Nel mondo, circa 2 miliardi di persone dipendono
dal mare e dal consumo del pesce per soddisfare il loro fabbisogno proteico; il
consumo di pesce sta aumentando nel mondo, con la Cina che sta raddoppiando il
suo consumo ogni 10 anni. Il pesce fornisce attualmente il 40% delle proteine
(animali e vegetali) consumate nel Terzo Mondo.
La situazione è in rapida
evoluzione: i ¾ della popolazione mondiale vive entro 100 chilometri dalle
coste, e questo favorisce un consumo crescente di pesce, sia d’altura che da
allevamento.
La disponibilità di pesce d’altura e selvatico diminuisce
costantemente e rapidamente, a causa della crescente attività di pesca, che causa
la riduzione, ed in alcuni casi l’estinzione, di molte specie (e.g., tonno atlantico
pinna azzurra, pesce spada atlantico, aringa del Mare del Nord, nasello
argentino, ippoglosso atlantico).
L’acquicoltura costituisce quindi da un lato
una fonte addizionale di pescato, dall’altro una serie di problemi evidenti,
dalla sua scarsa efficienza (in alcuni casi per ottenere un chilo di pesce
allevato ne servono 20 di pesce selvatico di minore pregio e misura), alla
presenza di tossine che ne limitano la qualità, al rischio di “inquinamento”
genetico in caso di incrocio con specie capaci di sopravvivere in mare aperto
(come il salmone allevato, che ha una capacità di sopravvivere in mare aperto
50 volte inferiore al salmone selvatico), al rischio di inquinamento ed
eutrofizzazione causato da sostanze additive utilizzate nell’acquicoltura.
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