Nell’aprile 2010, al momento della richiesta di un prestito di 30 miliardi di euro al FMI per 3 anni e di un prestito di 80 miliardi di euro alla UE, per totali 110 miliardi di euro pari alla metà del PIL greco, la Grecia presentava alcune debolezze strutturali: alto rapporto deficit/PIL pari al 13,6% nel 2009; rapida crescita del debito pubblico passato dal 100% sul PIL nel 2005 al 148% nel 2010; invecchiamento della popolazione con relative previsioni di aumento delle spese per pensioni e sanità; bassa competitività; capacità di offerta di beni e servizi limitata; istituzioni non favorevoli agli investimenti (IMF Council Report no. 10/110, maggio 2010, p. 1: “Thus, Greece needs a strong and sustained adjustment program to lower the fiscal deficit substantially and create the basis for a declining debt ratio, bring domestic demand in line with domestic supplì capacity, and improve competitiveness so that the economy can step onto a higher growth path””). Date tali debolezze, il FMI sollecitava un programma di aggiustamento fiscale per ridurre il deficit, per invertire la crescita del rapporto debito/PIL, per riallineare la domanda interna alla effettiva capacità di offerta per migliorare la competitività del paese.
Il programma di aggiustamento concordato con il FMI si fondava su 3 punti:
(a) ripristino della fiducia e garanzia della sostenibilità fiscale, attraverso azioni rivolte a riprendere credibilità sui mercati internazionali permettendo così la ripresa degli investimenti esteri; (b) ripristino della competitività interna attraverso la riduzione dei salari nominali, adottando riforme strutturali che consentissero all’economia greca di attrarre investimenti esteri;
(c) salvaguardia della stabilità del settore bancario-finanziario dal rischio di disinflazione che avrebbe indebolito i bilanci bancari.
Il primo obiettivo avrebbe comportato un consolidamento fiscale agendo sia sul fronte delle entrate (tasse e lotta alla evasione fiscale) che su quello delle spese (tagli a pensioni).
Il secondo obiettivo avrebbe dovuto focalizzarsi sulla riforma del lavoro attraverso flessibilità e creazione di condizioni favorevoli all’impresa ed agli investimenti, quali liberalizzazioni di servizi pubblici in un mercato interno protetto ed interventi volti all’efficienza del settore pubblico, in particolare la sanità.
In termini concreti, il programma intendeva ristrutturare l’offerta, cercando di attenuare gli effetti depressivi di breve termine derivanti dal consolidamento fiscale e proponendosi di creare condizioni favorevoli alla crescita nel medio termine.
Tra dicembre 2011 e febbraio 2012 venne preparato un “programma di aggiustamento” per gli anni sino al 2014. Nel complesso, la comunità internazionale ha erogato prestiti per 237,5 miliardi pari al 107% del Pil della Grecia sul fondamento che i risultati e gli effetti previsti dalle riforme attese sarebbero state sufficiente garanzia per la concessione di crediti.
Già nel giugno 2011 il parlamento greco aveva approvato un ampio programma di misure per stabilizzare i conti pubblici prevedendo un inasprimento fiscale ed una serie di privatizzazioni che avrebbero consentito un miglioramento della posizione finanziaria di 50 miliardi di euro; seguì, nel febbraio 2012, un ulteriore programma di interventi con la previsione di:
(a) tagli nell’organico dei dipendenti pubblici per 150.000 unità entro il 2015;
(b) tagli alla sanità ed alla difesa;
(c) possibilità di revisione dei salari da parte delle imprese compresa una più lasca disciplina sul licenziamento, che faceva seguito al precedente innalzamento dell’età pensionistica da 61 a 65 anni per i dipendenti pubblici.
Nel corso del 2012 vennero presi ulteriori provvedimenti per assicurarsi il sostegno della comunità internazionale e dimostrare lo sforzo di risanamento, incluso un ulteriore innalzamento dell’età pensionabile a 67 anni.
La Commissione Europea (“European Commission – Commission Staff Working Document, “Assessment of the 2013 national reform programme for Greece”) se da un lato ha confermato importanti progressi nell’opera di risanamento, dall’altro ha lamentato lentezza ed inadeguatezza delle azioni intraprese “”nella riforma della pubblica amministrazione, nella riforma del sistema fiscale e nelle privatizzazioni””, poiché persistono nodi preoccupanti nel bilancio pubblico che potrebbero richiedere ulteriori provvedimenti per riallineare il programma agli obiettivi attesi.
Siamo a
febbraio 2015, ed al pettine viene quanto accaduto dopo l'haircut
“volontario” del 53% di tutti i bond sovrani in mano ai privati, deciso a dicembre 2011.
Oggi, il
debito pubblico greco è pari al 175% del PIL (Irlanda 123%, Italia 128%,
Portogallo 128%, Spagna 92%), il PIL ha perso oltre il 25% dalla pre-crisi, la
disoccupazione colpisce 4 greci su 10, decine di migliaia di dipendenti
pubblici sono stati licenziati in questi brevi anni, le pensioni non hanno
copertura, gli stipendi medi di insegnanti ed impiegati sono inferiori a 500
euro mensili.
Su iniziali
322 miliardi di euro di debito greco, enti e soggetti dell’area euro vantano
crediti per circa 195 miliardi. Gran parte del debito greco, dopo la
ristrutturazione, ha una scadenza sino a 25 anni e il tasso di interesse medio
pagato è dell’1,5% (al di sotto del tasso sui BTP Italiani).
Le alternative sul tavolo (e forse sotto il tavolo) sono quattro: sconto sul debito, salvataggio, default,
uscita dall’euro.
Euro, UE,
singoli governi europei ci hanno abituato ad incertezza, inazione, continuo
rinvio delle decisioni, assenza di trasparenza; come i nodi aggrovigliatisi nel
tempo e lungamente rinviati, il “bubbone” – alimentato da tassi di interesse
molto bassi, pari all’1,5%, tipici per prenditori “investment grade” e non per
debitori “cattivi” come il paese ellenico -- va ora affrontato.
La Grecia è una
“prima volta” e la soluzione che sarà adottata “farà scuola” per gli altri
PIIGS (Portogallo, Irlanda, Spagna, Italia) che -- in caso di sconto sul debito e salvataggio – saranno
tentati di ripercorrere la stessa strada: una alternativa che sancirebbe la
fine prematura, ed ingloriosa, dell’euro e dell’Europa come si è sognata nel
secondo dopoguerra. Comprensibile la ritrosia degli altri paesi UE a muoversi
in tal senso.
La “Grexit”
(uscita unilaterale o concordata dall’euro) non sarebbe fatale per la UE, ma
sarebbe assai gravosa, nel breve e nel lungo termine, per la Grecia ed i suoi
cittadini: corsa (ancor più frettolosa) agli sportelli per ritirare euro prima della
adozione di una valuta nazionale, blocco dei finanziamenti bancari alle
imprese, prevedibile esplosione dell’inflazione, caduta verticale della
produzione, perdita significativa del potere di acquisto dei cittadini e del
valore della moneta nazionale.
Se la UE vuole
sopravvivere, occorrerà una iniezione di mercato e di coraggio.
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