“” Il tempo non
ci è dato. Lo spazio sì. (..) Altra cosa è sapere come ci è dato, e a quale
prezzo. (…) La filosofia ha affrontato più spesso il problema del tempo che
quello dello spazio: il tempo in effetti è il padrone indiscusso dell’uomo, che
dipende da lui, attraverso la memoria, in maniera molto intima, mentre con lo
spazio il rapporto si inverte e diluisce. In posizione di pazienti nei riguardi
del tempo, di agenti nei riguardi dello spazio, nondimeno li viviamo e li
percepiamo insieme. Il movimento, origine di ogni vita, li implica entrambi in
maniera indissolubile. Nella coscienza che abbiamo dell’uno e dell’altro si
contrappongono impressioni di continuità e di discontinuità, di globalità e di
distinzione, grazie alle quali noi ci sperimentiamo e conosciamo le cose. Nessun
dubbio che, fin dalle remote e lente origini dell’umanità, ogni discorso sul
mondo fu articolato a partire da queste contrapposizioni. La maggior parte
delle dottrine che, nel corso dei secoli, la nostra intelligenza ha prodotto,
sollecitata dal problema della sua stessa spazio-temporalità, implica gli
stessi interrogativi: spazio e tempo sono cose o idee, forme concrete o
categorie della comprensione? Emergono nel nostro spirito come dati originari,
o non fanno che tradire delle spinte più profonde, se non addirittura una unica
spinta? (…) Ogni essere vivente ha il proprio spazio; il tempo lo attraversa. Lo
spazio quotidianamente vissuto è in qualsiasi momento irreversibile; il tempo
no. (…) Hic et nunc rappresenta
universalmente il punto zero (…) “”
Paul Zumthor,
La misura del mondo, 1995, pagg. 11-12
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