giovedì 2 ottobre 2014

L'imperatore attento all'economia ed alle finanze.

Da “Federico II. Un imperatore medievale” di David Abulafia, 1988-1993, pg. 275 e sgg. : una lettura su come l’imperatore e Re di Sicilia avesse organizzato il sistema di controllo economico e fiscale nell’isola e nelle regioni meridionali del regno.  

“” Federico considerava le risorse granarie della Sicilia e della Puglia un serbatoio essenziale per alimentare le campagne militari. Il grano era infatti indispensabile alla flotta regia in acque siciliane o (sotto forma di gallette) alle guarnigioni siciliane in Terra Santa. Ma meglio di tutto era la possibilità di trasformare il surplus in moneta sonante, da trasferire immediatamente al suo campo dell’Italia settentrionale per far fronte alle spese più urgenti. (…) (Nel febbraio 1240) fu necessario chiudere i porti in modo che nessun mercante potesse portar via del frumento prima che le navi di Federico avessero levato le ancore. (…) Federico, tuttora infastidito dalle sotterranee manovre dei Genovesi, non vedeva ragione di consentir loro di realizzare un profitto che, a sapersi destreggiare, poteva finire nelle sue tasche. (…) Imposte sul grano: un quinto del valore del carico in Puglia e Sicilia, dove la produzione era abbondante, a fronte di un settimo in Calabria o Abruzzo, regioni meno fertili. Queste disposizioni erano intese a rassicurare i portolani incerti sull’applicazione di norme precise. (…) I sovrintendenti del traffico portuale di Garigliano vennero invitati a gravare di un settimo anche i cavalli e i muli: al pari di grano, bestiame, carne e sale dovevano essere oggetto di una sorveglianza ravvicinata. Tra le righe si intravvede l’urgenza di incrementare quanto più possibile gli introiti. Per molto tempo la Corona aveva fatto affidamento sull’export per far quadrare i bilanci (…). Ai portolani si richiedeva di tener conto dei carichi, verificare i prezzi, prender nota di ogni dato significativo (e dei pagamenti ricevuti) nel loro registri (…).  Un’altra risorsa su cui Federico faceva grande affidamento era il sale, oggetto di più di un tentativo di monopolio. Sin dal 1231 la monarchia aveva esercitato un esteso controllo sulle saline, accumulando scorte di sale da vendere all’interno del regno. A volte però il prezzo fissato era troppo elevato, e Federico si teneva pronto a calare le pretese non appena i suoi uomini di fiducia lo avvisavano si una stasi nel mercato. (…). Maggiore circospezione mostrava invece l’imperatore per quanto atteneva al bestiame. Degli animali macellati si poteva naturalmente fa commercio all’estero (tanto più che la salatura richiedeva ingenti quantità di sale della Corona); tutt’altro paio di maniche erano quelli vivi. Non si contano le disposizioni mirate a impedire l’esportazione di cavalli dal regnum e incoraggiare l’allevamento di destrieri da battaglia destinati all’esercito imperiale: i cavalli erano una merce di eccezionale pregio, così come del resto i muli. Trovandosi a corto di bestie da soma, Federico ordinò di far accoppiare fra loro cavalli e asini e impose a vari distretti del Mezzogiorno di contribuire alle campagne militari con l’invio di piccoli contingenti di muli. Anche qui si nota lo sforzo di evitare inutili sprechi di denaro, visto che l’alternativa era di entrare in concorrenza sul mercato con il mercato. Nella Capitanata si doveva seminare l’avena, onde provvedere di foraggio gli indispensabili animali. L’intero ciclo di riproduzione e allevamento di cavalli e muli era quindi oggetto di controllo remoto da parte dell’imperatore, che peraltro volse lo sguardo anche in altri direzioni (…) (come la) macellazione in grande stile di maiali nel Messinese. (…) Gli avanzi venivano trasformati in pancetta, della quale per qualche tempo la Sicilia orientale fu un importante produttore.””

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