lunedì 22 febbraio 2016

A che serve l’oro nei forzieri della Banca d’Italia?




Un estratto di questo articolo è stato pubblicato nella rubrica #IlGraffio su AdviseOnlyBlog il 22.2.2016.

La Banca d’Italia “detiene” (per la metà nel suo caveau ed il restante Federal Reserve degli USA, presso la Banca Nazionale Svizzera, e presso la Banca d’Inghilterra)  2.452 tonnellate d’oro in lingotti, per un valore di circa 90-95 miliardi di euro (un valore che oscilla in funzione del prezzo ufficiale dell’oro; poiché le riserve nazionali costituiscono parte integrante di quelle dell’Eurosistema, le regole di contabilizzazione sono stabilite in ambito SEBC: le riserve auree sono valutate al prezzo di mercato della fine dell’esercizio, espresso in euro per oncia di oro fino).
L’oro non è proprietà del governo, ma della Banca d’Italia: per chi fosse interessato alla storia delle riserve, queste pervennero alla Banca d’Italia dai tre istituti di emissione da cui questa e che erano circa 78 tonnellate di fino, proveniente per l’86 per cento dalla Banca Nazionale nel Regno; nel 1926, in relazione all’assegnazione alla Banca d’Italia del privilegio esclusivo del potere di emissione, vennero cedute all’Istituto le riserve del Banco di Sicilia e del Banco di Napoli: circa 70 tonnellate, provenienti quasi per intero dal Banco di Napoli; nel 1933 la riserva superava le  561 tonnellate  ma all’ingresso in guerra, dopo consistenti cessioni, il quantitativo complessivo era sceso a 106  tonnellate; durante WW2 le riserve vennero “saccheggiate” dalla Germania, ed in parte restituite a fine guerra; la crescita delle riserve sino al livello attuale è largamente legata al secondo dopoguerra.
Per consistenza, quella italiana è fra le maggiori al mondo (secondo i dati ufficiali a fine 2014): gli Stati Uniti ne possiedono 8.135 tonnellate, la Germania 3.384 t., il Fondo Monetario 2.814 t.; alla fine di giugno 2015, le riserve cinesi, invece, si aggiravano intorno alle 1.658 tonnellate (mentre il mercato stimava fossero attorno alle 3.000 tonnellate). L’Italia ufficialmente possiede più oro di Cina, Francia (2.435 t.), Svizzera (1.146 t.), Russia (960 t.).

Ma a che cosa servono queste riserve? E’ necessario, utile, consigliabile la loro detenzione?


Storicamente, la riserva è la quantità di “metallo giallo” che l'emittente di moneta (ieri Banca d’Italia; oggi, la funzione è della BCE) tiene come garanzia delle banconote stampate o più in generale del circolante presente all'interno del sistema economico; la riserva è aurea poiché l'oro ha un alto valore per poco ingombro,  è un materiale non deperibile, ma soprattutto perché è universalmente accettato. Inoltre, si può trasformare facilmente in monete; nel passato, dalle riserve d'oro potevano essere direttamente coniate monete. L’utilizzo dell’oro come collaterale venne fatto dall’Italia che nel 1974 vide Bankitalia dare in pegno una parte delle riserve d’oro come garanzia per un prestito di 2 miliardi di dollari concesso dalla Bundesbank.

Sino alla fine del c.d.  sistema aureo (o, in inglese, gold standard) la base monetaria era data da una quantità fissata d'oro, col risultato che i cambi delle valute erano “fissi”; il possessore di un dollaro poteva andare alla Federal Bank e chiedere la sua conversione nell’equivalente quantità d’oro (nel caso di 1 US$, poche briciole di polvere); se il paese ad adottare il gold standard fu la Gran Bretagna, nel secolo XX il principale utilizzatore furono gli Stati Uniti, sino al 15 agosto 1971, quando gli USA abolirono la convertibilità del dollaro in oro, decretando di fatto la morte del sistema aureo e la nascita del sistema di cambi variabili, o fluttuanti.
Oggi, possedere oro non è più un requisito per emettere moneta e non è un elemento significativo per valutare la solidità di un paese.

Quali usi se ne possono fare, allora?

Un primo uso spesso suggerito da più parti, anche nel recente passato,  è semplice: vendere le riserve per ripagare il debito pubblico italiano;  ma lo “smobilizzo” delle riserve di Bankitalia (che non sono a disposizione del governo, formalmente) sarebbe il classico bicchiere in un grande mare: se a quelle in oro sommassimo anche quelle in valuta, non copriremmo più dell’ 8% del debito pubblico. Una “una tantum” o poco più.

Un secondo possibile uso è quello di utilizzare l’oro in quella che possiamo definire una “misura estrema, ma parziale”:  l’utilizzo dell’oro come collaterale, quindi come garanzia, in caso di estremo bisogno; nei 70 anni dalla fine di WW2 ciò è accaduto raramente, e sempre in situazioni di estrema difficoltà finanziaria del paese; erano tempi in cui con c’era una BCE, non erano immaginabili QE, i mercati valutari erano meno “tecnologici” e reattivi di oggi. Ma visto il valore stimato, nell’intorno dei 90 miliardi, anche questo utilizzo sarebbe un sollievo parziale e limitato.

Nel XXI secolo possedere oro non è più un “must”, ma resta un più mondano “pleasure”; l’oro è uno degli “asset” che la Banca centrale detiene all’interno di un più ampio portafoglio per ragioni di diversificazione, come avviene con l’investimento delle riserve della Banca centrale in varie valute estere; non producendo interessi, investire in oro va valutato in confronto con altri investimenti avendo riguardo sia al fattore “interesse” che a quello “capital appreciation” e “capital gain” in caso di smobilizzo.

Resta, in fondo ma solo in fondo, il fascino dell’oro per la sua storia passata; non è molto, ma sembra piacere in via Nazionale.

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