La caduta
del prezzo del petrolio, sceso sotto i 40$/barile, se porta solo benefici all’industria
ed ai consumatori, crea problemi ai grandi gestori di investimento.
Fra i primi
50 fondi sovrani del mondo, 26 sono espressione di paesi produttori ed
esportatori di petrolio, ed insieme hanno attività finanziarie di 6.300
miliardi US$; una discesa, od una caduta, del prezzo del petrolio riduce le
fonti di sostegno delle economie locali, specialmente quelle che sono
dipendenti dai flussi di incasso dalla vendita del barile: i 2 fondi sovrani
dell’Arabia Saudita hanno asset per 672 miliardi, il Kuwait 492, il Qatar 256,
i 7 fondi UAE 1.215. Nel corso del 2015 l’Arabia Saudita ha già “smobilizzato”
70 miliardi di investimenti per sostenere i costi della sua spesa pubblica
(fonte: Prequin); nei soli ultimi 2 mesi altri 19 miliardi US$ sono usciti dai
portafogli dei principali gestori di investimento mondiali (nel corso dell’anno,
Blackrock ha visto ridursi i suoi assets di 24 miliardi, State Street di 65
miliardi, e così molti altri).
Il mondo dei gestori si trova ad affrontare un
doppio problema: la riduzione del valore degli asset gestiti e la perdita (spesso
sostanziale) di commissioni incassate.
E se il petrolio continuerà a veleggiare
sulle attuali quotazioni, per l’industria della gestione di investimenti
presente e futuro saranno meno ricchi.
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