venerdì 10 ottobre 2014

C’è bond e bond.



 Nel 1999, il 100% delle obbligazioni (“bond”) emesse e circolanti nel mondo aveva un rendimento superiore al 4%: per il 20% si trattava di bond societari con un “rating investment grade”, per il 20% da bond emessi sul mercato immobiliare USA, e via via tutte le altre tipologie: governi ed enti governativi, bond societari ad alto rendimento (“high yield”), mercati emergenti. 
Nel 2002, allo scoppio della “bolla dotcom”, meno dell’80% dei bond rendeva più del 4%; la percentuale era risalita al 100% nel 2007 quando le emissioni offrivano ottimi rendimenti, in un periodo in cui l'economia era sul picco ed i tassi coerenti con tale situazione. 
La percentuale è ridiscesa al 70% all’esplodere della crisi dei “subprime”; in quasi 10 anni, dal 1999 al 2008, i bond societari “investment grade” hanno mantenuto la loro quota del 20% sul totale delle emissioni. 
La situazione è rapidamente cambiata; dal 2011 la percentuale di bond con rendimenti superiori al 4% è crollata al 20%: la crescita non c’è, il rischio dell’inflazione è scomparso dal “radar”, il mondo occidentale è invece percorso dalla deflazione e tassi e rendimenti si allineano allo scenario. 
Oggi, su 110.000 miliardi di US$ di obbligazioni in essere, rendimenti superiori al 4% si possono ottenere solo sul segmento “corporate high yield” “che sta registrando rendimenti sui minimi storici, in passato associati a una situazione economica florida” e sul segmento dei bond dei mercati emergenti, che sommati non arrivano al 20% del totale. 
“I rendimenti sono compressi sui minimi soprattutto sulla parte breve della curva dove l’effetto distorsivo delle politiche monetarie ultra-espansive delle banche centrali e i rendimenti sono praticamente azzerati, fino alle scadenze di tre o cinque anni”.

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