“”Il business
del cibo – agricoltura, manifattura alimentare – costituisce soltanto il 6 per
cento dell’economia mondiale: una minuzia, quantità dieci volte minori rispetto
al settore dei servizi. La cosa curiosa è che questa minuzia definisca tutto il
resto; senza questa minuzia, non esisterebbe nulla di tutto il resto. E il 43
per cento della popolazione economicamente attiva del mondo – circa 1,4
miliardi di persone – è costituita da agricoltori. Demografia, peso economico e
necessità reale sono stranamente lontani.
L’agricoltura –
l’agricoltura dei poveri, zappa e vanga – è un’attività estremamente fisica,
dove gli uomini possono avere un vantaggio: le donne si sforzano, cercano di
fare alcune cose, ma è chiaro che spetta agli uomini nutrire la famiglia, e
tutto questo produce un’idea della vita. La sottomissione femminile aveva una
sua contropartita molto precisa: in cambio – dialettica del padrone e dello
schiavo – l’uomo dava da mangiare alla donna. Nelle società opulente rompere
con quest’idea può essere più semplice, più fattibile; in mondi come questo (nel
Sahel, Africa sub-sahariana; nota) si complica. Ma qui non dev’essere facile
neppure essere un uomo: dover provvedere e non avere provviste, fallire di
continuo.””
Martin
Caparros, “La fame”, Einaudi, 2014-2015, pg 43.
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