“” Ho parlato, un
lungo pomeriggio di due anni fa, in un luogo della Siria che oggi è califfato
con un gruppo di giovani jihadisti francesi, tutti di Tolosa, tutti venivano
dalla stessa banlieue, studenti, due meccanici, disoccupati. Parlavano degli
orrori di quella guerra con l’indulgente sicurezza propria dei preti, che
vivono le miserie di questa terra come le avessero lette nel Libro, ne parlano,
vi stanno in mezzo con l’indifferenza di chi ha piena conoscenza delle cose
umane. Avevano studiato sui manuali de la
République, fatto il tifo per la
squadra di calcio della città, ascoltato la musica rock. La morte in Siria era
per loro piuttosto un buon amico, un compagno, un lavoratore con cui si è stati
nello stesso ufficio, nello stesso reparto o nello stesso campo. Quando viene,
non fanno storie, si amano i propri amici, ma non si importunano, si lascia che
vadano e vengano come loro conviene.
Avevano compiuto
il passaggio chiave, deciso cioè di considerare nemici altri uomini, di
renderli astratti. Li avevano cioè allontanati da sé, non volevano più sapere
che potevano ridere fragorosamente e
piangere di dolore, erano diventate sagome che si possono colpire e sgozzare.
Ma perché, Dio
mio, queste vittime non gridano, non inveiscono contro il loro boia vestito di
nero, non invocano per l’ultima volta, seppure inutilmente, pietà dal coltello
che gli agitano davanti? Nell’orrore delle esecuzioni degli ostaggi occidentali
mancano i gesticolamenti, le urla; è un orrore stranamente asettico,
tranquillo, rassegnato. Vorresti vedere la ribellione, la vera ribellione
scoppiare sul viso umano e invece non è espressa, non dallo sguardo, fisso e
come velato, né dalla bocca; persino la testa, invece di piegarsi, o sollevarsi
fieramente o disperatamente, pende sulla spalla, sembra piuttosto piegarsi
sotto un invisibile fardello. Sembra che nei sacrificati del califfo il brusco
impeto della volontà, il suo incendio, lasci il corpo inerte, impassibile,
sfinito da un troppo grande sperpero dell’essere. Perché?
Forse non avrei
una risposta, o mi accontenterei di quella, in fondo banale, pratica, di chi
sospetta il ripetersi di molte false esecuzioni: strategia subdola per ottenere
nel video di quella vera, l’ultima, la scenografica sopportazione della
vittima.””
Domenico Quirico, “Il grande califfato”,
gennaio 2015, pagg. 91-93.
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