sabato 25 luglio 2015

Avevano studiato sui manuali de la République...



“” Ho parlato, un lungo pomeriggio di due anni fa, in un luogo della Siria che oggi è califfato con un gruppo di giovani jihadisti francesi, tutti di Tolosa, tutti venivano dalla stessa banlieue, studenti, due meccanici, disoccupati. Parlavano degli orrori di quella guerra con l’indulgente sicurezza propria dei preti, che vivono le miserie di questa terra come le avessero lette nel Libro, ne parlano, vi stanno in mezzo con l’indifferenza di chi ha piena conoscenza delle cose umane. Avevano studiato sui manuali de la République,  fatto il tifo per la squadra di calcio della città, ascoltato la musica rock. La morte in Siria era per loro piuttosto un buon amico, un compagno, un lavoratore con cui si è stati nello stesso ufficio, nello stesso reparto o nello stesso campo. Quando viene, non fanno storie, si amano i propri amici, ma non si importunano, si lascia che vadano e vengano come loro conviene.
Avevano compiuto il passaggio chiave, deciso cioè di considerare nemici altri uomini, di renderli astratti. Li avevano cioè allontanati da sé, non volevano più sapere che potevano  ridere fragorosamente e piangere di dolore, erano diventate sagome che si possono colpire e sgozzare.
Ma perché, Dio mio, queste vittime non gridano, non inveiscono contro il loro boia vestito di nero, non invocano per l’ultima volta, seppure inutilmente, pietà dal coltello che gli agitano davanti? Nell’orrore delle esecuzioni degli ostaggi occidentali mancano i gesticolamenti, le urla; è un orrore stranamente asettico, tranquillo, rassegnato. Vorresti vedere la ribellione, la vera ribellione scoppiare sul viso umano e invece non è espressa, non dallo sguardo, fisso e come velato, né dalla bocca; persino la testa, invece di piegarsi, o sollevarsi fieramente o disperatamente, pende sulla spalla, sembra piuttosto piegarsi sotto un invisibile fardello. Sembra che nei sacrificati del califfo il brusco impeto della volontà, il suo incendio, lasci il corpo inerte, impassibile, sfinito da un troppo grande sperpero dell’essere. Perché?
Forse non avrei una risposta, o mi accontenterei di quella, in fondo banale, pratica, di chi sospetta il ripetersi di molte false esecuzioni: strategia subdola per ottenere nel video di quella vera, l’ultima, la scenografica sopportazione della vittima.””



Domenico Quirico, “Il grande califfato”, gennaio 2015, pagg. 91-93.

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