sabato 3 ottobre 2015

L'ultima fatica di Pantalone.





E’ stata annunciata la creazione di una holding dotata di un capitale di 1.500 milioni di euro, per il salvataggio, il rilancio e la successiva cessione sul mercato nell’arco di 2-3 anni di Cassa di risparmio di Ferrara, Banca Marche e Banca Popolare dell’Etruria, le 3 crisi bancarie che per gravità e dimensioni preoccupano assai il mondo del credito e Bankitalia insieme a MEF e Fondo Interbancario di tutela dei depositi
Se  si renderà necessario un ulteriore intervento, saranno i titolari di obbligazioni subordinate ad essere coinvolti nell'operazione, con la conversione dei bond in partecipazioni azionarie (circa 700 milioni) per un intervento totale di 2.200 milioni. Si dovrà correre contro il tempo per fare questo (ultimo?...) “bail-out”: dal 1.1.2016 entrerà in vigore, in tutta la UE, il “bail-in” (a carico di azionisti, obbligazionisti, alcune tipologie di depositanti). 

Sino alla crisi delle banche cipriote (estate 2012), per le autorità di vigilanza bancaria europee valeva il principio che la crisi di una banca era un evento da affrontare attraverso un intervento della “mano pubblica” per la ragione che la stabilità finanziaria del sistema, e quindi delle singole banche, va assicurata “whatever it takes”:  interventi dello stato nell’azionariato, “cordone sanitario” (“moral suasion” della banca centrale che chiama una banca “amica” a rilevare la banca “fallita"), il tutto spesso finanziato da fondi pubblici, quindi dai soldi dei contribuenti. Questo si chiama “bail-out”.

Nel “dopo-Cipro”, le autorità europee hanno modificato il loro approccio, prevedendo la creazione di un Meccanismo Unico di Risoluzione delle Crisi (SRM) che riguarderà le banche “significative”, aderenti al Meccanismo di Vigilanza Unica (gestito dalla BCE), in totale 200 gruppi bancari (13 italiani), che rappresentano l’85% degli attivi del sistema (ed il 3% del numero delle 3.700 banche europee, che per la restante parte continuano ad essere vigilate dalle autorità nazionali: la Banca d’Italia per il nostro paese). Saranno gli azionisti delle banche, seguiti nell’ordine dagli obbligazionisti (possessori di “bond” bancari) e dai depositanti (oltre i 100.000 euro di deposito) a “pagare il conto” dei fallimenti bancari, il tutto entro il limite dell’8% del valore delle passività delle banche. Per interventi sopra l’8%, è previsto l’intervento dello “strumento” del Fondo Unico di Risoluzione che sarà unico per tutta la UE (alimentato dai singoli fondi nazionali, ove esistenti) e che i singoli stati costituiranno con prelievi sulle banche a livello nazionale, con la previsione di una dotazione iniziale di 55 miliardi di euro, da raccogliere nei primi 10 anni (entro il 2025). 
Nel caso questa “rete di protezione” non fosse sufficiente, potrebbe essere richiesto un intervento del “fondo salva-stati”. 

Siamo quindi entrati nell’era del “bail-in”, forse non ancora in quella del vero mercato, ma tanto già basta: chi è azionista, o sottoscrive obbligazioni di una banca, o ne è un depositante importante (definibile come chi abbia oltre 100.000 euro di deposito e/o certificati di deposito bancari) sa che, in caso di fallimento, il conto lo paga lui (o lei), senza poter chiedere l’intervento dello stato, o delle sue autorità, invocando la “stabilità del sistema”.

Il piano di salvataggio delle “3 (dis)grazie” prevede la creazione di un veicolo ad hoc, finanziato dalle banche italiane del sistema, che ricapitalizzerà le tre banche in dissesto, puntando a riportarle “in bonis”; secondo uno schema classico (chi non ricorda il vecchio Banco Ambrosiano?..) le banche italiane sane diventeranno così socie delle banche in crisi, scommettendo che le 3 banche vengano riportate sul mercato e vendute, con beneficio per gli istituti “salvatori”. 
Seppure non scritto, ci si dovrà attendere una forma di “adeguato riconoscimento del sacrificio fatto”, in termini di sgravi fiscali per le banche “salvatrici” (indovinare chi pagherà il conto è operazione di matematica elementare). 
Il tutto dovrà completarsi inesorabilmente entro il 31.12.2015, visto che dal 1.1.2016 si applicherà il “bail-in”. In totale, l’intero piano di risanamento potrebbe aggirarsi sui 2.200 milioni di euro.

Per dar vita al piano è necessaria l’entrata in vigore del decreto legislativo che consegue al recepimento della direttiva UE/Brrd, che prevede: come procedere al nuovo riparto di competenze sulle crisi bancarie tra BCE, Bankitalia, MEF; il ruolo dei fondi di tutela; la possibilità di utilizzo dei titoli subordinati anche al di fuori di “bail-in”.

Se una banca ha sbagliato nel “fare banca” è bene che esca dal mercato, che gli azionisti ne sopportino le conseguenze, che i manager bancari siano più attenti nel concedere credito e nell’evitare l’ “azzardo morale” (smettendo quindi di confidare nell’aiuto del sistema).

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