martedì 3 marzo 2015

Una telefonata allunga la vita, come diceva un vecchio spot televisivo.



Riprendiamo un nostro articolo pubblicato il  28 maggio 2013; le notizie corrono sul filo, seppure di rame ... e non invecchiamo mai e neppure bene, restando sempre "fra i sospesi".

Il tema della separazione della rete di accesso di Telecom Italia è argomento molto “caldo” di discussione: potremmo vedere, in tempi non lunghi, un nuovo assetto della società e del mercato italiano delle Tlc fisse. Perché tutto ciò? È un fatto positivo?


La rete Internet nasce su un cambiamento tecnologico epocale, passando dalla commutazione di circuito alla commutazione di pacchetto: invece di creare un “tubo” per trasportare la voce tra due parti che vogliono parlarsi, la rete a pacchetto trasporta pacchetti anonimi tra due destinatari: la rete diviene un mezzo neutrale rispetto al contenuto; mentre il “vecchio” operatore telefonico aveva il ruolo di creare e gestire il “tubo” tra le due parti, nella rete a pacchetto deve “solo” trasportare pacchetti anonimi (da/a). L’operatore non controlla più tutti i servizi che vengono offerti sulla rete. Nascono così gli “over the top” (Ott) come Google, Facebook, Netflix e Apple che usano la rete, chiunque sia l’operatore, per fornire i propri servizi agli utenti finali. Le applicazioni e i servizi non risiedono più “nella rete”, ma nelle applicazioni che girano sui dispositivi che ad essa si collegano (computer, server web, smartphone, tablet... ). Nacque il motto: “siamo passati da una rete intelligente con terminali stupidi (i vecchi telefoni) ad una rete stupida (trasporta bit) con terminali intelligenti (computer, smartphone, tablet…)”. L’intelligenza è data dal software, che può variare e quindi far evolvere applicazioni e servizi offerti dai terminali intelligenti.
In parallelo a questa trasformazione, che tende a comprimere ricavi e margini degli operatori tradizionali, si è sviluppato il tema degli investimenti per la costruzione delle reti di accesso di nuova generazione (Ngn): reti costose da realizzare, difficilmente realizzabili autonomamente da ciascun operatore; non è più ipotizzabile immaginare una competizione infrastrutturale generalizzata tra operatori: è necessario condividere investimenti e infrastrutture, quanto meno in grandi porzioni del territorio.


Ecco quindi nascere il tema della separazione della rete di accesso Telecom.

L’ipotesi è quella di costruire una società che gestisca lo sviluppo della rete di accesso e che poi affitti agli operatori Tlc i singoli collegamenti. In questo modo, l’investimento infrastrutturale è condiviso, mentre rimane aperta la possibilità di una concorrenza nella fornitura del servizio all’utente finale.
Per Telecom Italia, separare la rete significherebbe creare una nuova società che porti sulle spalle almeno un 20-25 per cento dei suoi 28,7 miliardi di debito e far entrare in campo (eventualmente anche con la quotazione in borsa) capitali in grado di sostenere gli investimenti per la nuova rete in fibra ottica (di cui si parla, a vuoto, da 3 o 4 anni) che sembra l’unica carta per dare qualche prospettiva a un business che declina in modo sempre più allarmante.
La spiegazione di questa mossa, in fondo, è proprio nei numeri di Telecom: da un anno a questa parte il fatturato è calato di oltre l’8 per cento (6,8 miliardi nel primo trimestre del 2013) e il risultato netto prima delle imposte del 21% (1,28 miliardi), mentre il debito, che negli anni precedenti era sempre sceso, ha ricominciato a salire, aumentando a 28,7 miliardi.
Ecco quindi il significato delle parole di Franco Bernabè (AD Telecom del'epoca, ndr): «se la separazione della rete consente di godere dei primi tre benefici [della stabilità della regolamentazio­ne, del non orientamento ai costi per la rete di nuova generazione, della non riduzione dei prezzi di unbundling], ottenendo una valutazione adeguata che in prospettiva ci permetta di accelerare sul fronte del rientro del debito, è un’i­potesi da prendere in considerazione»; ma «al controllo della rete non rinunceremo mai; … penso che entro fine anno avremo tutti gli elementi per decidere se andare avanti o meno con il progetto di spin-off della rete»: il matrimonio sembra destinato a celebrarsi, se fosse vero che le collaborazioni tra Telecom e Fa­stweb e tra CDP e Metroweb mirano non a escludere l’accordo, bensì a forzare la mano di Telecom sui criteri di valutazione economica della rete in rame.
Su questo aspetto si concentrano le discussioni, con una “richiesta” di 15-16 e una “proposta” di 8-9 miliardi; una sostanziale comunione d’intenti si riscontra sul modello societario, che dovrebbe garantire all’ex monopolista il controllo della NewCo con una quota azionaria del 51%; e anche sulla governance e sulle garanzie domandate da Telecom, una convergenza si potrebbe trovare.
Sul piano finanziario, la (parziale) cessione della rete permetterebbe di raccogliere le risorse da desti­nare a un abbattimento immediato dello stock di debito.


