo dell’investimento e gli introiti che ci si attende esso generi.
Al fine di verificare se i progetti di riqualificazione esaminati avessero potuto essere attuati al costo minore possibile per il bilancio dell’UE, la Corte ha controllato:

(i)                 se la sovvenzione pubblica, inclusiva del contributo dell’UE, sia stata fissata ad un livello appropriato, usando il metodo del deficit di finanziamento;
(ii)               se questo deficit di finanziamento sia stato stimato in modo soddisfacente;
(iii)             se il valore del sito ( incluso tra i costi del progetto nella valutazione del deficit di finanziamento) rispetti il principio «chi inquina paga», in base al quale chi inquina dovrebbe sostenere i costi della bonifica dei siti che ha danneggiato;
(iv)             se la normativa applicabile in materia di aiuti di Stato, volta a prevenire una distorsione della concorrenza, sia stata rispettata, e se la decisione di sovvenzione includa un meccanismo di rimborso da applicare nel caso in cui il progetto generi più entrate di quanto previsto alla data di approvazione della sovvenzione.

La Corte ha rilevato come le stime dei deficit di finanziamento presentassero rilevanti carenze, non rispettando il principio secondo cui  le sovvenzioni pubbliche dovrebbero finanziare il costo della bonifica del terreno solo quanto siano stati adottati tutti gli strumenti giuridici per far rispettare il principio “chi inquina paga”, cosicché i fondi pubblici sono impiegati solo in ultima istanza.
 


 La necessità di un “vaste programme”.

Tenuto conto della complessità del fenomeno descritto, riteniamo che la soluzione debba essere a livello europeo, attraverso la creazione di una “Special Agency” assai snella, con ampi poteri di intervento, sotto l’impulso della UE e dei singoli paesi, che operi secondo logiche privatistiche (quindi, con un obiettivo anche di produrre profitto, al termine della vasta opera di “ricostruzione del tessuto industriale”).
Gli interventi dovranno prevedere il coinvolgimento finanziario delle imprese ancora proprietarie dei siti industriali (laddove ancora esistenti/operanti), richiedendo loro un adeguato sostegno alla bonifica,  quale “contributo finale alla chiusura” dei siti. Occorre coinvolgere i “proprietari del problema”.
L’obiettivo di un tale programma è il recupero funzionale del maggior numero di siti a fini industriali, in specifico destinati a produzioni “pulite”, sviluppate da imprese private, “incubatori” privati e pubblici, “start-up” a vocazione industriale.
Perché l’impresa manifatturiera è viva e crea lavoro.
E’ indispensabile una normativa semplice, uniforme in tutta Europa, che preveda una struttura snella, a livello europeo, che:
a)       coordina gli interventi di bonifica sul territorio europeo, identificando:
a.       i siti suscettibili di ri-utilizzo funzionale, in una ottica di priorità (economiche, dimensionali, logistiche,…) a livello europeo, e non solo nazionale;
b.      il singolo progetto di intervento che dovrà prevedere tempi, azioni, fasi, valorizzazione del progetto nelle sue singole parti, destinazione d’uso, impatti economici del progetto;
c.       i possibili soggetti, o categorie di soggetti, interessabili ai siti post-bonifica;
d.      il risultato finale post-bonifica dei singoli siti;
b)      si assume il compito di rilevare i siti da bonificare;
c)      provvede alle operazioni di bonifica attraverso strumenti trasparenti (gare), secondo standard omogenei in tutta Europa;
d)      a bonifica ultimata, rimette sul mercato i siti bonificati con la loro vendita;
e)      si assume l’onere di parte dell’intervento finanziario in una ottica di “pool” sovra-nazionale (Agenzia UE, con raccolta finanziaria fuori-parametri di bilancio nazionale, con rating UE).

