(a pochi anni dalla
fine della Seconda Guerra mondiale) “”C’erano molti tedeschi così, che
dividevano tutto quello che avevano in uno spirito non meno nobile di quello
mai manifestato in Inghilterra. Però la verità era spesso proprio come la
vedeva lo straniero: molti tedeschi erano di un egoismo brutale e si facevano
largo con la forza verso la mangiatoia tra i loro confratelli più deboli. Peraltro
quando si attraversava la Germania nel 1949 veniva fuori che molti tedeschi non
appartenevano a nessuna delle due categorie. Questi credevano che dalla
divisione deliberata delle cose non sarebbe uscito nulla di buono, nemmeno per
coloro cui veniva dato quello che non si erano guadagnati. Credevano nella
libera iniziativa. Pensavano che se la gente avesse fatto quello che voleva,
mangiato quello che le piaceva, agito come le piaceva, e venduto quello che le
piaceva, le leggi di domanda e offerta avrebbero funzionato in modo così sano
che alla fine ogni cittadino avrebbe avuto una sostanziosa fetta di torta e
nono ci sarebbe stato motivo perché nessuno dividesse alcunché con chicchessia.
Era strano che sembrassero inerti ai visitatori, e che tanti inglesi e
americani rimproverassero energicamente i loro governi dell’assenza di una
politica in Germania; perché con ogni respiro l’intero popolo tedesco stava
formulando una politica, e quella politica era di sviluppare la propria
industria secondo le proprie teorie economiche del lassair-faire, senza lasciarsi impressionare dalla Stato
assistenziale e dall’economia pianificata quale era di fatto impiantata in Gran
Bretagna e che esisteva nelle fantasie di vari intellettuali americani. Era
molto notevole fino a che punto i tedeschi non ne fossero impressionati. (…)
D’altro canto, che accettassero l’idea di uno Stato
assistenziale e un’economia pianificata era storicamente impossibile. Tanto per
cominciare, il regime nazista aveva proclamato di essere uno Stato
assistenziale e certamente aveva imposto un’economia pianificata; e tutto ciò
aveva funzionato molto male. Inoltre, la stessa Commissione di Controllo
Alleata stava imponendo alla Germania un’economia pianificata, e non senza
inconvenienti. (…)
I tedeschi trovarono particolarmente irritante quando gli
alleati non soltanto tentarono di imporre loro un’economia pianificata (come nel caso della riforma agraria, che
nelle intenzioni degli alleati doveva prevedere che nessuna fattoria tedesca dovesse
superare i 250 acri; cosa che viene ricordata ai funzionari della Commissione
Alleata di Controllo): “”E voialtri signori”” disse il tedesco “”quali
passi state compiendo per imporre un limite alle dimensioni delle tenute agricole
nei vostri paesi?””. Parole analoghe furono pronunciate in un ufficio sulla
Ruhr: “”Oh, davvero? Voi signori avete approvato la proporzione della
rappresentanza degli operai nei comitati direttivi delle fabbriche e vorreste
che questa proporzione fosse ancora aumentata? Be’, io per me non sono
contrario. Ma non fareste meglio prima a rendere obbligatorio un sistema simile
nei vostri paesi, e vedere come funziona?””. In tali occasioni si vide
chiaramente che, perché un’occupazione sia piacevole, gli indigeni dei
territori occupati dovrebbero portare l’anello al naso ed essere analfabeti. I tedeschi
avevano passato troppo tempo col naso libero da anelli nelle pubblicazioni di
sinistra inglesi e americane. (…)
Nel 1949 il solo scopo dello smantellamento, riconosciuto da
entrambe le parti, era il ridimensionamento del potenziale bellico tedesco, e
su questa base si continuò una lunga e degradante discussione nella quale non
fu mai detto niente che qualsiasi persona assennata avrebbe mai potuto credere.
