martedì 8 settembre 2015

Le tasse secondo OCSE e MEF.


Stando alle stime del DEF 2015, la pressione fiscale in Italia (già salita di 2 punti percentuali sul PIL in soli 4 anni) dovrebbe passare dal 43,5% del 2014 al 44,1% nel 2016 e 2017 per ridiscendere al 43,7% nel 2019. I dati elaborati dall’OCSE mettono a confronto la pressione fiscale italiana con quella di altri paesi europei: Irlanda al 29,9%, Spagna al 32,4%, Gran Bretagna al 34,9%, Germania al 38%, con una media europea del 36,2%. Per l’OCSE, la tassazione sulle imprese in Italia è al 26,5% contro una media UE del 16,2%, quella sui consumi (e.g., l’IVA) al 17,7% contro una media UE del 19,8%, quella sugli immobili all’1,6% contro l’1,5% europeo. Secondo i dati 2014 del Dipartimento delle Finanze, il peso maggiore è rappresentato dall’IRPEF che con 163,7 miliardi di euro rappresenta il 39,1% sul totale di imposte e tasse, l’IRES (32,3 miliardi) il 7,7%, l’IVA (114,4 miliardi) il 27,3%. L’anomalia italiana è anche in parte legata alla “contabilità nazionale creativa” che inflaziona il PIL aggiungendovi una percentuale stimata riferita all’ “economia sommersa”, che rende più lieve di quanto in effetti sia l’incidenza del prelievo fiscale sul PIL. Le percentuali nulla dicono, però, sulla qualità e sulla quantità dei servizi forniti alla collettività a fronte di così tanti tributi. Come diceva oltre 100 anni fa un senatore del Regno, “Qualunque imbecille può inventare o imporre tasse. L'abilità consiste nel ridurre le spese, dando nondimeno servizi efficienti, corrispondenti all'importo delle tasse”: e molto resta da fare in proposito.


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