Tenuto conto delle specifiche realtà nazionali, riteniamo preferibile che l’ “Agency” operi in regime speciale rispetto alle normative nazionali, ma nel contempo ne utilizzi, laddove ritenuto congruo, le strutture previste, anche in una ottica di “competizione virtuosa” fra Stati, Regioni, Comuni, Imprenditori, come strumento di miglioramento delle condizioni del territorio.
L’esperienza sinora fatta ha dimostrato come gli interventi di bonifica richiedono tempi lunghi, attenzione spasmodica al rispetto di “budget” e tempi, chiarezza di obiettivi e controllo dei risultati.
E’ difficile quantificare il “quantum” finanziario richiesto per mettere “a norma e riutilizzo” il panorama dei siti dismessi che necessitano di interventi di bonifica. Come indicato, l’ EEA ha stimato impegni finanziari fra 102 e 169 miliardi di euro per  i soli interventi relativi all’inquinamento atmosferico; 169 miliardi rappresentano l’1% del PIL dell’UE; la bonifica dei suoli richiederà impegni multipli, siano essi sostenuti dal settore privato (proprietari dei siti contaminati, chiamati a contribuire alla bonifica) come dalla mano pubblica.
Un “vaste programme” non potrà che coinvolgere l’UE come “un corpo solo, una mano sola” in uno sforzo pluriennale; partire da un obiettivo di destinare l’1% del PIL UE annuo a progetti di bonifica di siti industriali, e nel contempo prevedere e richiedere analogo contributo dalla “mano privata”, appare sostenibile e giustificato dalla “posta in gioco”.

(PIL UE 2013: 16.714 miliardi di euro; Germania 3.255 miliardi, UK 2.405 miliardi, Francia 2.350 miliardi, Italia 1.560 miliardi, Spagna 1.481 miliardi).



Come finanziare il Progetto.

L’obiettivo della UE di destinare l’1% del PIL europeo per un periodo di tempo adeguato a “far partire la macchina a motore ibrido: bonifica e recupero funzionale; utilizzo industriale”  deve coniugarsi con una pluralità di caratteristiche, necessità, problematiche:
1.      è prioritario ed essenziale che “la mano privata” (proprietaria originale dei siti in oggetto) contribuisca in modo equivalente, se possibile paritetico, allo sforzo della “mano pubblica”. E’ interesse comune rendere possibile e concreto il recupero di siti industriali oggi abbandonati, spesso al centro della critica della società civile per il loro degrado;
2.      i fondi necessari per la quota-parte della “mano pubblica” arriveranno da un maggiore indebitamento della UE, ripartito pro-quota ai singoli paesi in proporzione del loro peso sul PIL europeo; è essenziale che il maggior indebitamento non venga calcolato ai fini dei parametri di solidità finanziaria dei singoli paesi, per una pluralità di obiettivi e ragioni:
§  la natura strutturale dell’intervento;
§  la natura pro-ciclica dell’intervento ed il suo impatto sulla crescita del PIL, pari (almeno) alla misura dell’intervento stesso (1% della “mano pubblica”; sino all’1% della “mano privata”);
§  la destinazione dei fondi così raccolti ad una “Agenzia Speciale”, o “Agency”, che sarà meglio prevedere partecipata dalla UE stessa (e non dai singoli paesi);
3.      l’ “Agency” dovrà dotarsi di un consiglio di amministrazione “leggero” ed utilizzare le strutture nazionali per le attività sul territorio (previste ed operanti nei singoli paesi: ad esempio, MinAmbiente in Italia);
4.      l’ “Agency” dovrà operare con una logica privatistica, indirizzata a:
§  “mettere in fila” i progetti di bonifica, secondo una “griglia” che ne rappresenti ed evidenzi l’economicità dei singoli interventi; quindi, i singoli progetti dovranno essere corredati da piano di intervento (comprensivo di piano industriale riferito alle attività industriali previste), budget dei costi, costi totali previsti, contributo rispettivo di “mano pubblica” e “mano privata”, destinazione del sito post-intervento, valore di vendita del sito bonificato a terzi e relativo incasso da parte dell’ “Agency”;
§  L’ “Agency” dovrà operare sulla base di inviti e gare pubbliche (con espressa esclusione di affidamenti in forma privata), aperti/e alla generalità degli operatori industriali, siano essi UE e non-UE.
E’ prevedibile che singoli paesi sollevino resistenze ed obiezioni: “perché noi dobbiamo finanziare progetti di bonifica in altri paesi, demandando ad una Agency dei compiti che sono nazionali? Perché dare soldi anche a paesi che sinora hanno dato misera prova di essere attenti a come usano i soldi pubblici’”. Queste, ed altre obiezioni, per quanto corrette, non dovranno rallentare, o deragliare, dalla direzione di un impegno chiaro e prioritario. Come rispondere?
Una prima possibilità è quella di destinare una “quota di riserva” dei fondi destinati all’ “Agency” al singolo paese: ad esempio, i 2/3 del totale che ciascun paese sarà chiamato a raccogliere (quindi, i 2/3 del PIL del singolo paese) potranno essere destinati, in via prioritaria, ad interventi nel singolo paese.



