“” L’Italia è
per certi aspetti un caso unico nel panorama europeo. Nel Medioevo, fra il XII
e il XIV secolo, fu all’avanguardia del progresso non solo politico, sociale ed
economico, ma anche tecnologico. (…) una fucina di invenzioni, di applicazioni
e di trasferimenti di know-how (diremmo oggi) senza uguali in quell’epoca. Fra le
più importanti innovazioni vi furono la gualchiera, cioè il mulino ad acqua per
la follatura della lana, il filatoio a ruota, il telaio orizzontale, il
filatoio idraulico per la seta. Nella navigazione gli italiani delle
Repubbliche marinare furono fra i primi ad utilizzare la bussola, il timone di
poppa (…), mentre Leonardo da Vinci progettava le “chiuse” per creare reti più
estese di canali interni, superando i dislivelli del terreno. Per non parlare
del contributo decisivo che, più tardi, italiani come Galileo Galilei dettero
alla nascita della scienza in senso moderno, cioè del metodo scientifico basato
sull’osservazione, la sperimentazione e la misura. (…)
Eppure proprio mentre in
Gran Bretagna, nel XVIII secolo, la rivoluzione industriale stava muovendo i primi
passi, l’Italia aveva cominciato la sua “carriera di paese sottosviluppato d’Europa”.
Cos’era successo? Perché l’Italia era passata, nel volgere di pochi secoli, da
paese economicamente e tecnologicamente avanzato a paese sottosviluppato? Perché
invece di lanciarsi nell’industrializzazione sulla scia di altri paesi europei,
a cominciare dalla fine del Cinquecento, andò incontro a un’involuzione che
alcuni studiosi hanno addirittura definito, in certe regioni, come un processo
di “rifeudalizzazione” e di ruralizzazione di ritorno? (…) Per spiegare il
declino dell’Italia a partire dal Cinquecento si è sottolineata l’importanza
epocale della scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo nel 1492 e
quindi lo spostarsi del baricentro politico ed economico dal Mediterraneo all’Oceano
Atlantico.
Ma l’apparente semplicità della spiegazione “americana” si rivela
una trappola: infatti, dopo la scoperta di Colombo, il baricentro rimase per
secoli l’Europa, ed è qui che l’Italia perse la sua posizione di avanguardia.
Sono
state proposte altre ipotesi più convincenti, tra cui una è particolarmente
suggestiva: il successo catastrofico. Sarebbero stati proprio lo straordinario
successo e la forza innovativa delle istituzioni italiane del Medioevo (…) a
trasformarsi, nei secoli, in una zavorra sempre più pesante e insostenibile. In
altre parole, il successo portò alla cristallizzazione di istituzioni e comportamenti all’inizio
vincenti, alla difesa di una tradizione un tempo funzionale, all’incapacità di
adattarsi alle nuove epoche, alle nuove domande, ai nuovi gusti e all’emergere
di nuove sfide.
Quella che era stata una vera rivoluzione si trasformò in conservazione e alla fine in sclerosi. La ricetta
del successo in un’epoca divenne la ricetta del fallimento in un’altra. A tutto
vantaggio dei concorrenti olandesi e inglesi che seppero interpretare i tempi
cambiati e organizzare nuove reti commerciali e nuovi tipi di manifatture
(soprattutto tessili), forse meno raffinate ma a costi più contenuto e che
rispondevano a una domanda di strati sempre più vasti.
Persino le città, eredi dei
comuni medievali (…), finirono per diventare un ostacolo a ulteriori sviluppi.
