La “lista della cattiva spesa pubblica” non è solo
un male italico: imperversa in Francia, dove dati recentemente diffusi (“On va
dans le mur…”, traducibile in “andiamo a sbattere…”) fanno il paio con quelli
di casa nostra: in Francia vi sono 360 imposte e tasse, il codice del lavoro si
compone di 3.500 pagine, vi sono 5.300.000 dipendenti pubblici (contro i
3.300.000 dipendenti pubblici italiani) che assorbono stipendi di 292 miliardi
di euro l’anno, avanza un plotone di 618.384 eletti fra parlamentari e
rappresentanti locali di 36.769 comuni, si contano 15.903 organismi
intercomunali, 27 regioni, 101 dipartimenti, e ben 37 regimi di pensionamento.
Il tutto per una spesa pubblica che vale il 60% del PIL, circa 1.300 miliardi
di euro (contro i 739 miliardi di euro della spesa pubblica italiana), con un
debito pubblico che si sta avvicinando al 100% del PIL (ma l’Italia continua a
guidare il confronto superando in scioltezza il 130%). C’è chi lo chiama “mal
greque”: una diagnosi da bollettino di guerra, peccato che – secondo il
rapporto -- anche i “francesi non potrebbero capire” la ineluttabilità di
misure draconiane.
giovedì 30 luglio 2015
mercoledì 29 luglio 2015
Il cibo è roba seria, mica roba da Expo.
Una esposizione
mondiale che parla di cibo, parla solo di una metà del tema: manca il suo complemento,
l’assenza di cibo che colpisce, in modo episodico e più generalmente endemico, 2
miliardi di persone nel mondo su 7 miliardi che è la popolazione mondiale,
quasi 1 essere vivente su 3, spesso un bambino in età pre-infantile ed
infantile, in aree geografiche ben delimitate, come l’Africa sub-sahariana, il
resto dell’Africa, ampie zone dell’Asia, l’India; su 805 milioni di affamati, quelli che non
hanno una razione di cibo giornaliera (spesso saltuaria e non tutti i giorni, sempre
insufficiente e ben inferiore alle 2.200 calorie quotidiane richieste per un
adulto, che sono 700 per un bambino sino a 1 anni. 1.500 calorie a 5 anni), 295
milioni vivono in India dove rappresentano il 16% della popolazione; 135
milioni è il numero stimato degli affamati cinesi; nel c.d. Altro Mondo si
concentrano 790 milioni di affamati: 1 essere umano ogni 9.
Parlare di cibo
significa allora prima di tutto parlare del suo contrario: la fame.
Tema spesso
affrontato in modo ideologico, sulla spinta di valori religiosi, etici, sociali,
“perbenisti”.
Proviamo a
declinare il tema in modo diverso, cercando di evidenziare alcuni punti:
Quale cibo
mangia l’uomo?
Dove e perché c’è una carenza di cibo?
La tecnica agricola
odierna sarebbe in grado di limitare, o cancellare, la fame nel mondo?
Le risorse
alimentari disponibili sono prodotte in modo efficiente?
Salvo rare eccezioni,
l’alimentazione umana di base è composta di cereali, che non apportano proteine
sufficienti; in una chiave di accrescimento della disponibilità e della qualità
del cibo, la prima cosa che si aggiunge sono i legumi; seguono i tuberi; quando
il tenore di vita aumenta, si aggiungono gli oli; infine, si passa alla carne
ed altri proteine animali (uova, latticini). Tre quarti del cibo consumato nel
pianeta è fatto di riso, grano, mais; metà di tutto quanto mangiano i 7
miliardi di esseri umani è rappresentato da riso.
Nell’impero romano, un ettaro di
terreno produceva 300 chili di cereali, ed un contadino poteva lavorare in
media 3 ettari, quindi poteva produrre quasi 1 tonnellata di cereali; nel
medioevo, un ettaro produceva 600 chili annui, ogni contadino poteva lavorare
in media 4 ettari, producendo 2,4 tonnellate annue di cereali; negli Stati
Uniti a metà del secolo scorso 1 ettaro produceva 2 tonnellate di cereali ed un
contadino poteva lavorarne circa 25 con una produzione annua di 50 tonnellate;
sempre negli States, grazie a miglioramenti nella tecnica e nell’irrigazione,
la produttività consente di lavorare 100 ettari con una produzione annua di
1.000 tonnellate per ogni contadino; nell’Africa sub-sahariana, 1 ettaro
produce quasi 700 chili di cereali ed ogni contadino lavora in media 1 ettaro,
producendo quindi 700 chili annui. La produttività di 2.000 anni fa, 2.000
volte meno rispetto ad un agricoltore del XXI secolo.
