lunedì 1 febbraio 2016

Dogs of the Dow


“Dogs of the Dow” è un metodo di investimento semplice, banale, codificato: ad ogni inizio d’anno, si prendono i 10 e 5 titoli dell’indice statunitense Dow Jones Industrial (composto da 30 titoli) che nell’anno appena finito hanno il miglior “dividend yield”: si fa una scommessa puntando su titoli “sottovalutati rispetto all’insieme dell’Index”, con una aspettativa di rendimento elevato rispetto al proprio prezzo, sulla base della media storica della percentuale di dividendo distribuito. 

Il metodo d’investimento “Dogs of the Dow” è stato sviluppato negli USA da Michael O’Higgins nel 1992, partendo da una evidenza empirica dei risultati (“performance”) del Dow Jones Industrial su un periodo dei 17 anni precedenti il 1992 che mostrò come i “Dogs of the Dow” avessero avuto un rendimento medio del 17.9%, rispetto al 11.1% del resto del Dow. 
Da allora,  “rinfrescando” ogni anno la composizione del “Dogs of the Dow”, si ricompone la lista dei “dogs”, i titoli che sono considerati meno attraenti dagli analisti, e ad ognuno di questi 10 titoli si alloca la stessa percentuale, il 10%, dell’investimento complessivo (il 20% nel caso di optasse per i 5 “small Dogs”).  
Il metodo di investimento è quindi una combinazione di “US large cap stocks paying high dividend yields” che vengono considerate “undervalued relative to their peers”. 


La logica sottostante è che un alto “dividend yield” è un segnale che il titolo è “oversold” e che il management della società ritiene: 

(a) che il titolo stesso sia sottovalutato, e 

(b) che pagando un alto dividendo il titolo possa accrescere di valore, nel breve termine..

... gli investitori sono quindi attratti ad investire nel titolo confidando sia nell’apprezzamento del titolo superiore alla media dell’Index che in un adeguato dividendo. 


Attenzione alla composizione del “Dogs of the Dow”: si parla di 10 titoli (che nel 2015 rientravano in soli 6 settori industriali) rispetto ai 30 titoli del Dow Jones Industrial Index ed ai 500 dell’S&P 500, che copre inoltre 11 settori industriali.


Una importante avvertenza: il metodo “Dogs of the Dow” è “testato” per il mercato azionario USA, ma la sua logica non è immediatamente applicabile ad altri mercati azionari, sia per la diversa composizione dei listini di borsa nazionali, sia per il diverso peso che in ogni listino hanno singoli settori (e.g., in Italia il peso dei bancari è molto più significativo che in altri paesi, così come quello delle Holding finanziarie), sia per la diversa politica di remunerazione del capitale attraverso la distribuzione di dividendi dei singoli paesi (sia per ragioni fiscali che di “prassi” di mercato: e.g., in Italia la politica di distribuzione del dividendo è più significativa nel settore Utilities).


Nel 2015, i 10 “dogs” selezionati (sulla base della quotazione al 31.12.2014) sono stati AT&T, Verizon, Chevron, McDonald’s, Pfizer, General Electric, Merck, Caterpillar, ExxonMobil e Coca-Cola; mentre l’indice Dow Jones Industrial ha fatto segnare un +2,87%, il rendimento 2015 dei 10 dogs è stato +3,97% (e quello dei 5 “small dogs” AT&T, Verizon, Pfizer, GE e Coca-Cola un +4,04%). Per il 2016, la banda dei “dogs” è composta da Verizon, Chevron, Caterpillar, IBM, ExxonMobil, Pfizer, Merck, Procter&Gamble, Wal-Mart, Cisco Systems.

Selezionare i “titoli giusti” è impresa sempre difficile, come sanno gli investitori che hanno comprato fondi a gestione attiva e singoli titoli; ed anche il “Dogs of the Dow” non si sottrae a questa evidenza; fare affidamento su gestioni passive come ETF e fondi che replicano l’indice resta sempre una buona, valida alternativa (anche meno costosa, se si guardano i risultati al netto dei costi commissionali e di gestione).

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