Quali e quanti progetti avviare in via prioritaria.

L’ “Agency” identificherà una lista di progetti rapidamente attivabili, sulla base delle richieste di inviti e gare pubbliche (con espressa esclusione di affidamenti in forma privata), aperti/e alla generalità degli operatori industriali, siano essi UE e non-UE. L’ “Agency” “metterà in fila” i progetti di bonifica, secondo una “griglia” che ne rappresenta ed evidenzia l’economicità dei singoli interventi;  i singoli progetti dovranno essere corredati da piano di intervento (comprensivo di piano industriale riferito alle attività industriali previste), budget dei costi, costi totali previsti, contributo rispettivo di “mano pubblica” e “mano privata”, destinazione del sito post-intervento, valore di vendita del sito bonificato a terzi e relativo incasso da parte dell’ “Agency”.
L’ “Agency” opererà sulla base “first in, first served” (salvo la previsione, ove adottata in sede UE, della “quota di riserva” sopra indicata).
L’obiettivo che ragionevolmente potrà essere perseguito sarà di un numero inizialmente contenuto di interventi, 2-4 il primo anno, e successivamente un multiplo con un obiettivo di 10-12 l’anno, per 5 anni. Numeri superiori potrebbero apparire eccessivamente ambiziosi, da un lato, e difficilmente realizzabili in un contesto europeo che ha visto un numero di interventi ancora insufficiente.
Riteniamo che il ruolo della “mano pubblica” sia chiaro: indirizzare, stimolare, ma non intervenire direttamente nella indicazione dei progetti da finanziare, nelle modalità di intervento, nella soluzione attesa al termine della bonifica.
Riteniamo che il ruolo della “mano privata” sia altrettanto chiaro: contribuire alla fase di bonifica; identificare e proporre iniziative industriali meritevoli di essere destinatari degli interventi di bonifica, con l’obiettivo di riportare l’industria al centro della UE e dei suoi paesi.



 Il quadro italiano.

La legge italiana definisce la bonifica (art. 2, comma 1, lett. e) del D.M. 471/99) «l’insieme degli interventi atti ad eliminare le fonti di inquinamento e le sostanze inquinanti o a ridurre le concentrazioni delle sostanze inquinanti presenti nel suolo, nel sottosuolo, nelle acque superficiali o nelle acque sotterranee ad un livello uguale o inferiore ai valori di concentrazione limite accettabili stabiliti dal presente regolamento».

I siti di importanza nazionale da sottoporre a interventi di bonifica e la relativa procedura sono indicati nel Programma Nazionale di Bonifica. Gli interventi di bonifica e ripristino ambientale di interesse nazionale sono individuabili in relazione alle caratteristiche del sito inquinato, alle quantità e pericolosità degli inquinanti presenti nel sito medesimo, al rilievo dell’impatto sull’ambiente circostante al sito inquinato in termini di rischio sanitario ed ecologico nonché di pregiudizio per i beni culturali e ambientali secondo i principi e criteri direttivi individuati dalla legge.(“corpus” noto come “decreto Ronchi” e successive modifiche).
E’ stato adottato  (L. 9 dicembre 1998, n. 426  «Nuovi interventi in campo ambientale » ) un Programma Nazionale di Bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati, con indicazioni su interventi di interesse nazionale,  interventi prioritari, soggetti beneficiari, criteri di finanziamento dei singoli
interventi e modalità di trasferimento delle relative risorse. Nel Programma sono definite le risorse finanziarie rese disponibili per le singole Regioni per la bonifica dei siti di interesse nazionale; i criteri di finanziamento dei singoli interventi e le modalità di trasferimento delle relative risorse; le modalità per il monitoraggio e il controllo sulla realizzazione degli interventi previsti. La procedura prevista si basa sul pubblico concorso. Con tale procedura si sostanzia il c.d. Accordo di Programma.