Trasferire la tecnologia di un
paese “avanzato” in un paese “non avanzato” è difficile: servono investimenti
(che i singoli contadini dell’ Altro Mondo non possono permettersi, visto il
loro stato di indigenza), serve terra da coltivare (ed i singoli contadini
poveri spesso non hanno nemmeno un piccolo pezzo di terra di proprietà, in
paesi dove la proprietà della terra si sta concentrando per svariati motivi, nessuno
commendevole), servono concimi, semi, attrezzi che risultano troppo spesso
troppo cari, impossibili da acquistare per i singoli contadini.
Parlare di cibo significa
comprendere le tecniche di produzione, migliorarle per incrementare la resa,
adottarle ed introdurle nel maggior numero di terreni coltivabili.
Mangiare animali, nel nostro
mercato globale, è un lusso, che comincia a diffondersi in aree di recente
sviluppo economico, come la Cina ed ampie zone del Sud Est asiatico (i paesi
che crescono); mangiare carne mette l’uomo in competizione con gli animali
nella scelta di che cosa mangiare; seppure per millenni gli animali abbiano
mangiato erba, oggi essi mangiano gli stessi alimenti che rientrano nella dieta
dell’uomo: soia, mais, altri cereali.
I bovini, 50 anni fa, erano 700
milioni: oggi sono 1.400 milioni, il doppio. Sono necessarie 4 calorie vegetali
per produrre 1 caloria di pollo, 6 per 1 caloria di maiale, 10 per una caloria
di bovino od agnello.
Occorrono 1.500 litri per
produrre 1 chilo di mais, 15.000 litri per produrre 1 chilo di carne bovina. 1
ettaro di terra buona può produrre 35 chili di proteine vegetali, che scendono
a 7 chili se utilizzate come alimento per animali.
In termini economici, mangiare
carne significa “appropriarsi” di risorse vegetali che potrebbero bastare per 5
o 10 persone.
Negli ultimi decenni, il consumo
di carne è raddoppiato rispetto alla popolazione, il consumo di uova è
triplicato. L’allevamento di animali copre l’80% della superficie agricola
coltivabile (a tecnologia attuale), assorbe il 40% della produzione mondiale di
cereali ed il 10% delle risorse idriche del pianeta.
Il cibo, essenziale per la
sopravvivenza, diviene sempre più una non-scelta, per mancanza di capacità di
reddito o impossibilità di coltivare e produrre, per chi non ha accesso a
“basic stuff and food” come acqua, cereali, legumi, tutti alimenti essenziali
per la sua salute ed il suo sviluppo.
Parlare di cibo significa
valutare come allocare la ripartizione dei terreni fra alimenti diversi, se
convenga destinare i terreni alla produzione di cereali vegetali frutta e
legumi, oppure destinarli alla produzione di mangime per animali, che a loro
volta diventeranno cibo per l’uomo.
Il business del cibo –
agricoltura, manifattura alimentare – costituisce soltanto il 6 per cento
dell’economia mondiale: una minuzia, quantità dieci volte minori rispetto al
settore dei servizi.
Il 43 per cento della popolazione
economicamente attiva del mondo – circa 1,4 miliardi di persone – è costituita
da agricoltori.
Demografia, peso economico e
necessità reale sono stranamente lontani.
(Breve digressione: l’agricoltura
– l’agricoltura dei poveri, zappa e vanga – è un’attività estremamente fisica,
dove gli uomini possono avere un vantaggio: le donne si sforzano, cercano di
fare alcune cose, ma è chiaro che spetta agli uomini nutrire la famiglia, e
tutto questo produce un’idea della vita. La sottomissione femminile aveva una
sua contropartita molto precisa: in cambio – dialettica del padrone e dello
schiavo – l’uomo dava da mangiare alla donna. Nelle società opulente rompere
con quest’idea può essere più semplice, più fattibile; in mondi arretrati, come
nell’Africa sub-sahariana od in ampie zone del Sud-Est asiatico, si complica).
La malnutrizione è legata, con un
filo esile ma fermo, allo stato di salute della popolazione.
