sabato 30 gennaio 2016

Europa, il continente selvaggio



“” (Durante la Seconda Guerra mondiale)  vaste aree di terreno agricolo in Ucraina e Bielorussia furono incendiate non una ma due volte, e con esse innumerevoli villaggi e case rurali che potevano offrire riparo al nemico. Le fabbriche, naturalmente, furono fra le prime cose ad essere distrutte. In Ungheria, ad esempio, 500 fabbriche importanti furono smantellate e trasferite in Germania – oltre il 90 per cento delle altre furono volutamente danneggiate o distrutte – e quasi ogni miniera di carbone fu allagata o crollò. Nell’Unione Sovietica circa 32.000 fabbriche furono distrutte. In Jugoslavia la Commissione delle Riparazioni stimò che il paese nel suo insieme aveva perso più di 9,14 miliardi di dollari del valore delle sue industrie, ovvero un terzo dell’intera sua ricchezza industriale.
Ma il danno peggiore fu forse quello che colpì l’infrastruttura dei trasporti del continente. L’Olanda, per esempio, perse il 60 per cento delle sue strade, ferrovie e trasporto sui canali. In Italia fino a un terzo della rete stradale del paese fu reso inutilizzabile, e 13.000 ponti furono danneggiati o distrutti. La Francia e la Jugoslavia persero il 77 per cento delle loro locomotive ferroviarie e una percentuale simile di tutto il parco rotante. La Polonia perse un quinto delle strade, un terzo delle tratte ferroviarie (circa 10.000 miglia in tutto), l’85% del parco rotante, e il 100% dell’aviazione civile. La Norvegia perse metà del tonnellaggio dei suoi mezzi di navigazione di prima della guerra, e la Grecia perse fra due terzi e tre quarti di tutta la marina. Alla fine della guerra, il solo modo universalmente affidabile di viaggiare era a piedi.
La devastazione fisica dell’Europa fu qualcosa di più che semplicemente la perdita dei suoi edifici e delle sue infrastrutture. Fu qualcosa di più, anche, della distruzione di secoli di cultura e architettura. La cosa davvero inquietante a proposito delle rovine era ciò che esse simboleggiavano. Le montagne di macerie erano (…) “un monumento alla potenza autodistruttiva dell’uomo”. Per centinaia di milioni di persone esse furono il richiamo quotidiano degli orrori che il continente aveva conosciuto, e che potevano in ogni momento ricomparire.””

Keith Lowe, Il continente selvaggio, pagg. 12-13, 2015

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