Il patrimonio tecnico im­mobilizzato di Telecom aveva nel 1997 un’età media di 7 anni e un’aspettativa di vita di 11 anni complessivi, in linea con i valori tuttora prevalenti tra gli operatori di teleco­municazioni internazionali. Oggi, l’età media è di 17 anni; mentre l’aspettativa di vita è stata elevata a 22 anni. Ciò significa che i medesimi asset (in primis, rete fissa di accesso) sono ammortizzati in un periodo doppio rispetto a quanto originariamente stimato (e forse opportuno): si sono realizzati utili (e distribuiti dividendi agli azionisti...) non pienamente rappresentativi dell’effettivo andamento azienda­le e potrebbe ora imporsi una svalutazione a bilancio, come accaduto per l’avviamento, svalutato per 7,3 miliardi di euro; in pratica, la trat­tativa di vendita (di una quota) della rete a prezzo di libro anziché a prezzo di mercatopotrebbe avere un orizzonte temporale assai limitato (“subito, meglio se ieri”).
Fra i soci Telecom (Telco che ne possiede il 22,45%, a sua volta posseduta dalla spagnola Telefonica col 46,18%, IntesaSanPaolo e Mediobanca ciascuna con l’11,62%, Generali col 30,58%) non vi è identità di vedute per le resistenze di Telefonica allo scorporo; interessante il commento del presidente della Fondazione Cariplo, azionista di Intesa: le reti in generale non devono andare in mani straniere. Temi interessanti entrambi (mani straniere forti, mani italiane deboli).
Telecom sarebbe oggi anche nella condizione di poter trarre vantaggio da un possibile mutamento del quadro comunitario, che vedrebbe un’apertura della Commissione ad un canone di unbundling stabilmente fissato intorno ai 9 euro/mese per linea: ne deriverebbe una valutazione della rete che scontasse tale garanzia sul fronte dei ricavi.
Quanto al tema industriale, vi sono due aspetti: da un lato la centralità della rete in rame è il più efficace aiuto alle quote di mercato di Telecom; dall’altro, le condizioni potrebbero mutare (in senso avverso) quando la posa di una rete di accesso in fibra ottica in tecnologia FTTH non fosse ulteriormente rinviata. Il rischio per Telecom è duplice: finirebbe per trovarsi in possesso di un asset (rete in rame) sostanzialmente svuotato del suo valore; e si troverebbe ad avere limitata voce in capitolo nella progettazione del nuovo scenario, anche se la transizione non avverrà da un momento all’altro (e ciò in parte ridi­mensiona le insidie per Telecom). Ma su durata e modalità della fase inter­media è difficile fare previsioni. Come assicurarsi il controllo di un processo a così alto tasso d’incertezza? Attraverso il controllo della rete: quella di oggi e quella di domani.
Lo scorporo della rete ha, in termini di tutela della concorrenza, un’utilità evidente, favorendo un’effettiva parità di accesso all’infrastrut­tura da parte di tutti gli operatori (Telecom inclusa) secondo un principio di “parità di accesso”; ma tale utilità decade se lo scorporo viene perseguito non per rettificare il contesto competitivo della rete in rame, ma in previsione del suo superamento, risultando nell’ estensione di una posizione di rendita da un mercato a un altro. Inoltre, è chiara la differenza tra un modello di società per la rete partecipata da tutti gli operatori in condizioni di parità ed il modello perseguito da Telecom in cui la società della rete è dominata dall’ex monopolista in un (non dichiarato) tentativo di restare tale.

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