Gli Stati
Uniti spendono 8.600 US$ l’anno per abitante in sanità, la Francia 4.950,
l’Argentina 890, la Colombia 432, l’India 8 dollari (che scendono a 4 a
Bombay/Mumbai), il Niger 5 dollari; nel paese africano più povero, nel 2009
c’erano 583 medici, uno ogni 28.000 abitanti, scesi a 349 nel 2010, uno ogni
43.000 abitanti, quando in un paese medio (come Ecuador, Filippine, Sudafrica)
la media è uno ogni 1.000 abitanti. In paesi “problematici”, molti medici sono
emigrati, spesso scappati: la migrazione di chi sa, o vuole scappare dalla
miseria e dalle malattie, produce ulteriore miseria. In Niger, ogni donna ha in
media 7 figli (il tasso di fertilità più alto al mondo), ed un bambino su 7
muore prima di compiere 5 anni, quando la media dei paesi definiti ricchi è uno
su 150. A Bombay/Mumbai 1/3 dei bambini è denutrito. La fame interessa 2
miliardi di persone nel mondo, circa 1/3 della popolazione della Terra; queste
persone non mangiano a sufficienza, sono malnutriti, e questo endemico
sottosviluppo colpisce principalmente i piccoli, che hanno necessità di
mangiare almeno 700 calorie al giorno sotto l’anno di vita, 1.000 fino a 2
anni, 1.600 sino a 5 anni; un adulto necessita da 2.000 a 2.700 calorie
giornaliere; sotto queste soglie, si patisce la fame. “L’eliminazione , ogni anno, di decine di milioni di uomini, donne e
bambini ad opera della fame è lo scandalo del nostro secolo. Ogni 5 secondi un
bambino sotto i 10 anni muore di fame (…). Allo stato attuale, l’agricoltura
mondiale potrebbe nutrire senza problemi 12 miliardi di essere umani, quasi il
doppio della popolazione mondiale” secondo la relazione “Destruction
massive” dell’ex-relatore speciale ONU per il diritto all’alimentazione.
La
carenza strutturale, endemica, di cibo è una concausa del progressivo inurbanesimo:
oltre la metà della popolazione mondiale vive oggi, per la prima volta nella
storia dell’umanità, in città, dove ci si trasferisce nella aspettativa,
fallace, di trovare un lavoro, una casa, migliori condizioni di vita. Ma come
anticipato in “Il pianeta degli slum” di Mike Davis, “le città del futuro (…)
saranno in gran parte costruite di mattoni grezzi, paglia, plastica riciclata,
blocchi di cemento e legname di recupero. Al posto delle città di luce che si
slanciano verso il cielo, gran parte dei mondo urbano del XXI secolo vivrà
nello squallore, circondato da inquinamento, escrementi e sfacelo.””; nel 1950
c’erano 85 città del mondo che superavano il milione di abitanti, nel 2015
saranno 550; delle 25 città che superano gli 8 milioni, 22 si trovano nell’
Altro Mondo, e sono quelle che crescono di più: ma nella maggior parte di
queste città, tre quarti della crescita si deve a costruzioni marginali in
terreni occupati: le baraccopoli. In tutta l’India, per citare un caso
significativo per un paese che fa parte dei BRIC, 160 milioni di persone vivono
in una baraccopoli. In una baraccopoli non ci sono acqua corrente, luce, fogne;
la mancanza di bagni crea problemi sanitari enormi: 2 morti su 5 sono da
ascriversi ad infezioni causate da parassiti portati da acqua inquinata (con
cui si cucina, quando c’è da cucinare) ed assenza di fogne.
Nel mondo,
2,5 miliardi di persone vivono senza fogne, e muoiono senza fogne. In queste
condizioni, anche il cibo è inquinato, quando c’è.
Parlare
di cibo significa partire dalla sua assenza, dalla sua cattiva qualità, dalle
modalità del suo stoccaggio e del suo trattamento.
Domande
aperte; troppo spesso ricevono risposte chiuse.
Il secchio di latte e lo zucchero che lo fa gustoso.
"" Nell’VIII secolo migliaia di fuggitivi dell’Impero persiano
arrivarono alle porte di Bombay e chiesero rifugio al re del Maharashtra; il re
non li voleva e mandò loro, come risposta, un secchio traboccante di latte: era
il suo modo per dire che non augurava loro alcun male ma il suo regno era
pieno. I Parsi – il capo dei Parsi – misero lo zucchero nel secchio e glielo
restituirono: era il loro modo per dire che, senza riempirlo oltre, lo
avrebbero reso migliore o più gustoso. Sembra che lo stratagemma parsi
rispondesse alla massima: aggiungere a ciò che è già pieno.""
Martin
Caparros, “La fame”, Einaudi, 2014-2015, pg 173.
Vacanze in camper.
