“” La
politica di espulsione dei tedeschi attuata dai cecoslovacchi (al termine della
II Guerra Mondiale, ndr) godeva inoltre dell’approvazione internazionale, cosa
che non si stancavano di sottolineare. Nell’articolo XII dell’accordo di
Potsdam, le tre potenze alleate vincitrici riconoscevano infatti “che dovrà
essere intrapreso il trasferimento in Germania delle popolazioni tedesche (o di
loro singoli elementi) rimaste in Polonia, Cecoslovacchia e Ungheria”. L’articolo
XIII, inoltre, sottolineava come queste espulsioni andassero attuate in fretta.
L’articolo si concludeva con quella che sembrava quasi un’aggiunta successiva: “Tutti
i trasferimenti che avranno luogo dovranno essere effettuati in modo ordinato e
umano”. Non diceva nulla, però, su come questo sarebbe stato possibile in mezzo
al caos dell’Europa postbellica.
All’inizio
del 1946, Radio Praga dichiarò che l’accordo di Potsdam sui trasferimenti di
popolazione era stato “la più grande vittoria politica e diplomatica ma
raggiunta dalla nostra nazione nella sua lunga lotta storica contro i tedeschi
per la propria esistenza”. (…)
A partire
dalla Liberazione, i cechi applicarono ai tedeschi la legislazione antiebraica
dei nazisti. Tutte le persone di etnia tedesca dovevano portare una grossa N
(per Nemec, “tedesco”) cucita sui vestiti, così come sotto il nazismo gli ebrei
avevano dovuto portare la Stella di Davide. I tedeschi erano banditi dai parchi
pubblici e potevano entrare nei negozi solo dopo che i clienti cechi e
slovacchi avevano finito di servirsi (ovvero quando di fatto non era rimasto
più nulla da comprare). Era loro proibiti comprare determinati beni, in particolare
alimenti come il latte, il formaggio o la carne. Venivano bollati come nemici
dello Stato, il che significava che le loro proprietà potevano essere
confiscate in un qualunque momento. (…)
Migliaia
di tedeschi vennero condotti a piedi fino all’ex campo di concentramento di
Terezin, in tedesco Theresienstadt, il cosiddetto “ghetto modello” dove i nazisti
avevano inviato gruppi di osservatori stranieri nel gretto tenativo di mostrare
al mondo quanto fossero illuminate le loro politiche sulla questione ebraica. Fra
il 10 e il 15 per cento dei prigionieri morì durante la marcia – di un centinaio
di chilometri – per arrivare fino al campo. (…) Dietro la facciata, le
condizioni al Theresienstadt erano spaventose, quasi quanto ai tempi dei
nazisti. (…)
L’intera
popolazione tedesca di Brno, la terza città cecoslovacca per grandezza, ricevette
l’ordine di partire quasi senza preavviso e dovette percorrere a piedi più di
60 chilometri per raggiungere il confine tedesco. (…) Non ricevettero cibo né acqua
per il viaggio. Lungo la strada, quelli che barcollavano venivano colpiti con i
calci dei fucili, compresi i vecchi e le donne incinte, e chi non ce la faceva
più ad andare avanti veniva fucilato. (…) Stando alle stime, su 23.000 persone
che avevano lasciato la città, 6000 morirono lungo il tragitto. (…)
In tutto,
fra il giugno 1945 e il giugno 1947, circa 1,4 milioni di persone di etnia
tedesca arrivarono nelle zone d’occupazione britannica e americana, e 786.000
in quella sovietica. Non ci sono dati precisi riguardo il numero dei morti; (…)
La stima migliore, probabilmente, è di circa 210.000 persone, un dato emerso
molti anni dopo da fonti sovietiche rese disponibili dopo il crollo del
comunismo.(…)
Con il
crollo degli imperi asburgico e ottomano, al termine della Prima guerra
mondiale, vennero creati diversi nuovi Stati; tuttavia, anche se molti confini
furono spostati, in genere la gente preferì rimanere dove si trovava. Alla fine
della Seconda guerra mondiale si verificò invece l’opposto. Con l’eccezione
