Il drone (in
inglese significa fuco) è entrato nel linguaggio e nell’uso quotidiano: in
Italia sono censite 550 imprese che producono ed utilizzano droni, per un
fatturato annuo totale di 350 milioni, e medio/azienda di 700.000 euro; ancora poco, ma stanno
crescendo “a volo d’ape” grazie al loro crescente utilizzo in agricoltura (per
monitorare lo sviluppo e la crescita dei raccolti, la presenza e la
disinfestazione di insetti dannosi, la necessità e distribuzione dell’acqua da
irrigamento), fotografia aerea, rilievi topografici, analisi ambientali,
ricerca e salvataggio, controllo remoto di impianti, edilizia, rilevazione
archeologiche, spegnimento di incendi. Il loro costo è contenuto, fra i 1.500
ed i 2.000 euro nelle versioni base, e sfruttando la tecnologia vi si possono aggiungere
optional sempre più richiesti. Accanto a quelli volatili, stanno crescendo
quelli terrestri (un loro utilizzo importante è nella ricerca di ordigni da
disinnescare) ed acquatici (per l’analisi delle acque, lo stato della fauna
marina, forse anche la ricerca di tesori nascosti). La loro crescita è stata
inattesa e sorprendente: nel 2010 la Federal Aviation Authority USA ne aveva
previsto una crescita sino ad un parco-droni di 15.000 nel 2020, ma ogni mese
negli USA se ne vendono quasi 15.000, segno di un successo eclatante. Accanto
agli utilizzi autorizzati ed utili, cresce anche un utilizzo a fini criminali,
dal trasporto di sostanze stupefacenti ai furti, come il rischio di un loro
utilizzo a fini terroristici.
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