La libertà “on the road” si respira viaggiando in camper: sono 800.000 i camperisti italiani, con una età media di 39 anni, inferiore a quella di tedeschi ed olandesi, “camperisti per eccellenza”, con i loro 48 anni medi; spirito di adattamento, organizzazione “fai-da-te”, affidamento su guide per itinerari soste e campeggi, oggi sempre più disponibili on-line (oltre l’80% delle soste europee sono disponibili con tecnologia gps). Un mercato che sembra ritrovare lo smalto del passato, dopo l’impatto che la crisi finanziaria ha avuto sulle (una volta convenienti) formule di leasing e finanziamento all’acquisto: in Italia, nel 2014 sono stati venduti 3.456 nuovi camper (+7,7%) e 25.505 usati; per l’estate 2015 sono previsti forti incrementi del noleggio, ideale per i debuttanti e conveniente per i camperisti “stagionali”; le stime parlano di 3.000.000 di turisti che si diletteranno con camper, roulotte, tende. Per assecondare una passione “green”, talora “total green” (come nei paesi nordici, meta per viaggi all’insegna della natura e dello scarso affollamento di gente), la UE ha messo a disposizione dei camperisti 8.000 spazi fra aree attrezzate e punti-sosta, con 400 nuove aperture nell’estate 2015, allargando il “network” essenziale per questo tipo di viaggio, la cui “cifra” è una parsimoniosa lentezza
martedì 28 luglio 2015
Siamo quello che mangiamo?
Salvo rare eccezioni, l’alimentazione umana di base è
composta di cereali, che non apportano proteine sufficienti; in una chiave di
accrescimento della disponibilità e della qualità del cibo, la prima cosa che
si aggiunge sono i legumi; seguono i tuberi; quando il tenore di vita aumenta,
si aggiungono gli oli; infine, si passa alla carne ed altri proteine animali
(uova, latticini). Tre quarti del cibo consumato nel pianeta è fatto di riso,
grano, mais; metà di tutto quanto mangiano i 7 miliardi di esseri umani è
rappresentato da riso.
Nell’impero romano, un ettaro di terreno produceva 300
chili di cereali, ed un contadino poteva lavorare in media 3 ettari, quindi
poteva produrre quasi 1 tonnellata di cereali; nel medioevo, un ettaro
produceva 600 chili annui, ogni contadino poteva lavorare in media 4 ettari,
producendo 2,4 tonnellate annue di cereali; negli Stati Uniti a metà del secolo
scorso 1 ettaro produceva 2 tonnellate di cereali ed un contadino poteva
lavorarne circa 25 con una produzione annua di 50 tonnellate; sempre negli
States, grazie a miglioramenti nella tecnica e nell’irrigazione, la
produttività consente di lavorare 100 ettari con una produzione annua di 1.000
tonnellate per ogni contadino; nell’Africa sub-sahariana, 1 ettaro produce
quasi 700 chili di cereali ed ogni contadino lavora in media 1 ettaro,
producendo quindi 700 chili annui. La produttività di 2.000 anni fa, 2.000
volte meno rispetto ad un agricoltore del XXI secolo.
Mangiare animali, nel nostro mercato globale, è un lusso,
che comincia a diffondersi in aree di recente sviluppo economico, come la Cina
ed ampie zone del Sud Est asiatico (i paesi che crescono); mangiare carne mette
l’uomo in competizione con gli animali nella scelta di che cosa mangiare;
seppure per millenni gli animali abbiano mangiato erba, oggi essi mangiano gli
stessi alimenti che rientrano nella dieta dell’uomo: soia, mais, altri cereali.
I bovini, 50 anni fa, erano 700 milioni: oggi sono 1.400
milioni, il doppio. Sono necessarie 4 calorie vegetali per produrre 1 caloria
di pollo, 6 per 1 caloria di maiale, 10 per una caloria di bovino od agnello.
Occorrono 1.500 litri per produrre 1 chilo di mais, 15.000
litri per produrre 1 chilo di carne bovina. 1 ettaro di terra buona può
produrre 35 chili di proteine vegetali, che scendono a 7 chili se utilizzate
come alimento per animali.
In termini economici, mangiare carne significa “appropriarsi”
di risorse vegetali che potrebbero bastare per 5 o 10 persone.
Negli ultimi decenni, il consumo di carne è raddoppiato
rispetto alla popolazione, il consumo di uova è triplicato. L’allevamento di
animali copre l’80% della superficie agricola coltivabile (a tecnologia
attuale), assorbe il 40% della produzione mondiale di cereali ed il 10% delle
risorse idriche del pianeta.
Il cibo, essenziale per la sopravvivenza, diviene sempre
più una non-scelta, per mancanza di capacità di reddito o impossibilità di coltivare
e produrre, per chi non ha accesso a “basic stuff and food” come acqua,
cereali, legumi, tutti alimenti essenziali per la sua salute ed il suo sviluppo.
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