Le società quotate italiane hanno
consiglieri indipendenti, quindi non espressi dagli azionisti di controllo e
riferimento, nei rispettivi consigli di amministrazione; il loro ruolo è
tutelare gli interessi di lungo termine delle società stesse, contribuendo in
particolare al puntuale funzionamento di 2 comitati interni: quello sulle remunerazioni
dei top managers, e quello del controllo interno, oltre a quelli del comitato
nomine e comitato controllo dei rischi. Assonime (l’associazione delle società
quotate italiane) evidenzia che la composizione media delle società quotate è
di 10 consiglieri: 2,7 sono esecutivi, 3 non esecutivi (ed entrambe le categorie
sono espressioni degli azionisti principali), 4,1 indipendenti.
A fine 2014, il
48,8% dei comitati Remunerazione erano composti sono da consiglieri
indipendenti, come il 55,7% dei comitati di Controllo Interno.
Nel rapporto, viene ricordato che la remunerazione
dei consiglieri indipendenti è elevata in 32 casi su 991 consiglieri
indipendenti (con la contemporanea carica di presidente del CdA della società,
o la assunzione di incarichi professionali in società partecipate e collegate);
che in 128 casi la permanenza nel CdA è di oltre 9 anni; che 89 consiglieri su
991 (il 17% del totale) si trovano in “situazioni critiche” che meriterebbero
una adeguata soluzione (come sarebbe la fine dell’incarico conferito).
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