(…)
Ma se vogliamo atteggiarci a moralisti, sarà meglio che
prendiamo nota di quello che i tedeschi hanno fatto per togliere un fardello di
colpa morale dalle nostre spalle. Questa colpa morale riguardava le persone presenti in
Germania come profughi, espulsi e rifugiati. La colpa della presenza dei
profughi ricadeva in primo luogo sui tedeschi, perché la maggior parte di
costoro erano stati portati dai nazisti come schiavi operai; ma poi erano
rimasti in Germania perché non erano comunisti, e Mr Churchill e i presidenti
Roosevelt e Truman avevano imposto il comunismo ai loro paesi (dei profughi, ndr) senza consultarne gli
abitanti. Poi c’erano gli espulsi, la cui presenza era totalmente dovuta agli
alleati. Erano i gruppi di origine tedesca nei paesi dell’Europa orientale che
la Conferenza di Potsdam aveva deciso di rimuovere dai luoghi dove i loro
antenati vivevano da secoli e spedirli in Germania. C’erano poi i rifugiati
della Zona Orientale della Germania, in fuga dall’inefficienza russa. A queste
categorie appartenevano circa dieci milioni di persone. Molti dei rifugiati
erano emigrati. La sorte di quelli che non avevano scelto o potuto emigrare era
spesso terribile. (…)
Quello che successe in questi campi supera i limiti della
normale immaginazione. (…)
Le sofferenze dei profughi, degli espulsi e dei rifugiati
sono state un tremendo peso sulla coscienza degli alleati occidentali. Non avremmo
dovuto consentire a noi stessi, mentre combattevamo una guerra giusta, di farci
trasformare nel duplicato di un torpido Attila, di un Tamerlano al
rallentatore, di un Ivan il Terribile balbuziente. (…)
I campi di transito continuarono a puzzare, l’esame
preliminare continuò a richiedere delle settimane. E’ impossibile indovinare un
periodo in cui ogni giorno più di mille tedeschi dell’Est non attraversassero
le frontiere. Ma nei primi anni Cinquanta questa routine ricevette un’iniezione
di speranza. Non c’era niente di simile al pieno impiego. C’era abbastanza
disoccupazione da provocare un notevole quantitativo di sofferenza. Ma c’era
abbastanza occupazione da mantenere la comunità solvibile e stabile. C’era l’offerta
di tanti posti di lavoro, e un rifugiato capace aveva le stesse probabilità di
ottenerne uno di un indigeno altrettanto capace della Germania Occidentale. I rifugiati
stavano sufficientemente bene da smentire ogni timore di una loro influenza
politica, cosa che nel 1946 molti avevano paventato. Alle elezioni non votarono
né per l’estrema sinistra né per l’estrema destra, ma per gli stessi partiti
che erano sostenuti dalla comunità indigena. Nondimeno è difficile capire come
un’economia che non fosse speculativa e non frenata sarebbe potuta risultare
sufficientemente flessibile da assorbire gli espulsi e i rifugiati e sollevare
gli alleati da tanta parte della loro colpa. C’è da riflettere se si considera
cosa sarebbe successo nella Gran Bretagna postbellica, che ha all’incirca la
stessa popolazione della Germania Occidentale, se dieci milioni di persone
fossero state scaricate nel paese (senza altri beni di quelli che si potevano
portare dietro) e un milione e mezzo di queste avesse immediatamente cominciato
a ricevere assegni di disoccupazione mentre gli altri entravano in concorrenza
con i britannici nel mercato del lavoro. D’altro canto non è ipocrisia
sostenere che la rigida economia britannica fosse concepita nella speranza
idealistica che nessun uomo avrà bisogno, se i suoi fratelli lo possono
aiutare. Ma sarebbe una disgustosa ipocrisia negare che la spregiudicata
economia tedesca fu clemente con coloro che inglesi e americani avevano
abbandonato. Qui, come tanto spesso in precedenza, vediamo che la storia non si
preoccupa di indicare una morale.””
(Rebecca West, “Serra con ciclamini”, 1955, prima ed. italiana
2015, pagg. 95-112)
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