Approvata al Senato, trasmessa alla Camera, la
riforma degli appalti sui lavori pubblici si concentra su 6 sfide: la prima è
quella di recepire le direttive UE senza aggiungervi, in sede di recepimento,
le solite “norme pesanti” che rendono difficile operare nel nostro paese.
La
seconda vede l’ANAC, l’Autorità anti-corruzione, divenire il regolatore unico
del mercato degli appalti: vigilanza sulla applicazione delle norme,
bandi-tipo, interpretazione delle norme. La terza prevede il divieto
dell’affidamento “in-house” degli appalti a società collegate al concessionario
(che sinora doveva poteva “trattenere” sino al 40% dei lavori sulla rete).
In
quarta posizione, la creazione di “rating reputazionali” delle imprese
affidatarie dei lavori.
La quinta sfida è portare il progetto a livelli
qualitativi adeguati: progetti esecutivi, eliminazione del massimo ribasso (già
previsti) cui si aggiunge l’eliminazione dell’incentivo del 2% sulla progettazione
interna degli organi della pubblica amministrazione. Sesta, l’eliminare la c.d.
“variante in corso d’opera” che tradizionalmente porta alla lievitazione del
costo complessivo e finale.
Aggiungeremmo una settima: l’eliminazione del
sub-appalto, mezzo che consente le peggiori infiltrazioni e distorsioni del
mercato.
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