(…) Con un territorio limitato e una popolazione ristretta, le tradizioni
cittadine frammentarono il potenziale mercato e quindi non si ebbe una domanda
abbastanza potente da stimolare l’ulteriore sviluppo economico. (…)
Un’altra
ipotesi riguarda la concentrazione della ricchezza nelle mani di una ristretta
minoranza, con una larghissima maggioranza in miseria. (…)
Vi sono altre
ipotesi che individuano in un’agricoltura arretrata, poco elastica e incapace
di rispondere – con un aumento adeguato della produzione – a una domanda
crescente, la causa del mancato sviluppo. (…)
Forse nessuna vicenda storica
riesce a esemplificare meglio di quella della Repubblica marinara di Venezia il
temibile meccanismo del successo catastrofico e del declino. (…) Uno dei
principali segreti della stupefacente ascesa di Venezia, una repubblica di
mercati e marinai, e del suo dominio secolare sui traffici commerciali del
Mediterraneo, fu un’imbarcazione, sia da guerra che commerciale (…), ispirata
all’antica trireme greca e chiamata galea o galera. Una nave lunga circa 40-45
metri e larga 5 o 6, dove trovavano posto quasi 150 rematori (i galeotti) che
riuscivano a spingerla fino ad una velocità di 7 nodi, con la possibilità di
mantenere una media, per diverse ore, sui 4 nodi. Velocità uniche nel mondo
della marineria medievale. (…) Questa micidiale arma militare era anche un
efficace mezzo commerciale. Le stive della galea non erano capienti, ma le merci
trasportate, le famose spezie (…) e la seta grezza (poi tessuta nelle
manifatture veneziane), pur pesando poco e occupando uno spazio ridotto,
avevano un valore enorme. A partire dal XIII secolo, e con successivi
ingrandimenti, l’Arsenale veneziano divenne il più grande complesso “industriale”
dell’epoca, con i suoi circa 3000 artigiani e capimastri (gli arsenalotti) in
grado di sfornare centinaia d galee ogni anni. Difeso da mura alte dieci metri
che proteggevano il segreto delle tecniche di costruzione, fu il cuore della
potenza militare e commerciale della Serenissima. Una potenza che venne
impiegata, senza scrupoli, per distruggere i concorrenti nei traffici del
Mediterraneo, come Costantinopoli. (…)
Poi lentamente le cose cambiarono.
Nell’agosto
del 1485 un convoglio di galee veneziane in navigazione nell’Atlantico, lungo
le coste della Bretagna, fu attaccato da una flotta francese. Dopo una cruenta
battaglia, nella quale persero la vita circa 100 veneziani, il convoglio e le
sue mercanzie vennero catturati. Fu il segnale che il mondo stava cambiando.
La
navigazione oceanica, la scoperta dell’America, ma soprattutto la
circumnavigazione dell’Africa e di Capo di Buona Speranza aprirono ai portoghesi
(oltre che alle potenze dell’Europa del Nord come olandesi e inglesi) la via
delle spezie, un tempo monopolio dei veneziani. A queste nuove sfide Venezia
non riuscirà a rispondere neppure nel Mediterraneo, dove presto a
spadroneggiare saranno le nuove navi delle emergenti potenze europee. L’introduzione
della polvere da sparo e di armi inedite, fra le quali il cannone, dettero il
colpo di grazia alla galea veneziana. (…) L’Arsenale, il complesso “militare-industriale”
della Serenissima, non riuscirà a impadronirsi delle tecniche e delle
innovazioni messe a punto dalle emergenti potenze del mare (…) e a riconvertirsi.
Costruire un tipo di imbarcazione radicalmente nuovo, “tradendo”, in un certo
senso, la formula che per secoli aveva avuto tanto successo, cioè la galea, si
rivelò impossibile per i veneziani. Il declino come potenza marinara, a partire
dal XVI secolo, portò Venezia a trasformarsi in un parco di divertimenti e in
un’attrazione turistica. (…)
Il successo catastrofico: dall’Arsenale al
Carnevale.
Come attrazione turistica Venezia presentava tuttavia diversi
inconvenienti, comuni a molte altre zone del nostro paese.
La sporcizia della
città è “una delle cose d’Italia che più disturba lo straniero”: così si
esprimeva, nel Viaggio in Italia, il
grande poeta e drammaturgo tedesco Johann Wolfgang Goethe alla fine del
Settecento. (…)
Come altri paesi europei, l’Italia venne colpita dal colera,
che con le sue ondate più devastanti del 1835-37, 1854-55, 1865-67 e con altre
minori, fece centinaia di migliaia di vittime. Ma nessuna risposta urbanistica
paragonabile a quelle che abbiamo visto a Parigi o a Londra venne realizzata.””
Lorenzo Pinna,
Autoritratto dell’immondizia, pagg. 139-147. 2011.
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