Storicamente, gli elementi e le condizioni che possono
condurre ad un default di uno stato sono:
(a) un debito pubblico elevato, che
diventa critico laddove superi il 90% del PIL, limitando la capacità di
crescita; il rapporto debito/PIL dell’Italia è oggi vicino al 130%;
(b)
prolungati periodi di crescita economica negativa, o nulla; in Italia, il PIL
ha avuto una dinamica negativa negli ultimi anni: -2,5% nel 2012 e -1,8% nel
2013 (fonte Eurostat) ed ancora negativo nel 2014, con previsioni "anemiche" per il 2015;
(c) una percentuale elevata di debito pubblico posseduto
da investitori stranieri, più influenzabili da dinamiche avverse e quindi
propensi ad un rapido disinvestimento da titoli pubblici del paese sotto
osservazione; si ricorda come la percentuale di debito pubblico italiano
detenuta da investitori esteri fosse del 52% prima della crisi del novembre
2011 per scendere al 30% circa oggi;
(d) flussi di capitale estero legati a fasi
pro-cicliche (alti in fasi espansive, bassi o negativi in fasi recessive) e
“speculativi”, rispetto ad investimenti strutturali e stabili;
(e) una
struttura del debito pubblico più assata sul breve periodo, con duration
(durata media del debito residuo) brevi, e quindi più sensibile ad aumenti
improvvisi e/o duraturi dei tassi nominali;
(f) deficit di bilancio pubblico
significativi e ripetuti nel tempo;
(g) inflazione elevata;
(h) deprezzamento
significativo della valuta nazionale.
La contemporanea presenza di più elementi
accresce la vulnerabilità del paese al default, che viene accelerato da un “evento-shock”
come la svalutazione improvvisa della moneta o l’abbandono di forme di
“aggancio” a monete più forti.
Sine qua non.
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