domenica 5 ottobre 2014

Dire, fare, sbagliare, lettera e testamento.


La previsione governativa dell’anticipo in busta-paga di una quota del 50% dell’accantonamento annuo al TFR si infrange su una pluralità di aspetti che non sembrano essere ben compresi dagli autori del provvedimento. Ci limitiamo ad elencarne 3 (a scuola ci insegnarono che quando i problemi sono superiori all’unità, sono un sacco di problemi).
Esiste un primo problema di natura finanziaria per le imprese che dovessero anticipare le somme richieste dai loro dipendenti, a fronte dell’accantonamento; il TFR è storicamente una fonte di finanziamento per le imprese; poiché la coperta è quella che è, tiri da una parte e si scopre dall’altra: come faranno le imprese a sostituire tale fonte di finanziamento? Dove troveranno la liquidità per pagare la quota di TFR richiesta dai dipendenti? In una situazione ormai cronica di “credit crunch”, non si vede come le imprese potranno farvi fronte. E questo è solo il primo dei problemi.
Secondo problema: il trattamento fiscale. Il TFR, essendo una forma di accumulazione nel tempo di risparmio differito, sconta una tassazione ad aliquota inferiore (non osiamo dire privilegiata). In caso di pagamento anticipato della quota annuale di TFR, si verrebbe a creare una situazione complessa: la quota anticipata è soggetta ad aliquota-TFR o alla (maggiore) aliquota applicata sul reddito annuo del lavoratore? Non è un tema banale, ma nessuna parola è sinora stata detta o scritta.
Terzo problema. Ogni anno, 5.187 milioni di euro di accantonamenti da quote TFR dei dipendenti privati sono diretti a forme di pensione complementare; una cifra che rappresenta il 43,5% di tutti i flussi verso il sistema previdenziale integrativo del 2013, che sono stati 11.913 milioni.
La misura prevista dal governo  avrebbe impatti negativi sull’intero sistema della previdenza complementare: un settore che si vuole, da anni, favorire (a parole, che non costano nulla, e crescono come funghi velenosi), ma che avanza a passi lenti, per cui una misura come quella immaginata dal governo avrebbe l’effetto di uno “stop” forse definitivo di tale percorso (virtuoso), se solo si osserva che dal 2007 i lavoratori che hanno aderito al conferimento tacito del TFR ai fondi complementari sono stati 231.000, l’8% dei nuovi iscritti (dipendenti del settore privato) e solo il 3,7% dei 6.200.000 iscritti totali alle forme pensionistiche complementari.
Come da troppo tempo accade nel paese, la coperta è corta: tiri da una parte, si scopre dall’altra.

Nel gran mare della previdenza, convivono: una retribuzione differita che è il TFR; la previdenza sociale gestita dall’INPS, ente pubblico, con il sistema retributivo solo recentemente, ed a fatica, convertito in un sistema contributivo che proprio contributivo non è, e la cui applicazione è limitata ad una parte dei lavoratori ed in tempi disomogenei; sistemi complementari (definiti come secondo e terzo pilastro) che sono disomogenei quanto al loro trattamento fiscale e strutturale (si pensi alle diverse previsioni per i prodotti offerti da compagnie assicurative, rispetto a quelli offerti dai fondi pensione collettivi, e rispetto a quelli offerti da piani previdenziali individuali).
Il sistema previdenziale ha orizzonti di lunghissimo termine, ed una piccola modifica che sembra di mero contorno può portare a cambiamenti significativi ed inaspettati; cambiare le regole in corso d’opera rende ancor più arduo, se non impossibile, una decisione consapevole del lavoratore nella pianificazione dei propri risparmi e redditi futuri; per tacere delle singole modalità di rendicontazione delle gestioni previdenziali.
Al lavoratore andrebbe data la più ampia libertà riguardo la destinazione dei propri risparmi previdenziali, la scelta del gestore (pubblico o privato, compresa la possibilità di “switch” quando lo ritenesse opportuno), l’ammontare di reddito annuo da destinare a risparmio previdenziale, la variazione della ripartizione degli investimenti fra le varie categorie di attività finanziarie (“asset allocation”).
Ma tutto questo il legislatore non lo sa e non riesce proprio a capirlo. Si è di fronte ad un nugolo di apprendisti stregoni che cercano di far arrivare la pioggia, ma le nuvole nere all’orizzonte ben altro promettono.

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