della Polonia, nessun confine venne spostato. In base a un accordo raggiunto
fra gli Alleati durante la guerra, la Polonia orientale fu assorbita nell’Unione
Sovietica e i polacchi compensato con la Pomerania, la Slesia e la Prussia
orientale (regioni occidentali che avevano fatto parte della Germania). Di conseguenza,
ci furono grossi movimenti di massa di ucraini e polacchi a est, che riaprirono
aspri e sanguinosi conflitti vecchi di secoli. Con lo spostamento del confine,
quasi 7 milioni di tedeschi si ritrovarono a vivere in quella che era ormai
diventata la Polonia, e i polacchi volevano sbarazzarsene. Gli Alleati
occidentali non mostrarono per le loro sorti più compassione di quella avuta
per i tedeschi dei Sudeti. Anche in questo caso, Churchill commentò la
situazione in termini positivi, dicendo che i trasferimenti erano “ragionevoli”
(…)
Come in
Cecoslovacchia, le espulsioni riscuotevano un ampio appoggio popolare. (…) (I
polacchi) intenzionati non soltanto a ridurre le dimensioni del territorio
tedesco in Pomerania e Slesia, miravano anche a un obiettivo molto più
difficile e complicato: la cancellazione delle secolari tracce di
germanizzazione in quei territori. “Non si tratta solo di rimuovere i segni o i
monumenti tedeschi, ma di cancellare la linfa stessa della germanizzazione da
ogni aspetti della vita, di rimuoverla dalla psiche della gente”. (…)
Le persone
venivano rastrellate a migliaia per volta e avevano solo un’ora o due per
raccogliere le proprie cose prima di essere costrette a partire per “una qualche destinazione” al
di là del nuovo confine, in Germania. (…)
Migliaia
di persone vennero trasportate in treno, su vagoni non troppo diversi da quelli
che solo pochi mesi prima avevano condotto alla morte gli ebrei. (…)
Prima di
essere espulsi, molti tedeschi furono internati nei campi di concentramento. Il
più famigerato era quello di Zgoda presso Swietochlowice, in Slesia, dive più
di 2000 dei 5000 prigionieri morirono nel giro di poche settimane in condizioni
subumane di fame e di stenti. (…)
Nei
campi morirono fra i 40.000 e i 60.000 tedeschi, e più di 100.000 persero la
vita sulle strade e sulle ferrovie verso la Germania.
Fra il
1945 e il 1947, circa 630.000 tedeschi vennero scacciati dall’Ungheria e
600.000 dalla Romania, dove avevano vissuto per secoli. Più di 60.000 ungheresi
furono espulsi dalla Slovacchia e 100.000 dalla Jugoslavia. Gli ucraini vennero allontanati dalla Polonia
e i polacchi dall’Ucraina, in una guerra etnica iniziata nel 1943 e proseguita
parallelamente al conflitto contro i nazisti, ma continuata con brutalità anche
dopo. Nonostante i milioni di caduti durante la guerra, al termine del
conflitto la popolazione della Germania, nei suoi nuovi confini, era cresciuta
di molto, passando dai circa 60 milioni di abitanti del 1939 ai 66 milioni
della fine del 1946. Il risultato fu che, al termine della Seconda guerra
mondiale, sul piano etnico l’Europa era molto più omogenea di quanto fosse
stata per secoli, e sarebbe rimasta tale fino all’arrivo, a partire dagli anni
Sessanta, di grandi ondate di immigrati dall’esterno del continente. Gli ebrei
erano scomparsi. Al di fuori dei confini della Germania, i tedeschi non erano
voluti da nessuno. Grandi popolazioni erano state sradicate a forza nella più
grande crisi di profughi che il mondo occidentale avesse mai visto. Se Hitler
aveva sognato un’Europa etnicamente pura, fu proprio la sconfitta della
Germania, in modo paradossale, a far sì che il suo sogno, alla fine del 1946,
fosse diventato in gran parte una realtà.””
Victor Sebestyen, 1946 La guerra
in tempo di pace, pagg. 159-169, 1° ed. 2016
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