sabato 22 agosto 2015

Il muro dei 200.000.



Secondo uno studio McKinsey, il debito mondiale cumulato di privati, famiglie, imprese, intermediari e governi è passato da 142.000 miliardi di US$ del 2007 a 199.000 miliardi di US$  a fine 2014 (ultimi dati aggiornati), crescendo di 57.000 miliardi e rappresentando il 286% del PIL mondiale (era il 269% a fine 2007), con una crescita annua del 6% circa. Per ogni debitore, c’è un creditore, ed il debito cresce perché c’è qualcuno disponibile a concedere prestiti: ed in una fase di ampia disponibilità di liquidità i tassi sono anche particolarmente bassi, una “bonanza” per chi si indebita. In dettaglio, le famiglie hanno aumentato la loro esposizione da 33.000 a 40.000 miliardi, le imprese da 38.000 a 56.000 miliardi, gli intermediari finanziari da 38.000 a 45.000 miliardi, i governi da 33.000 a 58.000 miliardi; la crescita del debito governativo è dovuta al massiccio intervento pubblico per far fronte a salvataggi (bancari e non) ed a crescenti deficit pubblici. Il basso costo del denaro ha quindi permesso alle singole economie di non collassare dopo la crisi finanziaria scoppiata nel 2007 (che partì negli USA, scatenata dai sub-prime loans immobiliari). In rapporto al PIL, vi sono differenze notevoli fra i singoli paesi: se il Giappone ha oggi un rapporto debito/PIL di 3,9 volte, la Russia è a 0,6 volte, l’India a 1,3 volte, la Germania a 1,8 volte, la Cina a 2,1 volte, gli USA a 2,4 volte. L’Italia a 2,7 volte. In Cina, il debito è quadruplicato nel breve lasso di tempo considerato, con metà dei prestiti andati a finanziare il mercato immobiliare, anche in uno scenario “soft” come quello che si disegna a fine estate 2015 dopo la caduta delle borse cinesi (sostenute dagli acquisti a leva, i c.d. “margin loan”, quindi debito, sia bancario che “shadow banking”), che suonano come un campanello di fine ricreazione. 
E domani si passerà all’esame della sostenibilità nel tempo di tutto questo debito mondiale: si annunciano voti insufficienti.

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