lunedì 2 novembre 2015

Tax Ruling: chi era costui?



Un estratto di questo articolo è apparso nella rubrica #IlGraffio di AdviseOnlyBlog in data   2.11.2015.





Le cronache di questi giorni parlano della richiesta della Commissione UE fatta a FCA e Starbucks di pagare una sanzione per un uso non corretto del “tax ruling” in Lussemburgo. Parafrasando il Manzoni che mise in bocca a Don Abbondio il celebre “Carneade: chi era costui?” cerchiamo di fare chiarezza su questa pratica che consente di definire in anticipo il trattamento di questioni fiscali internazionali: i “tax ruling” sono gli accordi presi tra un Paese ed una società e forniscono alla società stessa i chiarimenti sul modo in cui sarà calcolata l'imposta sui redditi della società in quel Paese. Sulla base del “tax ruling” le multinazionali (con controllate in diversi Stati) scelgono la destinazione più vantaggiosa dell'imponibile.

I governi di molti paesi (a tassazione elevata) chiedono da tempo regole più stringenti per evitare o limitare gli spostamenti di residenza fiscale fatti per ottenere “indebiti” vantaggi fiscali. Nel mirino c’è il cosiddetto “treaty shopping”:  la ricerca  delle società multinazionali di sfruttare i vantaggi tributari consentiti dalle Convenzioni contro le doppie imposizioni o dai trattati internazionali in un Paese in cui non sono fiscalmente residenti. Pratiche sinora considerate legali, e lo saranno sino a decisione contraria. 
Pratiche messe in campo da gruppi industriali (come la FCA sopra-citata), finanziari (molte banche hanno costituito società di servizi e gestione in Irlanda e Lussemburgo), di servizi come hi-tech, software, e-commerce (come non pensare a Google ed Amazon, accusate di fare business in Italia senza pagare tasse in Italia? Da qui, la proposta di una “e-commerce tax” sul commercio dei loro prodotti). Ovunque vi sia un business globale, vi è la necessità di una politica fiscale globale; da qui, la ricerca della ottimizzazione della pianificazione fiscale di gruppo.


Se pagare (molte) tasse è considerato indesiderabile, gli accordi di “tax ruling” hanno allora almeno un punto positivo: “scolpiscono nella pietra” che cosa si può fare e non si può fare dal punto di vista fiscale, quale è l’aliquota applicata sulle tasse ed imposte sui redditi societari, per quanto tempo l’accordo resterà in vigore; tutti vantaggi non secondari nella valutazione delle imprese multinazionali su dove fissare la propria sede principale e organizzare le proprie strutture. L’attrattività di Irlanda e Lussemburgo sta nella certezza delle regole fiscali e nella loro struttura (in primis, aliquota delle imposte), non nella maggiore produttività dei fattori produttivi (lavoro, energia, …). Queste sono le ragioni che hanno portato Apple, Google, Amazon e migliaia di altri gruppi a “metter su casa” in questi paesi.



Allo stesso tempo ci sarà una maggiore attenzione per sterilizzare gli eventuali ostacoli interposti dai Trattati nell'applicazione di regole o clausole antiabuso nei singoli ordinamenti nazionali. Le aree di “attenzione” sono il contrasto all'erosione di base imponibile, il trasferimento dei profitti in zone a basso o inesistente prelievo fiscale e l'aggiornamento della definizione di stabile organizzazione (un tema molto presente nel dibattito sull’e-commerce, commercio che è sviluppato da una “piattaforma” costituita in un paese a bassa fiscalità, da cui vengono forniti servizi o fatturati beni a soggetti residenti in un diverso paese, dove la “piattaforma” non ha una presenza di business adatta alla gestione dell’attività in quel paese).




Che cosa “bolle in pentola”…


L'Ecofin (il gruppo dei ministri delle Finanze dei 28 paesi UE) ha dato il benestare a un progetto di direttiva (la legge europea) che prevede lo scambio automatico di informazioni sugli accordi fiscali (ruling) concessi dai governi alle aziende multinazionali; un passo nella direzione della neutralizzazione degli effetti di accordi fra multinazionali e Paesi (come il caso del Lussemburgo “scoperchiato” nell'inchiesta LuxLeaks) che portano a regimi preferenziali con benefici eccessivi e, in sostanza, ad aiuti di Stato.
L' erosione di base imponibile per un paese ed il trasferimento degli utili nei paradisi offshore è un rischio che si moltiplica man mano che crescono gli scambi commerciali di beni e servizi, come nel caso dell’economia digitale (che da sola “vale”  16.000 miliardi US$ a livello mondiale).
L'obiettivo del “grande piano” è offrire strumenti per integrare e rendere efficaci le politiche fiscali dei governi e ricreare parità di condizioni (“level the playing field”), evitando che gli Stati adottino misure unilaterali e che da una tassazione inesistente si passi a una doppia tassazione, penalizzando troppo le aziende.
I Paesi dell'Ocse e del G20 continueranno quindi a lavorare nei prossimi 2 anni per definire alcuni aspetti inerenti l'applicazione delle nuove regole. In alcuni Paesi servirà l'ok dei rispettivi Parlamenti. La cooperazione nel monitoraggio è prevista sino al 2020.



Ma i “tax ruling” quante imposte fanno risparmiare alle imprese?

Secondo le stime dell'OCSE il “danno” per gli Erari è calcolabile fra il 4 e il 10% della Corporate income tax (CIT): fra i 100 e i 240 miliardi di euro all'anno. Da tempo le multinazionali sono nel mirino del Fisco europeo perché pagherebbero “troppo poche tasse”. Per qualcuno si tratta di vera e propria evasione, secondo altri è elusione, ma tecnicamente il tutto è una “pianificazione fiscale aggressiva” che sfrutta ogni possibile regola per pagare il meno possibile, restando nei limiti imposti dalla legge.
Le imprese, grazie ad una minore tassazione assicurata da accordi di “tax ruling” (quali l’APA, Advanced Pricing Agreement, che regola le modalità di uso del “transfer pricing” fra società dello stesso gruppo, basate in paesi diversi ed a fiscalità diversa), possono costituire disponibilità finanziarie significative;  ad esempio, in Irlanda la corporate tax (l'imposta sui redditi d'impresa) è al 12,5%  contro il 30% circa di Germania, Italia e Francia, risultando quindi un paese di destinazione, e quindi sede legale, di molte società multinazionali; molti governi europei (fra gli altri Gran Bretagna, Olanda, Finlandia, Lussemburgo e Malta) competono per attrarre investimenti offrendo generosi sconti fiscali. La sola Apple ha legittimamente accumulato circa 150 miliardi US$ in società estere, che in caso di rimpatrio negli USA verrebbero tassate ad una pesante aliquota fiscale. Non ci sono solo colossi come quello di Cupertino, ma la “cifra” di tutte le disponibilità finanziarie sparse fra paesi “white list” e semi-paradisi UE sopra indicati è prevedibilmente “monstre” e tale da attrarre l’”interessato interesse” di tutti i governi del mondo. 


Che cosa attenderci?


Una stagione di regole crescenti ed uniformi, che andranno a “normare” attività recenti come quanto ruota attorno al web e meno recenti come l’”old economy”, con un occhio rivolto all’aumento della base imponibile per i singoli paesi, a corto di risorse.

La morale è quindi: “”Un “tax ruling” è per sempre, finché la UE non vi separi”…””

Nessun commento:

Posta un commento