sabato 15 agosto 2015

Land grab.






Il termine indica l’appropriazione di terra, per lo più da parte di soggetti stranieri, in paesi dove non vi sono di titoli di proprietà sulla terra storicamente coltivata (con tecniche arretrate) da contadini poveri in luoghi poveri; il fenomeno ha avuto una accelerazione in coincidenza con l’aumento generalizzato dei prezzi dei prodotti agricoli, a partire dal 2007. I dati sul fenomeno sono scarsi: la Banca Mondiale stima che nel periodo 2007-2010 56 milioni di ettari siano stati oggetto di land grabbing (una superficie superiore alla Spagna); per la National Academy of Sciences degli USA, le appropriazioni sono state pari a 100 milioni di ettari; per l’ONG OXAM la terra oggetto di land grabbing è di pari a 200 milioni di ettari; oltre i 2/3 della terra in oggetto si trova in Africa, ed il LandMatrix Database segnala che, a luglio 2013, i 10 paesi in cui le appropriazioni sono state maggiori sono il Sud Sudan (4,1 milioni di ettari), Papua New  Guinea (3,9 milioni), Indonesia (2,7 milioni), Congo (2,6 milioni), Mozambico (2 milioni), Sudan (2 milioni), Etiopia (1,4 milioni), Sierra Leone (1,4 milioni), Liberia (1,1 milioni), Madagascar (1 milioni). Un terzo delle terre verrebbe usato per coltivare alimenti (esportati nel paese straniero del nuovo proprietario), un terzo per agro combustibili, un terzo come foreste, legno, fiori (principalmente per ottenere i c.d. crediti di anidride carbonica per compensarne le emissioni nei paesi acquirenti). I prodotti agricoli più coltivati sono la soia, la canna da zucchero, il mais, l’olio di palma. “Le terre africane sono considerate una soluzione a basso costo dei problemi di altri” secondo un rapporto redatto in una università inglese.

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