“” Il blocco di Berlino reggeva ancora. (…) fu strano
trovarsi in prigione dentro questa più libera e meno confinata tra le capitali.
Fiumi e laghi la attraversano, e c’è molto terreno bagnato e sabbioso su cui
non è prudente costruire, donde brughiere e pinete e boschi di betulle e bei
campi alluvionali ben dentro i limiti della città. Ma adesso era una prigione,
la più grande prigione mai conosciuta, con mura che si alzavano fino al cielo e
che erano spesse quanto tutta la circostante Zona Sovietica. Tutti a Berlino
erano prigionieri. Nessuno era libero, nemmeno coloro che dicevano di essere i
secondini. I berlinesi erano prigionieri perché erano stati vinti. Gli alleati
erano prigionieri perché erano i vincitori. Gli americani non potevano
andarsene perché l’Unione Sovietica non prendesse il loro ritiro come un’ammissione
della loro volontà di cedere loro tutto il mondo per restarsene a casa in pace;
e a un equivoco simile sarebbe ben potuta scoppiare una Terza Guerra Mondiale. Gli
inglesi non potevano lasciare Berlino perché gli Stati Uniti e l’Unione
Sovietica non prendessero la loro ritirata per un’ammissione di essere un
popolo in bancarotta e senza più potere: equivoco che anch’esso avrebbe potuto accelerare
lo scoppio di una Terza Guerra Mondiale. I francesi non potevano lasciare
Berlino perché il mondo non traesse le sue conclusioni sullo stato di schiavitù
in cui erano caduti nel 1940, e li considerassero privi di potere.
Anche i russi sono prigionieri; il loro era il più profondo
grado di cattività. Non potevano lasciare Berlino senza abbandonare quella che
allora era la sola idea russa: occupare qualsiasi paese in cui potevano mandare
l’Armata Rossa a cooperare col locale partito comunista, per quanto la
popolazione potesse detestarli, e quindi imporre uno Stato di polizia col quale
indurre in tali paesi una parvenza di soddisfazione che avrebbe reso difficile
alle democrazie occidentali trovare sostegno morale se avessero tentato di
scacciarli. I russi dovevano pertanto rimanere a Berlino e far finta di trovar
facile amministrare il loro Settore, allo stesso tempo facendo del loro meglio
per scacciare gli alleati. Perché nelle loro libere elezioni gli abitanti di
quel Settore votavano ostinatamente contro il comunismo, e questa dimostrazione
di scontento si sarebbe potuta sopprimere, se gli alleati avessero abbandonato
il controllo quadripartito della città e non ci fosse più bisogno di libere
elezioni.
Nell’estate del 1949 i russi lavoravano al compito di scalzare
gli alleati con tutta quella particolare rispettosità che era il timbro e il
sigillo di Stalin. Un anno prima si erano rifiutati si collaborare con gli
inglesi, gli americano e i francesi nella riforma valutaria, benché questo
fosse evidentemente necessario, perché la valuta ufficiale era ancora il Reichmark di Hitler, che da molto tempo
prima della disfatta era stato il figlio partenogenito di stamperie senza
alcuna corrispondenza nelle riserve auree. Suscitarono una serie di piccole
scaramucce sul nuovo Deutschmark e
procedettero a usare il potere che la Conferenza di Potsdam aveva dato loro
collocando Berlino nel cuore della Zona Sovietica. Nel giugno 1949 avevano
chiuso tutte le comunicazioni via terra tra la Germania Occidentale e Berlino. La
loro speranza era che questo infliggesse ai ettori controllati dagli alleati
occidentali, che per il loro importante commercio estero si appoggiavano alla
Germania Occidentale, privazioni tali che i berlinesi non avrebbero voluto che
restassero. Questa minaccia fu sventata da quel grande atto di genio, il ponte
aereo, che rifornì i bisogni essenziali della città al costo di centomila
sterline al giorno, e da un bando sull’esportazione di tutte e merci dalla
Germania Occidentale alla Zona Sovietica nella Germania Orientale. Nel maggio
1949 questo bando aveva ridotto la Germania Orientale sull’orlo del collasso
economico, e i russi, con gran fanfara alla radio e nei cinegiornali,
consentirono ai treni, alle automobili e alle chiatte dei canali di
attraversare la loro Zona fino a Berlino.
Ma non appena i russi ebbero i beni di cui necessitavano e
furono salvati dal disastro amministrativo, cominciarono a barare. Accadde che
un gran numero di ferrovieri nella Zona Sovietica scioperassero, avvenimento
che sorprese sinceramente l’Esercito Rosso e i commissari, dato che nell’Unione
Sovietica gli scioperi non sono consentiti. Ma i russi girarono lo sciopero a
loro vantaggio e si rifiutarono di farlo cessare, perché fino a quando
continuava non si sarebbe potuta trasportare nessuna merce a o da Berlino, e le autorità sovietiche avrebbero potuto
sostenere che non stavano imponendo un blocco. Il responsabile del fermo era il
sindacato dei ferrovieri Tedeschi. Questo espediente fu molto stalinista. Fece vedere
perché Lenin, e il partito nel suo insieme, non avevano mai stimato molto
Stalin nei primi tempi. Infatti il blocco era incompleto. Non aveva tenuto
conto delle automobili e delle chiatte dei canali, che dovevano essere respinte
da guardie sovietiche che chiedevano documenti di cui nessuno aveva mai sentito
parlare prima, e questo rivelò anche alle mentalità più ingenue la presenza di
un elemento pretestuoso.
Così nell’estate del 1949 il piccolo blocco era in funzione.
Nel cielo sopra Berlino il ponte aereo ronzava senza interruzione, anche se a
terra era molto trovare parti della città ch sembravano lontanissime dal
subbuglio, e anche dalla vita.””
(Rebecca West, “Serra
con ciclamini”, 1955, prima ed. italiana 2015, pagg. 118-121)
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