Esiste una procedura alternativa per gli interventi di bonifica nei siti di importanza nazionale; essa dispone, per i siti di importanza nazionale,  alternativamente alla procedura di intervento pubblico,  l’affidamento ad un soggetto terzo cui affidare le attività di bonifica e di riqualificazione delle aree industriali interessate. Si tratta di una procedura straordinaria in quanto viene effettuata solo in caso di inerzia, a seguito di diffida con indicazione dei tempi di attuazione delle operazioni di bonifica, del proprietario o del gestore delle aree industriali da bonificare.

Accordi volontari in campo ambientale, a cura dei privati, sono attivabili,  in applicazione degli interventi comunitari; ad essi possono ricorrere lo Stato, le Regioni e gli enti locali, coinvolgendo  privati qualificati.

Le ultime norme sul settore sono del 2012, ed hanno cercato di semplificare l’iter di bonifica; in particolare, si è intervenuti nel regolare i progetti di riconversione e riqualificazione delle aree dismesse (od in crisi industriale) in una “ottica di pubblica utilità”: riutilizzo delle aree (limitando il “consumo netto di suolo”), recupero ambientale, risparmio energetico; il “recupero ad uso industriale” non è espressamente previsto. Inoltre, si sono modificati i criteri per la individuazione dei siti di interesse nazionale, indicati in 57 di cui 18 successivamente de-classificati ad interesse regionale.
In Italia, i siti censiti sono 18.336 (fonte: MinAmbiente, ISPRA, Commissione parlamentare di inchiesta), di cui 6.132 accertati, 4.314 contaminati, 4.879 con interventi avviati, 3.011 bonificati. 57 siti sono stati identificati come di interesse nazionale e rilevante; di questi,  39 siti sono rimasti di competenza nazionale (MinAmbiente) e coprono una superficie totale di 122.120 ettari; gli  ettari bonificati (o per i quali i progetti sono approvati) sono 11.007 (il 9%); le singole aree di maggiore estensione sono Casale Monferrato (64.323 ettari, da bonificare) ed il Sulcis (25.679 ettari, di cui 946 bonificati). I 18 siti di interesse nazionale successivamente divenuti di competenza regionale (che coprono anche siti litoranei e bacini fluviali, contaminati da azione antropica) coprono una superficie di 314.727 ettari (e sono quasi integralmente da bonificare).
Dei 18.336 siti censiti, 3.970 sono in Lombardia, 2.185 in Piemonte, 2.108 in Toscana, 1.508 in Lazio, 1.414 nelle Marche, ed a seguire nelle altre regioni. I 2 siti a maggior impatto sono situati in Piemonte (area ex-Eternit a Casale Monferrato, 64.343 ettari) e Sardegna (area Sulcis, 25.67 ettari).

In 20 anni si sono sovrapposte norme, competenze, conflittualità, “lacci e laccioli” che hanno impedito spesso l’avvio, e sempre il completamento, dei progetti di bonifica.


I prossimi passi.

Laddove il Governo Italiano ritenesse questo progetto parte integrante del programma del “semestre europeo”, ItaliAperta si rende disponibile per:
1.      “tradurre” il progetto in un documento bilingue (italiano ed inglese), per il Governo;
2.      con il patrocinio del Governo e del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, coordinare l’elaborazione di un crono-programma di dettaglio, coinvolgendo:
a.       Le strutture dedicate a livello UE
b.      Le strutture dedicate a livello italiano
c.       Altri “think tank” e soggetti europei, interessabili al progetto
3.      Preparare (con la partecipazione dei nostri ministeri coinvolti, europei e/o altri soggetti identificati) un documento per la creazione dell’ “Agency” europea
A tal fine, il Governo è invitato ad identificare un referente cui fare riferimento come “internal tutor” delle amministrazioni pubbliche.



NOTA: ALLA DATA ODIERNA, IL GOVERNO NON HA ANCORA DATO RISCONTRO ALLA PROPOSTA; COME NOTO, L'ITALIA LASCERA' LA GUIDA DEL "SEMESTRE EUROPEO" ALLA FINE DEL MESE DI DICEMBRE 2014.

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